A Cremona una casa per le donne vittime della tratta

La fondazione Rosa Gozzoli accoglie giovani donne salvate dal racket della prostituzione: «Il business calpesta il valore della vita. Se una persona è venduta come un oggetto tutti dobbiamo sentirci responsabili»

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Arriva fino alle soglie delle nostre case il grido di papa Francesco che invita a «denunciare le ingiustizie e contrastare con fermezza il vergognoso crimine della tratta di essere umani”, nella Giornata internazionale contro una piaga globale del nostro tempo che riduce in schiavitù 40 milioni di persone nel mondo.

In questo momento sono 11 le donne presso la casa della fondazione Madre Rosa Gozzoli, la onlus della chiesa cremonese che dal 1999 si occupa di accogliere le vittime della tratta di esseri umani. «Sono tutte donne – spiega la responsabile Pinuccia Meazza – costrette alla prostituzione. Costrette: sono prostituite, non prostitute. E’ bene iniziare ad usare i termini corretti». Fino a qualche anno fa molte ragazze strappate al racket del sesso arrivavano dai paesi dell’Est Europa. Oggi sono soprattutto nigeriane. E sono sempre più giovani. «Da noi è capitato di accogliere giovani donne ben al di sotto della maggiore età. Sono state comprate, spostate, private dei documenti e poi vendute, come oggetti».

La fondazione si occupa della seconda accoglienza, i casi di tratta vengono segnalati dalle unità di strada e dalle unità di pronto intervento e vengono indirizzate alla Onlus Cremonese (da Cremona, ma non solo, perché qualche ragazza deve spostarsi per non essere ritrovata dal racket) che lavora per costruire con loro un nuovo progetto di vita: «La prima esigenza è quella di un luogo di protezione dalla criminalità che le sfruttava. Poi offriamo assistenza legale per i documenti e sanitaria, lavorando anche per l’integrazione nella nostra società: proponiamo corsi di alfabetizzazione, aiutiamo a ottenere titoli di studio, e accompagniamo qualche ragazza nella gravidanza».

Negli anni è capitato anche qualche caso di ragazza ridotta in schiavitù in ambito lavorativo domestico, ma è soprattutto la prostituzione a privare queste giovani donne della propria libertà: «Qualsiasi sia la destinazione della tratta – osserva la responsabile della fondazione Rosa Gozzoli – è importante chiedersi come sia possibile che una persona venga svenduta per un mero interesse economico.

C’è un business che rende molto ma che nega il valore stesso della vita. Una società che crede nella vita non può non sentirsi responsabile».

Responsabilità: il Papa sottolinea questo aspetto puntando con decisione il suo dito contro chi guadagna da questa forma di vera e propria schiavitù: «Bisogna chiedersi perché anche da noi esiste un mercato di esseri umani che vengono privati di tutto: a tutte queste ragazze tolgono i documenti, le costringono a mentire sulla propria età e sul proprio nome. La loro identità viene annullata».

E restano ferite profonde che non si rimarginano: «Molte ragazze – racconta la dottoressa Meazza – hanno iniziato a subire violenze durante il viaggio verso l’Europa, ciò che hanno vissuto nei campi della Libia è terribile». E non si dimentica. Come si può parlare di speranza a chi è stato fatto schiavo?

«Si testimonia la speranza dimostrando il rispetto che si deve ad ogni essere umano. Ad ogni persona. Così l’uomo può trovare in sé la capacità di ricostruire anche dopo traumi terribili. Il resto sono solo parole».

La Fondazione Rosa Gozzoli siede oggi al nuovo tavolo tematico sulla tratta istituito dal Comune di Cremona con tutte le associazioni che lavorano su questo complesso fronte umanitario: «E’ importante – osserva la responsabile – avere l’occasione di condividere esperienze e monitorare il fenomeno sul territorio. E’ l’unica possibilità che abbiamo: smettiamo di criticare e cerchiamo di esserci, con responsabilità, e di lavorare insieme, in rete, ciascuno facendo con umiltà la propria parte».

Denunciare e contrastare: «Voler vedere è già un atto di coraggio – commenta Pinuccia Meazza – che richiama ogni territorio a fare la propria parte, secondo le proprie possibilità. E Cremona è una città ricca di associazioni e di solidarietà. Certo – conclude – quello della tratta è un fenomeno complesso che non si risolve in un giorno, né tantomeno da soli. Noi però vogliamo farci carico di un messaggio di fiducia nella vita. Nella vita di tutti».

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