Quattro profughi eritrei in arrivo attraverso i corridoi umanitari

Per la prima volta Cremona accoglie un gruppo di persone che arrivano in Italia attraverso il canale legale e sicuro aperto dai campi etiopi grazie all'accordo tra Cei, Comunità Sant'Egidio e Stato Italiano

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Il furgone della Caritas cremonese arriverà a Fiumicino il 31 gennaio. Un operatore e un interprete accoglieranno in aeroporto quattro richiedenti asilo in arrivo dall’Etiopia nell’ambito del progetto protetto «Rifugiato a casa mia. Corridoi umanitari», nato grazie all’intesa tra Conferenza episcopale italiana, comunità Sant’Egidio e Governo Italiano per un’esperienza di immigrazione legale e sicura dal paese africano.

Dal novembre 2017 sono 327 i profughi arrivati in Italia dai campi dell’Etiopia e quello del 31 gennaio sarà il primo arrivo del 2019 e per la prima volta la Caritas cremonese vede accolta la sua richiesta di adesione al progetto. Un progetto che continua sul territorio: ai quattro eritrei – tutti uomini tra i 20 e i 40 anni – sarà assegnato un appartamento e un accompagnamento di volontari che li seguiranno nell’apprendimento della lingua, nelle pratiche burocratiche e sanitarie e nel percorso di integrazione. In fuga da miseria.

Corridoi umanitari: cosa sono e come funzionano

«Quarant’anni. Eritreo. Uomo solo». Teklebraham è il più anziano dei quattro eritrei che arriveranno a Cremona attraverso il corridoio umanitario dall’Etiopia. È in fuga dall’Eritrea come gli altri tre giovani uomini che sbarcheranno con lui a Fiumicino giovedì. Scappano dalla povertà e dalla leva obbligatoria «che laggiù – spiega don Antonio Pezzetti, direttore di Caritas Cremonese – diventa un impegno a vita». E lo stipendio governativo non basta a mantenere una famiglia.

I disertori finiscono in carcere e forzati all’addestramento. Dal campo militare di Sawa sono passati Idris, 30 anni, di etnia Afar (una minoranza perseguitata), e Miliyon, 24 anni e parenti in Germania, che vorrebbe raggiungere. «Vorrebbe – si legge ancora nella scheda di presentazione – l’opportunità di un lavoro per mantenere la famiglia». Circa cinquecento eritrei al giorno varcano il confine per cercare una via di fuga (gli stessi che il progetto del corridoio umanitario porterà in Italia in due anni). Per molti l’unica possibilità sono i trafficanti che nei campi profughi dell’Etiopia costruiscono il proprio giro d’affari. Un business spietato e fiorente che non tollera l’apertura di canali «legali e sicuri» come quello dei corridoi umanitari. Per questo Caritas e Comunità Sant’Egidio si muovono con la massima prudenza e il più assoluto riserbo.

Selezionare poche persone da mettere su un aereo diretto a Ciampino è un’operazione delicata, ma necessaria: i rifugiati devono partire sapendo già di avere il diritto all’asilo per motivi umanitari. «Si tratta – spiega don Pezzetti – di persone in condizioni di particolare fragilità». Anche fisica. Come Tekie, 20 anni: «Dopo l’intervento sbagliato cammina con le stampelle. Gli hanno consigliato di farsi operare all’estero».

Don Pezzetti: «Segno dell’impegno comune tra istituzioni e terzo settore»

L’appartamento per quattro è già pronto, a pochi passi dalla sede della Caritas cremonese. «A dire la verità – spiega il direttore don Antonio Pezzetti – avevamo dato la disponibilità ad accogliere i beneficiari del corridoio umanitario dal 2017, ma per fortuna l’adesione di associazioni, famiglie e parrocchie in Italia ai progetti di accoglienza è superiore al numero degli arrivi. Così abbiamo aspettato fino ad oggi».

La cosa più difficile è farli partire aggirando la rete dei trafficanti. Una volta in Italia troveranno gli ingranaggi dell’accoglienza perfettamente oliati: «In questo caso – specifica il sacerdote – si tratta di persone che già sanno di avere diritto alla protezione internazionale per cui l’iter burocratico sarà agevolato».

Qualcuno di loro andrà in cerca di parenti in altre zone d’Europa, tutti avranno però la possibilità di integrarsi qui. «Il modello dei corridoi umanitari andrebbe potenziato – riflette don Pezzetti –. Per ora i numeri sono ancora ridotti, ma è segno importante dei risultati che si possono ottenere grazie all’impegno comune tra Stato e terzo settore». Nel contrasto al traffico di esseri umani, ma anche nel coinvolgimento delle comunità nei sistemi di accoglienza sul territorio: «È bello vedere come il mondo del volontariato, le famiglie e le realtà ecclesiali possono, insieme alle istituzioni, mettere in campo iniziative concrete ed efficaci».

 

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