Bioetica e prevenzione nel campo della demenza sono stati i fili conduttori che hanno collegato gli incontri della tre-giorni promossa dalla Fondazione «Elisabetta Germani» di Cingia de’ Botti in occasione del mese di prevenzione dell’Alzheimer. Momento centrale è stato l’incontro che giovedì pomeriggio ha coinvolto sia gli addetti ai lavori che gli ospiti della fondazione, ma anche familiari e comunità del territorio, in un momento di riflessione e confronto sul tema della fragilità e dell’abbandono dei soggetti affetti da demenza. Sul tema è intervenuto monsignor Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la Pastorale della salute, e il professor Fabrizio Turoldo, docente ordinario di Filosofia morale all’Università Ca’ Foscari di Venezia.
«Prendersi cura della fragilità in equilibrio tra desideri e possibilità» questo il titolo della conferenza moderata dal direttore della Fondazione Germani Ivan Scaratti e da don Marco Genzini, vicepresidente della stessa fondazione e assistente spirituale dell’Ospedale di Cremona, che, descrivendo con un immagine la realtà delle fragilità, ha detto: «Quando in chiesa arrivavano le candele sul sacchetto c’era scritto fragile, perché andavano maneggiate con cura, altrimenti si rompevano». Fragilità che può essere non un limite, ma un valore da custodire.
E la custodia del fragile e di se stessi è stato un tema cardine del ragionamento di monsignor Angelelli, che ha spiegato che «nella società odierna l’obiettivo è l’affermazione di sé: sono convinto che abbiamo stabilito modelli iper performanti che non tengono conto dell’elemento della fragilità, connaturata alla dimensione dell’essere umano». E ha aggiunto con un chiaro esempio: «Un bicchiere di cristallo è fragile, ma nessuno si sognerebbe di dire che ha poco valore. Anzi, proprio la fragilità gli conferisce un grande valore».
Ma la fragilità, se non viene assistita a dovere, porta con sé numerosi rischi, ha rilevato monsignor Angelelli: «La vita pone davanti a scenari in cui bisogna fare i conti con la propria fragilità, e quello che è fragile può diventare vulnerabile, così il bicchiere di cristallo così bello rischia di andare in frantumi. La cura è quel percorso che rimette in sicurezza la fragilità – ha sottolineato il direttore Pastorale della salute della Cei – quando essa incontra la malattia generando la vulnerabilità. Non è la fragilità che porta con sé la vulnerabilità, ma è la malattia che la caratterizza».
Igino, scrittore romano del secondo secolo, nelle sue Fabulae racconta del mito della dea Cura e della disputa sulla sfera di influenza che le divinità avrebbero avuto nei confronti del neo creato uomo. «Nella storia – ha spiegato il professor Turoldo – Cura è capace non solo di curare, ma di prendersi cura: per questo è la più adatta a seguire la crescita dell’uomo e della sua esistenza nel cammino della vita. Il nostro corpo è fatto di un bisogno di cura, ma anche di desideri; ogni bisogno nasconde dentro di sé un desiderio. Il desiderio è ricerca di una mancanza». Citando poi lo storico Alessandro Barbero, il professor Turoldo ha parlato del presunto esperimento di Federico II, nel quale l’imperatore avrebbe impedito a dei bambini di imparare, appena nati e durante la crescita, la propria lingua, così pensando di trovare il linguaggio delle origini. Ma questi morivano, e nel loro pianto vi era una necessità: quella di comunicare; e con essa un desiderio, quello di rapportarsi con il mondo che li circondava. Il linguaggio diventa quindi parte integrante della dimensione spirituale di cui parlava Igino e che Federico II voleva studiare, ha evidenziato il professor Turoldo: «Quando si ha a che fare con persone affette da malattie neurodegenerative – ha affermato – il linguaggio che si parla è quello spirituale, della coscienza». E ancora: «È questione di sguardi e di gesti piuttosto che di parole. A volte con queste persone si comunica attraverso un’azione, che porta con sé un significato vivificato dallo spirito».
Fragilità, vulnerabilità, necessità e desiderio sono solamente alcuni degli aspetti che caratterizzano le difficoltà di una malattia nei confronti della quale molti passi avanti sono stati fatti, ma molti altri necessari sono ancora da compiere. Una prospettiva che Fondazione Germani ha ben presente, e per la quale si spende quotidianamente con impegno e professionalità.
«Quando c’è un residente che mi chiama per parlare — ha ricordato alla fine della conferenza il direttore Ivan Scaratti — o quando c’è da avere a che fare con i parenti dei nostri ospiti, ci accorgiamo che nel parlare rispondiamo al bisogno di sentirsi parte attiva del percorso di cura. L’empatia e l’ascolto diventano scialuppe di un mare in tempesta, il mare della malattia».
Presenti alla giornata di divulgazione anche il presiedente della Fondazione Germani Enrico Marsella, il sindaco di Cingia de’ Botti Nicolò Garavelli e il presidente di Anffas Cremona Giorgio Rampi.
Le iniziative promosse da Fondazione Germani nell’ambito del mese dedicato all’Alzheimer erano iniziate lunedì 16 settembre con il convegno «Demenza: mettiamo in campo la prevenzione» a Cascina Colombarone.
Ulteriore appuntamento nel pomeriggio di venerdì 20 settembre (dalle 15 alle 17) con l’inaugurazione del «Caffè Alzheimer», un luogo accogliente pensato per condividere esperienze e ricevere supporto. L’obiettivo è quello di ridurre l’isolamento sociale attraverso attività organizzate per persone affette da Alzheimer e le loro famiglie. Un luogo amico per malati e non, nel quale ricevere informazioni e consolidare le strategie adottare per meglio gestire le difficoltà che il morbo porta con sé. Al Caffè Alzheimer si svolgono incontri regolarmente organizzati con gli esperti del settore, come assistenti sociali, geriatri e psicologi, così da offrire un supporto solido e concreto.