Pensieri per Nadia della referente “Pronto Intervento Donna” di Caritas Cremonese, dopo il femminicidio di Cremona

Nicoletta D’Oria Colonna: "A queste orfane e a tutte le donne che subiscono violenza auguriamo di trovare abbastanza voce ed abbastanza coraggio per aiutare loro stesse e prevenire nuove tragedie. Ma non le lasciamo sole"

image_pdfimage_print

Di seguito una riflessione della dott.ssa Nicoletta D’Oria Colonna, referente “Pronto Intervento Donna” della Caritas diocesana, dopo il femminicidio avvenuto a Cremona nella notte tra il 10 e l’11 gennaio.

C’è stato un femminicidio a Cremona. La furia del caino omicida è esplosa per un eccesso d’amore, d’insicurezza o di follia. In una normale sera d’inverno, una coppia non ha trovato la soluzione ai propri problemi, grandi, immensi, irrecuperabili. La violenza contro le donne coinvolge ogni estrazione sociale e ogni livello culturale e può spesso essere messa in relazione al profondo cambiamento del ruolo della donna-moglie nella società.

Specialmente nei confronti delle donne straniere che arrivano nei paesi occidentali, impreparate sia loro che i loro mariti ad affrontare un altro modo di intendere l’amore, la vita, la famiglia, la libertà. Donne (molte italiane) che da inette subordinate diventano protagoniste attive della vita familiare. “Capo famiglia” perché spesso sono le uniche a lavorare, si occupano di crescere ed educare i figli, mandano avanti la casa, curano maternamente i loro uomini. Quante umiliazioni per la virilità di questi piccoli re detronizzati che vorrebbero le donne relegate in camera da letto ed in cucina, schiave pronte ad ubbidire ad uno schioccare delle dita. La donna, che per secoli è stata una proprietà della famiglia, del padre prima e del marito dopo, oggi chiede di essere un soggetto autonomo, di essere ascoltata e capita, rispettata e valorizzata in quanto persona. La donna si ribella. Un’onta impossibile da accettare per un uomo cresciuto nell’idea di essere il superiore, il sesso forte cui tutte le donne della sua casa si sottomettono. A cominciare dalle madri, proprio dalle madri che vengono vessate  se è vero che una donna su tre nella sua vita subisce violenza tra le mura domestiche.

Quanta responsabilità nella genitorialità! Eppure quanto è attaccata e consumata la famiglia, “smangiucchiata” nella sua identità da ogni ideologia pseudo liberale in nome dell’uguaglianza e della parità dei diritti. Non è forse fondamentale investire nei concetti di prevenzione ed integrazione? E non è altrettanto importante evidenziare l’importanza di una educazione culturale, sociale, morale e affettiva fin da piccoli? Dove nasce la ferocia di un uomo, un cucciolo rabbioso perso nel bosco dell’incomprensione, della solitudine, del terrore, dell’abbandono … fagocitato dall’incapacità di guardarsi dentro e di vedere negli occhi della donna che sta strangolando la fiducia che diventi un padre prezioso.

Forse potremmo educare i futuri uomini alla possibilità dell’insoddisfazione, ma facendoli sentire profondamente amati. Potremmo puntare al rispetto reciproco, all’assunzione di ruoli e responsabilità ed al riconoscimento delle diversità, intese come valorizzazione delle potenzialità e delle risorse e non piuttosto come terrore delle stesse. Perché poi sono la paura e l’impossibilità a gestire la situazione che ci fanno scadere nella violenza.

In questo mondo globalizzato in cui le relazioni si intrecciano e si rincorrono sul web, ma da casa, sarebbe invece utile ricreare il buon vecchio rapporto di vicinato, quella sorta di controllo sociale spontaneo che una volta svolgevano i vicini di casa. Osservare e lasciarsi osservare alla ricerca di un modo di essere da emulare o da allontanare. Aiutare e lasciarsi aiutare.

I “dati ufficiali” ci mostrano un calo dei casi di femminicidio, ma un aumento delle denunce per maltrattamento e stalking, anche grazie alle leggi emanate in questi anni. Ma si verificano ancora tanti casi di femminicidio: perché un solo caso è già troppo. In questi anni è cresciuta la sensibilità nei confronti della violenza di genere, ma resta difficile entrare nelle case, nelle coppie, nei silenzi, nelle paure delle donne e nella loro determinazione a tenere unita la famiglia, di solito in  nome dei figli.

E adesso il mio pensiero, quando faticosamente supera la paura dell’immagine di un corpo violato, non riesce che a correre all’angoscia delle figlie. La mamma non c’è più, il papà è in carcere nella speranza che la macchina della giustizia lo riesca a rieducare e che la sua coscienza lo faccia pentire ed invocare il perdono di Dio.

Ma i figli dei femminicidi che fine fanno? Dice Anna Costanza Baldy (docente di Psicologia, Università degli Studi di Napoli): “Si tratta di un trauma enorme, da cui è difficile riprendersi perché se già il lutto legato alla perdita di un genitore è gravissimo, perderlo per mano dell’altro genitore è una ferita, un dramma impossibile da gestire e comprendere, è un trauma irreparabile. Finita la ribalta dei riflettori queste piccole vittime sono lasciate a loro stesse e alle mille difficoltà dei loro affidatari. Questi sono spesso anche loro parenti che devono gestire il proprio lutto per aver perso una figlia, una sorella”.

A queste orfane e a tutte le donne che subiscono violenza auguriamo di trovare abbastanza voce ed abbastanza coraggio per aiutare loro stesse e prevenire nuove tragedie. Ma non le lasciamo sole.

Nicoletta D’Oria Colonna
referente Pronto Intervento Donna
Caritas Cremonese

Facebooktwittermail