Celebrata a Cremona la Messa in memoria del beato Enrico Rebuschini, «un fiume di santità e carità»

La celebrazione è stata presieduta il 10 maggio dal vescovo Antonio Napolioni presso la Casa di cura "San Camillo", presso la quale il beato ha operato per quasi quarant'anni

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Nell’85° anniversario della morte avvenuta nel 1938 a Cremona, la Chiesa cremonese ha ricordato il Beato Enrico Rebuschini, padre camilliano beatificato da Papa Giovanni Paolo II nel 1997

Nella mattinata del 10 maggio presso la cappella della Casa di cura “San Camillo” a Cremona, il vescovo Napolioni ha presieduto la messa nella memoria del beato, le cui spoglie sono conservate in uno degli altari laterali della cappella. E proprio con la preghiera dei celebranti presso la tomba di padre Rebuschini si è aperta l’Eucaristia, concelebrata da alcuni sacerdoti diocesani e padri camilliani, tra cui il superiore, padre Virginio Bebber.

«Abbiamo messo alle spalle i tempi bui della pandemia che non ci hanno permesso di onorare la memoria del nostro protettore». Ha esordito così padre Bebber, che ha proseguito: « È una festa della comunità camilliana tutta, ma anche della comunità ecclesiale cremonese, perché il Beato si è sempre sentito figlio della comunità cremonese». «Padre Enrico, nel realizzare la sua vocazione religiosa e sacerdotale, ha intrapreso questa strada di santità, compiendo, nell’ordinario, azione straordinarie davanti a Dio e non sempre riconosciute tali dagli uomini».

 

Ascolta il saluto di padre Virginio Bebber

«Ho notato che la Prima lettura della festa del Beato Rebuschini è la stessa della festa di S. Omobono – ha detto il vescovo nell’omelia –. E credo proprio che non se la litighino, ma che sia una coincidenza dovuta al fatto che in entrambi c’è un fiume che scorre, il fiume di santità, della carità, della grazia che diventa vicinanza ai fratelli che soffrono, il fiume che viene da Dio e raggiunge anche l’ultimo dei Suoi figli».

Da qui il riferimento a tutte le realtà che fungono da sorgente di questo fiume: le parrocchie, le cliniche, e molte altre. «Ci sono tanti tabernacoli nella nostra diocesi – ha sottolineato Napolioni –, ma viene subito da pensare: “ma ci sono meno preti, meno suore. Chi terrà aperte queste nostre case, queste parrocchie?”. I malati non mancheranno mai, nel corpo e nello spirito, assetati di consolazione. E noi, che siamo in mezzo tra la “fonte” di Dio e i bisogni del mondo, siamo i primi a dover sperimentare che tutto è dono, che non possiamo controllare e gestire un sistema da soli, ma ben venga la nostra grazia, l’amore che si disperda e che contagi».

«Questa “fonte”, amministrata da secoli dai consacrati, potrà essere amministrata da tutto il popolo di Dio», ha proseguito il vescovo. Un pensiero rivolto ai medici, agli infermieri, a tutti gli operatori della struttura che giorno dopo giorno, accanto ai camilliani, offrono il loro impegno per gli altri, soprattutto in momenti – come quello appena trascorso – segnati dall’emergenza sanitaria. Ha quindi evidenziato: «Moltiplicate questo per ogni luogo in cui ci sono credenti che aiutano altri fratelli e sorelle a essere uomini e donne, e noterete che abbiamo motivi di gratitudine e speranza, non di nostalgia e pessimismo». Un invito a diffidare da quello che Papa Francesco chiama “indietrismo”, dal guardarsi indietro. «I santi stanno davanti a noi non indietro». Là, al traguardo, dove – come scritto nell’Apocalisse – c’è un fiume. «Dove c’è una sorgente zampillante, inesauribile – ha concluso –, ed è da lì che il beato Enrico ci guarda e ci incoraggia, ci invita ad amare, a trasmettere la gioia, a custodire il segreto e a innamorarci ancora di più del Signore Gesù».

 

Ascolta l’omelia del vescovo Napolioni

Al termine della celebrazione, alla quale erano presenti le autorità del territorio, le “Figlie di San Camillo” e le rappresentanze del personale della struttura, la “preghiera per i caduti senza croce”, per le vittime delle battaglie i cui resti mortali sono andati dispersi.

Matteo Cattaneo
TeleRadio Cremona Cittanova
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