«Le rsa incontrano il territorio». È questo il tema del convegno promosso dalla sezione cremonese dell’Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale (Uneba) e ospitato nella mattina di venerdì presso l’aula magna del campus Santa Monica, dell’Università cattolica del Sacro Cuore, a Cremona.
Un’iniziativa che ha posto l’accento sulla situazione attuale delle strutture assistenziali, nel rapporto con il territorio e in relazione con i recenti eventi – dalla pandemia all’impatto del caro-energia – che hanno messo in difficoltà il settore sanitario e di previdenza sociale.
A margine dell’incontro don Massimo Angelelli, responsabile della Conferenza episcopale italiana per la Pastorale della Salute, ha sottolineato i punti critici del momento attuale, ma anche la centralità del ruolo delle strutture sanitarie territoriali per la cura verso le persone fragili, prendendo anche spunto dai documenti ecclesiali recentemente pubblicati.
Ci troviamo in una situazione difficile. Come mai? È solo la pandemia ad aver influenzato l’ambito delle strutture assistenziali o c’è altro?
«La situazione è estremamente complessa ed è il prodotto della convergenza tra più fattori. Il primo problema riguarda l’aumento dei posti, che va sicuramente a intaccare l’equilibrio all’interno delle rsa e delle strutture in generale. Poi si è presentato anche il problema della carenza di personale. Su questa situazione ha sicuramente influito la pandemia del coronavirus, che ci ha fatti trovare impreparati di fronte a una situazione impensabile. Queste strutture sono fondamentali nelle nostre comunità, quindi dobbiamo assolutamente trovare le forze e le risorse per continuare a sostenerle».
In un periodo delicato come questo, quali sono le sfide da affrontare, anche e soprattutto come comunità cristiana?
«La grande sfida del cristiano nasce dal Vangelo, incarna il comandamento dell’amore. “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Ma questo amore non deve essere solo una citazione, ma deve diventare pratico, concreto. Un concetto che si sviluppa anche nella Parabola del buon samaritano».
E come fare per concretizzare questo amore?
«Il tema della solidarietà è estremamente trasversale. Non si basa sull’operato di alcuni, ma sull’operato di tutti. Negli ambiti della sanità e dell’assistenza agli anziani e ai malati, ormai non basta più un’ora di assistenza domestica. C’è sempre più bisogno di donne e uomini che si prendano a carico queste persone e i loro bisogni».
In molte strutture la Chiesa Cattolica è presente, sia a livello gestionale sia con l’impegno di operatori, associazioni, volontari, sacerdoti. Dove trovare la motivazione profonda di questo impegno?
«In merito alla questione, è interessante andare a scavare nel messaggio del Papa per la Giornata del Malato («Abbi cura di lui». La compassione come esercizio sinodale di guarigione) e nei messaggi per la Festa dei nonni e degli anziani. Le parole del Santo Padre hanno tracciato una chiara linea per il nostro ministero. Un ministero che invita certamente alla vicinanza e alla cura, ma una cura che vada oltre alla cura sanitaria, che vada oltre la terapia: c’è bisogno di superare lo scoglio della solitudine. La comunità cristiana è chiamata a questo compito, è chiamata a occuparsi della cura spirituale, della cura della relazione, delle persone».
Ma chi dobbiamo curare? Solo i malati o parlare di “altro” deve abituarci ad allargare lo sguardo?
«Dobbiamo sicuramente curare le persone vulnerabili, ma non solo. Attorno a lui ci sta la cerchia famigliare e parentale. Escluderli, in questo periodo, ha sicuramente danneggiato il paziente, ma ha anche umiliato i parenti. Il terzo destinatario è il sistema dei curanti, che in questo momento forse sono i più bisognosi di cura. C’è un livello di stanchezza e frustrazione nel personale assistenziale e sanitario che ormai supera il livello di burnout».