Venerdì 8 aprile alle 21 in Cattedrale la prima assoluta di “Canto di misericordia”, cantata sacra di Mantovani per il Giubileo

L'opera sarà eseguita dal Coro Polifonico Cremonese insieme all’orchestra Marc’Antonio Ingegneri sotto la direzione dello stesso Mantovani, autore del libretto e della musica

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È stata presentata ufficialmente la mattina di giovedì 31 marzo, nella conferenza stampa promossa presso la Curia vescovile di Cremona, “Canto di Misericordia, la cantata sacra per soprano, mezzosoprano, tenore, baritono, recitante, coro e orchestra composta in occasione del Giubileo della Misericordia dal maestro cremonese Federico Mantovani, autore del libretto e della musica. L’opera sarà proposta in prima esecuzione assoluta nella Cattedrale di Cremona la sera di venerdì 8 aprile (ore 21) dal Coro Polifonico Cremonese insieme all’orchestra Marc’Antonio Ingegneri sotto la direzione dello stesso Mantovani.

Con l’accompagnamento all’organo del maestro Marco Ruggeri e di Antonio De Lorenzi al violino di spalla, il concerto – con il sostegno della Fonfazione Arvedi-Buschini – vedrà intervenire come solisti il soprano Federica Zanello, il mezzosoprano Nadya Petrenko, il tenore Cosimo Vassallo e il baritono Valentino Salvini; voce recitante Alberto Branca.

Alla presentazione, organizzata dall’Ufficio diocesano per le Somunicazioni sociali con i lavori moderati dal direttore mons. Attilio Cibolini, hanno preso parte il vescovo emerito di Cremona, mons. Dante Lafranconi, la presidentessa del Coro Polifonico Cremonese, prof. Renata Patria, e il maestro Federico Mantovani.

La locandina del concerto


Intervento di mons. Dante Lafranconi, vescovo emerito di Cremona


Intervento del maestro Federico Mantovani, autore di “Canto di Misericordia” 


Intervento della prof.ssa Renata Patria, presidente Coro Polifonico Cremonese

 

L’origine del componimento

Canto di misericordia è il titolo quanto mai pertinente di questa nuova Cantata sacra che ci riserva, come sempre, momenti di intensa partecipazione spirituale al mistero di Dio, che è mistero di misericordia.

Quando il Coro Polifonico incominciò a pensare che cosa poteva offrire quest’anno per la Pasqua alla comunità cristiana e a tutta la città, è venuto spontaneo sintonizzarsi al Giubileo della Misericordia sulla scia spirituale dei Salmi che rileggono la storia dell’umanità scandendola col ritornello: Eterna è la Sua misericordia. Giustamente nella Bolla di indizione del Giubileo papa Francesco scrive: «La misericordia è la pa­rola–chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi» (n. 9).

Di fronte a questa constatazione, che fa della storia umana pur con tutte le sue contorsioni e anche le sue ne­fandezze una storia di salvezza, la reazione più immediata e spontanea è la gratitudine e la fiducia che trovano sfogo nella gioia libera e stupita del canto.

Non ci accontenteremo di ascoltare, né ci fermeremo al compiacimento di una esecuzione coinvolgente. Ci lasceremo trasportare sulle onde del canto dal desiderio – anzi, dal bisogno – di andare oltre l’ascolto per mostrare la misericordia nello sguardo degli occhi e nelle opere delle mani. Perché, come ammonisce sant’Agostino, non basta can­tare con la voce; bisogna cantare con la vita. Soprattutto quando il testo del canto è la misericordia. Misericordia, infatti, «è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita; misericordia è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato» (Bolla di indizione, n. 2).

+ Dante Lafranconi
Vescovo emerito di Cremona

 

Presentazione di Canto di Misericordia

«O ingiustizia della misericordia!». Così esclama il primogenito, fratello del prodigo, in Vita di Gesù di François Mauriac. È vero: la misericordia e il perdono sono ingiusti secondo i criteri degli uomini, secondo la nostra bilancia di premi e castighi (si pensi alle parabole del padrone della vigna, dell’adultera o del prodigo), e il perdonare è ritenuto azione debole, che affievolisce la forza della giustizia. Ma la debolezza di Dio è più forte degli uomini, e la stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, ci ricorda S. Paolo. Da questo punto di vista l’agire di Dio è folle («O Dio, pazzo d’amore!», prega santa Caterina da Siena), di una follia dettata dall’amore per le creature, un Amore che si compie con il sacrificio di sé, con la croce. Perché Cristo, come scrive ancora Mauriac in Vita di Gesù, «conosce i crucci, le inquietudini, i rimorsi: tutto il povero ribollire d’ogni vivente cuore sul quale egli si piega come fosse in gioco un interesse eterno. Ed è vero che è in gioco l’eternità, e che il minimo di noi è accarezzato da una tenerezza particolare».
Mi vengono in mente alcuni personaggi-simbolo dei drammi della redenzione messi in scena da Dante nel Purgatorio: da Manfredi di Svevia, grandissimo peccatore (orribil furon li peccati miei), al quale il poeta fa dire che la bontà infinita ha sì gran braccia /che prende ciò che si rivolge a lei, a Bonconte da Montefeltro, salvato da un tardivo pentimento, da una lagrimetta lasciata cadere poco prima di morire.
La misericordia a buon prezzo però non esiste, perché il cammino che bisogna compiere per incontrarla è scomodo e impervio: è il cammino dell’abbassamento, dell’umiltà, del farsi piccoli per riconoscere con coraggio e lealtà la propria miseria, i propri tradimenti, i propri errori. E pentirsene.
Farsi piccoli per diventare grandi. È il paradosso cristiano, il paradosso della misericordia, il paradosso della croce che salva.
Questa Cantata, composta in occasione del Giubileo straordinario della Misericordia indetto da papa Francesco, intende dunque rappresentare un percorso, un viaggio, un cammino, dall’abisso all’abisso: dall’abisso della nostra miseria all’abisso della misericordia di Dio, del suo infinito ed eterno Amore.

