Usmi, religiose a confronto sulle unità pastorali

Al centro dell'incontro di sabato 23 settembre la riflessione proposta dal vicario episcopale per la pastorale

image_pdfimage_print

Giornata di largo respiro, sabato 23 settembre, per le religiose dell’Usmi diocesano che hanno riflettuto sulla Chiesa cremonese dove è in atto la costituzione delle nuove Unità Pastorali. Il convegno, dopo una breve presentazione da parte del delegato episcopale per la Vita Consacrata, don Giulio Brambilla, sulla situazione della vita religiosa in diocesi, si è snodato ampiamente con l’intervento di don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per il clero e per la pastorale.

Alle unità pastorali si arriva quasi per costrizione essendo mutato il tessuto umano e socio-culturale in cui la Chiesa, per vocazione, è chiamata a far sorgere comunità cristiane vive e gioiose, là dove vive la gente.

Le parrocchie, cellule di vita cristiana, non sono superate ma, come nelle missioni, si uniscono e diventano canali per far scorrere la vita cristiana in abbondanza con modalità nuove, riproponendo,  nonostante l’indifferenza religiosa attuale, l’iniziazione cristiana con il Battesimo e portando il nutrimento della Parola e della Eucaristia perché il viaggio della fede sia possibile.

Nella consapevolezza di vivere un’epoca di transizione, risulta innegabile il disagio per un mondo che sta tramontando (parrocchie) e per l’incertezza di quello (unità pastorali) che si sta affacciando con lineamenti ancora poco chiari. Proprio da qui la necessità di uno sguardo di fede per fare discernimento; ciò implica il fatto di guardare il mondo con lo sguardo di Dio e con lo sguardo di Maria che si affaccia al mondo cantando il Magnificat. La Vergine vede Dio all’opera per cambiare il mondo e renderlo nuovo con il soffio del suo Spirito.

La fase di transizione che si sta vivendo può essere paragonata ai dolori del parto, dopo i quali vi è l’esplosione della vita, la nascita dei primi germogli.

Qualche primizia si intravede fin da ora, si tratta di accogliere e di accompagnare l’azione dello Spirito che ci chiede di prendere il largo e fidarci di lui. Ritorna emblematica la metafora dell’Esodo: un popolo parte per approdare in una terra nuova, lasciando ciò che è un peso inutile e opprimente per la traversata del deserto e portando con sé l’essenziale.

Il cammino verso le Unità pastorali deve essere snello, favorito da un bagaglio in cui hanno la preminenza la Parola, l’Eucaristia, le relazioni (amore e servizio).

Si rende necessario un cambiamento di mentalità per coltivare valori essenziali atti a formare le unità parrocchiali. È essenziale la sosta per leggere la Parola e assimilarla, fare spazio a ciò che è più credibile e meno visibile, puntare su cellule cristiane meno autosufficienti e più fraterne, meno strutturate e più sbilanciate sulle relazioni. In questo contesto il prete diventa costruttore di comunione perché la Chiesa cresca sempre più come una famiglia, tenuta unita dalle sue cure paterne e valorizzata nelle caratteristiche dei singoli membri per il bene di tutti.

L’immagine della Chiesa-famiglia induce a pensare alla Famiglia Trinitaria e alla Famiglia di Nazareth nelle quali Gesù aveva fatto quella esperienza di amore e di unità che ha trasmesso alla sua Chiesa.

Le unità pastorali diventano così cellule di fraternità e i sacerdoti che vivono questa esperienza di comunione profonda fanno scorrere la vita dello Spirito dalla Chiesa-oasi al mondo-deserto.

È lo Spirito che attira a sé e fa fiorire il nostro deserto con realtà ecclesiali arricchite dalla grazia divina. Questa è la prospettiva verso cui ci avviamo lasciando alle spalle paure e titubanze per sognare una chiesa più giovane e più evangelica.

Facebooktwittermail