Una Chiesa che si fa nuova «con i preti che Dio ci dona»

In un'intervista pubblicato il 2 giugno sul quotidiano Avvenire il vescovo Napolioni riflette su nomine e incarichi pastorali annunciati nelle cinque zone della diocesi

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Il 26 maggio la ricorrenza della compatrona della Diocesi, S. Maria del Fonte presso Caravaggio, è stata festeggiata in molte comunità parrocchiali con qualche emozione in più dato l’annuncio di avvicendamenti e nuove missioni affidate ad un bel gruppo di presbiteri. Un significativo rinnovo che ha interessato tutte le zone pastorali della Chiesa locale, accogliendo alcune rinunce legate all’età e immettendo nuove energie nella graduale configurazione del territorio in Unità pastorali. Passaggi non sempre facili, come il Vescovo Napolioni ha personalmente voluto descrivere rispondendo ad alcune domande per le colonne di Avvenire.

Trentadue nuovi incarichi pastorali in diocesi: nell’annuncio lei aggiungeva quanto sia «fecondo il ricominciare portando elementi di novità, nel quadro di una pastorale di comunione». Ma è sempre vero?
«La nostra gente è combattuta, tra ricerca delle novità e stress da troppo cambiamento. E la Chiesa a volte rischia di cadere nello stesso tranello. Mentre sa che “il nuovo è Cristo”, sempre più grande di ciascuno di noi, sempre più avanti di tutti noi. Per questo si fa un cammino di comunione non bloccandosi sul “si è sempre fatto così”, ma aprendosi al dialogo, radicati nell’identità ricevuta in dono (siamo creati, siamo salvati, siamo figli… di Dio), discepoli che leggono il Vangelo per viverlo nelle mutate circostanze storiche e culturali. Il cambio dei pastori, che certo può causare qualche sorpresa o dissonanza, può esserne un volano».

Le prospettive in diocesi orientano alla scelta di convergere in unità pastorali tra parrocchie. Un processo inesorabile o provvidenziale?
«Nel 2004 i Vescovi italiani pubblicavano un breve e validissimo documento su “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”, e quel plurale (“parrocchie”) indicava già che – a fronte del mondo di oggi e di domani – nessuna parrocchia può essere autosufficiente. Tanto meno, quella di un quartiere inserito nella vita di una città, o di un piccolo paese sempre più spopolato, invecchiato, segnato dal declino. La Provvidenza indica come invertire la rotta: venirsi incontro, conoscersi, collaborare tra piccole comunità vicine, perché ci sia più vita e futuro per tutti».

Alcune nuove nomine affidano ruoli diversi da quelli tradizionali di un parroco. Come potrebbe cambiare la relazione tra i sacerdoti in una stessa comunità?
«Il Concilio Vaticano II e S. Giovanni Paolo II hanno avuto parole chiare sulla forma comunitaria del ministero sacerdotale, da assolvere come “opera collettiva”. La tradizione ci ha consegnato una rigida distinzione di ruoli, ma lo Spirito ci sollecita ad una testimonianza di fraternità, di stima reciproca, in cui ciascuno possa sentirsi valorizzato, secondo le sue originali capacità e sensibilità. Mi auguro che un diverso “gioco di ruoli” dinamizzi le relazioni, anche nel necessario dialogo coi laici adulti, non secondo logiche di potere ma alla luce dell’esempio stesso di Gesù, per il quale “il più grande è colui che serve”. Essere dunque “collaboratore” non significa affatto ridursi a compiti esecutivi marginali, ma partecipare quotidianamente al discernimento, alla progettazione, alle relazioni che rendono visibile la bellezza della medesima fede. Particolarmente delicato è il compito di chi dovrà guidare questo processo di coinvolgimento attivo di tutti, come fratello maggiore».

Meno preti, più slancio nell’annuncio del Vangelo… E’ uno slogan o potrebbe funzionare?
«Dire “meno preti” non mi piace, se rischia di farci percepire il prete come un ostacolo all’evangelizzazione. Come scrisse il card. Lustiger, arcivescovo di Parigi, si fa la Chiesa con “i preti che Dio ci dona”. Lo sguardo sul mondo lo conferma, mentre la nostalgia di un ricco passato potrebbe frenarci. L’annuncio del Vangelo è il DNA della vita della Chiesa e di ogni suo membro, e la sua forma più efficace è la testimonianza di una vita bella, rigenerata dalla fede in Gesù, che anche i bambini e i malati, i poveri e i peccatori perdonati, sanno dare. Dio non farà mancare alla sua Chiesa i ministri di cui ha davvero bisogno, purché la comunità li chieda nella preghiera, li valorizzi in un tessuto di relazioni adulte, li accompagni anche nei momenti di difficoltà».

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