I TESTI

Al recitante ho affidato testi esplicativi: dai commenti ai Salmi, di sant’Agostino e di David Maria Turoldo, di intensa forza comunicativa, a frammenti di interventi degli ultimi tre Papi – San Giovanni Paolo II, che istituì la Festa della Divina Misericordia e che cito dall’enciclica Dives in Misericordia, il papa emerito Benedetto XVI, che ricordo nell’intervento fatto nel 2011 nel carcere di Rebibbia, e l’attuale Pontefice, papa Francesco, che ha indetto l’Anno Santo della Misericordia -; da un passo di mons. Gian Carlo Perego, cremonese, Direttore generale della “Fondazione Migrantes” della CEI., dedicato al dramma delle morti in mare dei migranti, alla riflessione acuta di Charles Péguy, poeta e saggista francese, che dopo essere tornato ad abbracciare la fede cattolica nel 1908 divenne uno strenuo difensore dei valori del “carnale” e del “temporale” come chiave di comprensione del cristianesimo; dalla testimonianza di santa Gianna Beretta Molla (1922-1962), pediatra e madre, che colpita da un male incurabile sacrificò la propria vita per far nascere la piccola creatura che portava in grembo, alle ferventi parole di don Primo Mazzolari a commento della parabola del figliol prodigo, oltre a passi del Vangelo e delle Scritture.
Le voci dei solisti e del coro intonano anzitutto passi tratti dai “Salmi della misericordia”: dal Miserere al Salmo 136, dal Salmo 42 (Come la cerva …) ai Salmi 25 o al 41, preghiere innalzate al grande amore di Dio, che è eterno, da sempre e per sempre. La misericordia è una delle caratteristiche di Dio che il Salterio pone in maggiore evidenza. La parola misericordia, in ebraico hésed, possiede una forte pregnanza di significati, ed è tradotta in diversi modi: tenerezza, grazia, misericordia, indulgenza, bontà, benevolenza, amore. E rivela il tratto sorprendente di Dio: quello della maternità. La hésed dimora infatti nel grembo materno, nelle viscere (rahamîm): le viscere materne di Dio si commuovono al punto da perdonare il grande peccato commesso. Se per noi l’organo fisico della misericordia è appunto il cuore, che conosce i fremiti della compassione nei confronti del misero, nel linguaggio biblico, sia per l’ebraico che per il greco, la sede della misericordia è il grembo materno o la generatività paterna.
E poi ci sono i testi evangelici e le pagine degli apostoli e dei “cantori” della misericordia: da Madre Teresa di Calcutta (1910-1997) a Raissa Oumançoff Maritain (1883-1960), moglie del filosofo Jacques Maritain, poetessa e mistica; da santa Caterina da Siena a Clemente Rebora (1885-1957), sacerdote e poeta, che mise a fuoco nelle sue liriche i temi dell’Amore e della redenzione; da Mazzolari allo spagnolo san Giovanni della Croce (1542-1591), cofondatore dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, Doctor Mysticus e poeta.

