Patriciello, il parroco della “terra dei fuochi”

La testimonianza del sacerdote campano ai quaresimali di San Siro a Soresina nella serata di giovedì 30 marzo

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Don Maurizio Patriciello è stato, giovedì 30 marzo, il terzo e ultimo relatore dei Quaresimali proposti dalla Parrocchia di Soresina. “Per amore del mio popolo non tacerò”: questo il titolo scelto per l’incontro col parroco della cosiddetta “terra dei fuochi”, perché è parroco del quartiere Parco Verde di Caivano (Na) dove la camorra esercita un gravissimo reato che frutta milioni di euro a danno della salute della povera gente, quello ambientale. Un relatore autorevole, una voce vera per una testimonianza forte, quella contro la camorra, perché chi sceglie Dio non può stare dalla parte della camorra, delle ingiustizie, della criminalità.

«La camorra è un albero maledetto che affonda le radici in un terreno maledetto che è la cultura camorristica. Alla camorra bisogna togliere la linfa (cioè lo stato di bisogno in cui la gente si trova e trova risposta nel denaro che i camorristi hanno a disposizione) e isolarla, altrimenti si diffonde come un cancro. In tutto questo, la camorra vuole avere una parvenza di religiosità: una cosa che non ho mai capito». Una sintesi così vera e così cruda di una realtà che don Patriciello combatte, come prete, accanto ai suoi parrocchiani che hanno scelto di stare dalla parte del bene, perché, come ha ricordato: «Il Signore chiama ad amare il prossimo e amare significa volere il vero bene di una persona. Non è difficile scegliere tra bene e male, ma tra due beni sì». E purtroppo, spesso, c’è chi non sa scegliere il vero bene, perché la camorra sa approfittarsi dei bisogni, delle povertà altrui ed è più facile nel quartiere di cui è parroco. Il quartiere, infatti, è nato dopo il terremoto degli anni Ottanta ed è una sorta di quartiere ghetto, di soli poveri in cui la camorra si è insinuata e offre denaro per piccoli servizi, solo apparentemente innocui, che permettono a certe famiglie di mangiare tutti i giorni, di sfamare i figli. «Tutto questo non è normale – ha detto don Patriciello – Qui da noi manca la normalità e di questo ci sarebbe bisogno, di un po’ di normalità, di interscambio tra soggetti diversi, tra poveri e meno poveri, persone di cultura e persone che purtroppo non hanno potuto studiare, così che da questo interscambio le differenze si assotiglino sempre più, i poveri diventino meno poveri e non debbano ricorre ai “lavori” offerti dalla camorra».

Nei giorni scorsi è stata celebrata la giornata della legalità, contro tutte le mafie, ebbene, ha detto il sacerdote: «Io ho proposto di abolirla e di celebrare la giornata della normalità, perché ai nostri ragazzi è la normalità che serve. Serve una testimonianza quotidiana di normalità. Eroi come Falcone, Borsellino, don Puglisi, don Diana sono incontestabili. Ma se chiediamo ai nostri ragazzi di essere eroi, di morire, perché questa è la normalità, cosa pensate che sceglieranno? Io vorrei che a loro fossero presentati modelli di normalità, come voi, che vi fermate con il rosso (così chi ha il verde può stare tranquillo attraversando l’incrocio) e che pagate le tasse anche quando potreste evitarlo imbrogliando».

Un racconto, quello di don Patriciello, accompagnato da tante immagini del suo quartiere, di eventi realmente accaduti, di consigli ricevuti dal sapore della minaccia, di persone perse per mano della camorra o del tumore quale conseguenza delle discariche abusive (business della camorra), della legge sui reati ambientali nata dalla lotta del sacerdote e di chi lo affianca. Un racconto fatto con il cuore, a volte sofferto per la delusione, la stanchezza, i continui sforzi, ma anche di speranza. Una speranza che viene solo dalla fede in Dio. Il sacerdote ha ricordato anche il suo percorso personale: a 18 anni si è allontanato dalla Chiesa cattolica e dalla fede. Solo anni dopo, quando Dio ha messo sulla sua strada un frate francescano rinnovato (un ordine severissimo con i propri membri, ma pieno di carità verso gli altri), ritrova la Chiesa e si iscrive, da laico, alla facoltà teologia e solo dopo entra in seminario e diventa sacerdote. Perché, come ha confessato: «Ho capito che nessuno più di Dio mi poteva amare e poiché in dono abbiamo ricevuto, in dono abbiamo l’obbligo di dare». E ha aggiunto: «Il Signore ci manda, non siamo noi a scegliere, e dove ci manda mettiamo un seme che maturerà secondo i tempi di Dio». E questo è quello che don Maurizio Patriciello sta facendo a Caviano dove lotta, senza tacere, contro la camorra e soprattutto le ecomafie, purtroppo con uno Stato latitante e che fa sentire chi lotta troppo solo.

All’incontro hanno partecipato numerose persone, fino a gremire il salone “Mosconi” del Centro Parrocchiale Pastorale di Soresina. Complice la capacità espressiva del sacerdote, oltre al tema di grande attualità, dopo la presentazione sono seguite domande e un dialogo con don Patriciello.

Annalisa Tondini

Relazione di don Patriciello

Risposte al dibattito

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