San Giuseppe, lavoratore e padre, nelle riflessioni di don Mazzolari

Articolo di don Bruno Bignami pubblicato sull'Osservatore Romano in occasione della ricorrenza del Primo maggio

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“Quanto c’è di don Primo nel san Giuseppe laborioso, carico di responsabilità in periodi difficili della vita, apostolo camminatore e padre amorevole? Moltissimo, e non è un transfert psicanalitico. È sintonia evangelica. È pura grazia per un mondo e una Chiesa che hanno ancora bisogno di padri. Come il pane quotidiano. E come il lavoro”. Con questa riflessione, in occasione della festa di san Giuseppe lavoratore, che si celebra come ogni anno il 1 maggio, si conclude su L’Osservatorio Romano l’intervento di don Bruno Bignami, sacerdote cremonese, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per i problemi sociali e il lavoro, nonché postulatore della Causa di beatificazione del parroco di Bozzolo.

Nel suo articolo pubblicato sul quotidiano della Santa Sede sotto il titolo “Visse grande e nell’ombra, San Giuseppe nelle riflessioni di don Mazzolari”, don Bignami rilegge il tema del lavoro attraverso la spiritualità mazzolariana, espressa negli interventi del parroco di Bozzolo in occasioni della Festa del Lavoro o, il 19 marzo, nella festa del papà.

“È curioso continua l’articolo sull’Osservatore Romano – che a Nazareth il lavoro di Giuseppe venga associato a quello del figlio: non si può pensare all’uno senza guardare all’altro. Il lavoro di entrambi rimanda al Padre, «operaio eterno». Dio è sempre all’opera. Per questo il lavoro non è una condanna, ma è vita piena. Nella concezione del prete cremonese l’attività umana è nobile. È l’uomo, invece, ad aver sconsacrato il lavoro obbligando le persone al «troppo lavoro», sfruttando la manodopera, non pagandola e non rispettando i diritti umani. Il lavoro onesto, a discapito di quello che pensano in molti, migliora la propria umanità e la propria condizione sociale. Giuseppe il «laborioso» riscatta ogni visione negativa del lavoro. Quando don Primo scrive queste riflessioni, gli scorrono nella mente i volti concreti dei suoi parrocchiani: i contadini, quelli che sono entrati in fabbrica nel secondo dopoguerra, i disoccupati, gli sfruttati, i braccianti agricoli, gli insegnanti”.

Nel suo articolo, don Bruno Bignami, già presidente della Fondazione che di don Primo porta il nome, richiama alcuni passaggi significativi pronunciati da Mazzolari nelle sue omelie, con lo stile diretto e incisivo che lo ha sempre contraddistinto. Come la sua invettiva del 1957 contro «chi non paga la fatica», che – denunciava il parroco – “commette un sacrilegio «come il sacerdote indegno che butta via l’ostia del Signore»”.

Emerge uno sguardo critico e profondo sulla realtà quotidiana (uno sguardo di straordinaria forza attuale), quella del lavoro, ma anche quella della famiglia, con le sue componenti materiali ma anche – soprattutto – spirituali. “In Giuseppe – scrive ancora don Bignami – traspare l’autentica paternità, quella che vola alto rispetto alle sabbie mobili del materialismo. Mazzolari aveva intuito la tragedia dell’assenza del padre già al suo tempo. A sessantadue anni dalla morte del parroco di Bozzolo, avvenuta il 12 aprile 1959, il suo insegnamento non perde attualità, tanto meno in questo anno dedicato alla famiglia. In fondo, custodire è un altro modo per dire amare”.

L’articolo completo su Osservatoreromano.va

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