LA STRUTTURA DELL’OPERA E LA MUSICA

Il Canto di misericordia è diviso in dieci sezioni, in un continuo altalenante fluire fra ammissione della miseria dell’uomo e speranza nella misericordia di Dio che salva. Dopo l’apertura accorata e tesa dei solisti all’unisono, la sezione Dal profondo a te grido è segnata dall’oscura tinta del De profundis, intonato dal coro con passo lento, grave. Un grido (ma lanciato in pianissimo, quasi soffocato) che sale dai luoghi abissali del male nascosto nel cuore dell’uomo e penetra i cieli, e dalla colpa conduce alla grazia, dal peccato alla redenzione, dalla notte alla luce. È la bontà di Dio che spinge a convertirsi, e la scena viene illuminata dall’apertura, prima timida, poi via via più risoluta, verso la luce della speranza («Io spero nel Signore»).
Il senso di penitenza e l’attesa gioiosa del perdono che purifica il cuore dominano nella seconda sezione, Pietà di me. Svetta il tenore a lanciare lamento e supplica, sul fondo corale inesorabile: Miserere mei. Ne esce un profumo arcaico, come di antica orazione. L’incedere penitenziale continua nel Purificami, ritrovando però un’accensione gioiosa ed esultante alle parole «rendimi la gioia di essere salvato», «esulteranno le ossa che hai spezzato». Sarà poi il canto severo del mezzosoprano in Dio mio, Dio mio, sulle parole mistiche di Raissa Maritain, a ribadire un più personale Miserere.
Il clima si rasserena, anche se venato di malinconia, nel terzo quadro, Sete di Dio e della sua misericordia, l’oasi del perdono di cui parla papa Francesco nella bolla Misericordiae Vultus.
Aperto dalle parole del Cristo «Chi beve di quest’acqua…» intonate dal baritono, il quadro si fonda sul mottetto corale Come la cerva e sull’aria del soprano, in dialogo con il coro, L’anima mia ha sete: un discorso musicale che muove da memorie (mai citazioni letterali) di Mendelssohn e Bach per divenire, nel finale, canto spiegato, sostenuto da armonie estese.
La quarta sezione, Il suo amore è da sempre e per sempre, riprende le intonazioni salmodianti affidate al tenore e si apre poi alla melodia ariosa del mezzosoprano (Il mio cuore non è puro), un’onda elegiaca, ricolma di fede, che sale verso le braccia amorevoli di Dio.
Beato l’uomo che ha cura del debole è la sezione dedicata alle “opere di misericordia”, non presentate in modo sistematico, ma accennate per immagini contrarie: il malato lasciato in disparte e calunniato, i migranti lasciati morire in mare. Vi assume grande rilievo il coro: nel Salmo 41, segnato da accensioni teatrali di sapore barocco, diventa il coro dei calunniatori; nel successivo passo evangelico di Matteo il coro umile dei giusti; nella scena dei migranti il coro penitente (quel Pietà di noi, Signore ripetuto in pianissimo, al nulla). La sezione viene chiusa dall’aria del mezzosoprano, che intona la preghiera di Madre Tersa di Calcutta, la Beata che ha fatto delle opere di misericordia verso gli ultimi il centro della sua missione. E l’aria ammanta di pietas il drammatico quadro precedente, invitando all’amore e alla compassione, con la forza della tenerezza di Dio.
Sesta sezione, centrale, La misericordia della croce. È il centro dell’Amore: lì, nel sacrificio del Cristo per la salvezza degli uomini, misericordia e verità si sono incontrate, giustizia e pace si sono baciate.
Vi domina un unico brano, un doppio coro a cui si uniscono soprano e baritono: le voci femminili a ripetere, di santa Caterina, O Dio, pazzo d’amore!, le voci maschili a intonare un frammento della poesia La speranza di Clemente Rebora. Prendono forma i due cori, le due lingue, degli antichi giusti e degli antichi peccatori, di cui parla Péguy nel commento successivo affidato al recitante. L’uomo cerca la “Voce d’Amore”, la “certa Speranza”, la “Croce”, appunto, e l’incastro Amore-Croce si svelerà alla fine, con i due cori che superano la dialettica precedente per fondersi negli accordi conclusivi.
Le sezioni settima e ottava (La tenerezza della madre e L’abbraccio del Padre) mettono in scena due aspetti della misericordia divina. Entrambe aperte da un canto liturgico che esalta la misericordia, di Maria e del Padre – il Salve Regina per coro femminile e il Pater noster -, sono segnate da due registri espressivi contrastanti: la dolcezza pronta al sacrifico di sé da una parte (con la testimonianza toccante della scelta misericordiosa di santa Gianna Beretta Molla), e l’intensità del dramma del prodigo dall’altra, nel commento appassionato di don Primo Mazzolari.
La nona sezione, Eterna è la sua misericordia, è accesa dal giubilo alleluiatico, il “grande Hallel” del Salmo 136, la festosa gioia dell’anima redenta.
« Poter dire anche noi, ognuno di noi: eterno è il suo amore per noi», commenta poi Turoldo, in un passo sempre più incalzante affidato al recitante e al coro, che ripropone il tema musicale dell’Amore infinito.
Il Finale si apre con la dichiarazione d’amore di Dio per l’umanità (nel verso di Rebora Sempre amerò regnando), e le voci del coro rimbalzano in un fugato esultante.
Il comandamento dell’amore, essere misericordiosi come il Padre, muove il lavoro al suo congedo: il brano conclusivo, sulle parole di san Giovanni della Croce, riunisce tutti, soli e coro, in un intenso contrappunto cantabile, costruito su una melodia che ruota tra le voci, perché davvero tutti «alla sera della vita saremo giudicati sull’amore».
Il senso del Giubileo: perseverare nella misericordia.

Dedico questa Cantata a Sua Santità papa Francesco e a tutti coloro che mi sono stati vicini in questa avventura, dalla mia famiglia agli amici del Coro Polifonico Cremonese.
E a tutte le persone che testimoniano la misericordia.

Federico Mantovani

 

Curricula:     Federico Mantovani    Coro Polifonico Cremonese

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