I prossimi giorni saranno preziosi per iniziare a ridisegnare il futuro immediato dei nostri Oratori. Le nostre comunità sono impegnate a prendere le misure sul versante delle celebrazioni eucaristiche, prima feriali e poi festive: il cuore della loro esistenza, il confronto anche in presenza con la Parola e il pane spezzato. Anche la questione educativa, non solo quella che ordinariamente si spende nei gruppi di catechesi o nei cortili degli Oratori, ma più globalmente quella che interessa la crescita di bambini e ragazzi torna a manifestare la sua urgenza: mentre la scuola spende le ultime cartucce di più di due mesi on line, socializzazione ed esperienze “fuori-casa” tornano ad imporsi come esigenza essenziale dell’età evolutiva. Riprendiamo il filo del pensiero bussando alla Federazione Oratori e intervistando il presidente don Paolo Arienti.
Cosa sta accadendo dentro e fuori i nostri Oratori?
“È giusto che nel panorama complesso delle rivendicazioni economiche che riguardano famiglie, imprese e posti di lavoro, uno sguardo venga dedicato anche a loro, ai ragazzi delle nostre comunità. Proprio come si è correttamente insistito sul bene primario della salute e si continua a fare. Anche il bisogno di relazioni, gioco e socializzazione fa parte di quel benessere psico-fisico che non è una opzione tra le tante. E noi consapevolmente rincariamo la dose: è un bisogno anche la comunità, compresa quella cristiana, fatta di volti e incontri, condivisioni e confronti evolutivi. Perché la forma naturale del Vangelo, la sua casa, è il corpo della gente, la sua voce, il suo muoversi nella storia”.
La riapertura dei bar sembra quasi automaticamente chiamare in causa i nostri Oratori. Come stanno le cose?
“In realtà le cose non stanno proprio così. Gli Oratori della diocesi nella loro quasi totalità sono dotati di un bar interno che però non si configura come attività commerciale prevalente. Semmai prevalente e determinante è un’altra funzione dell’Oratorio, quella educativa. Le ragioni che ci avevano spinto a chiedere la chiusura dei nostri ambienti, restano valide. Tuttavia il tempo di una riapertura graduale sembra si stia avvicinando. Graduale, perché ci immaginiamo alcuni step che sono al vaglio dei Vescovi lombardi. Nei prossimi giorni ne potremo sicuramente riparlare con la prudenza del caso, ma mettendo anche le comunità nelle condizioni di organizzarsi. Saranno necessarie alcune operazioni e attenzioni, accanto alla pazienza che abbiamo imparato ad ospitare in noi in queste settimane. Non è facile vedere gli Oratori chiusi, come pure le scuole e le altre occasioni educative, in primis lo sport che gravita attorno alle parrocchie. Ma è la necessità a farla da padrona”.
Possiamo ricordare i passi sin qui compiuti e immaginare quelli che potremo compiere?
“Dopo la sospensione delle attività abbiamo segnato ogni novità con il confronto, l’ascolto e comunicazioni visibili. E continueremo a farlo anche nei prossimi giorni. È preziosissimo il raccordo innanzitutto tra di noi, come Chiesa! Abbiamo già insistito sulla ripresa del dialogo dentro il gruppo educatori: certe dinamiche, anche se faticose, necessitano di ossigeno, specie tra gli adulti. Tra poco sarà necessario confrontarsi con i volontari per organizzare le forme di riapertura possibili, senza credere che tutto sia passato o che il bar dell’oratorio si riprenda semplicemente quella fetta di mercato che ha dovuto cedere bruscamente. I bilanci sono in rosso per tutti, ma occorre molta prudenza. Ad essere in rosso sono innanzitutto tante famiglie!”
Sono appena giunte le linee guida del Ministero per la Famiglia rispetto ai centri estivi. E sono citati anche gli Oratori…
“Attendiamo la recezione regionale, ma ad una prima lettura il testo è certamente stringente: sia sui controlli (si parla di un triage di accoglienza), sia sulle modalità di svolgimento delle attività. C’era da aspettarselo dal momento che le scuole resteranno chiuse e non avremo la sperata transizione all’estate attraverso qualche forma di normalizzazione dei contesti educativi. Un dato positivo però c’è: le linee coniate dal Ministero di concerto con Regioni e comuni vanno nella direzione di un progetto da condividere innanzitutto con le famiglie e il territorio. Ed è quanto stiamo perfezionando con la proposta delle diocesi lombarde”.
Possiamo entrare nello specifico?
“Da anni ODL (la commissione regionale che raccoglie gli uffici diocesani per la pastorale giovanile della Lombardia) esce con un tema pedagogico frutto di un importante lavoro redazionale che addirittura parte mentre i grest sono ancora in corso. Sono coinvolte decine di persone e competenze davvero qualificate, frutto del contributo di tutte le Chiese lombarde. Quest’anno ovviamente tutto è saltato. E proprio alla vigilia delle presentazioni diocesane e dell’avvio dei percorsi dedicati solitamente agli animatori. Ma l’istanza educativa, superato il durissimo lockdown che ci ha bloccati in casa per due mesi, torna ad interrogarci. Questi giorni sono stati giorni di grande lavoro, in parallelo a quello che vediamo profuso nelle parrocchie sul versante delle relazioni da non smarrire, degli incontri da continuare, delle idee da far emergere. Nessuno si è arreso, a nessun livello; e non per progettare prodotti commerciali, ma piuttosto per aiutare e porre tutti nelle condizioni di camminare insieme e sostenere chi è più in difficoltà.
Nei prossimi giorni comparirà una serie di proposte coagulate attorno ad un progetto di ripensamento e ad una estate ragazzi con un titolo e un tema, semplice e lineare: una scatola con all’interno materiali da utilizzare, idee di animazione, spunti formativi. Sicuramente – laddove sarà possibile – si renderanno necessari tanti piccoli gruppi, coerenti per fasce d’età e ancorati ad una certa continuità educativa, andranno verificati scrupolosamente i protocolli sanitari (il triage di cui parlano le linee guida, i distanziamenti, i dispositivi, i criteri di entrata ed uscita dai luoghi delle attività, la presenza di adulti…). Insomma tante cose che assorbiranno energie e pensiero.
Tuttavia tutte cose che faranno emergere la domanda che da tanti anni ci poniamo, sempre nel periodo delle classiche presentazioni: perché? La risposta, lo sappiamo, non può stare nel “perchè lo abbiamo sempre fatto” né nel “perché lo fa la parrocchia confinante”, neppure nel “è una bella avventura”. C’è di più.. E questo di più è proprio quel cortile dei sogni che stavamo rimettendo a tema nei percorsi diocesani. Prendersi cura, accompagnare, stare accanto, generare prossimità… Non sono solo belle parole o termini desueti: indicano l’orizzonte della stessa evangelizzazione dei più giovani ai quali non è mai bastato un libro di catechismo né una celebrazione di due ore perché ci fosse una vera iniziazione alla vita ed alla vita di fede. L’Oratorio ha da sempre lottato, scontrandosi anche con qualche esagerazione di troppo, perché fosse mantenuta la globalità dell’educare. Dalla fisicità del gioco al silenzio della preghiera; dall’incontro tra fratelli al rischio di avere davanti fratelli maggiori, pure loro bisognosi di cura pastorale, nella grande scommessa della catena educativa. Tutto questo non è mai stato un teorema perfetto, sempre verificato o scontato. Al contrario è sempre stato vivo, vivo di quella vita che viene anche dalle fragilità e dalle contrarietà dell’età evolutiva, ma anche dai limiti di una comunità che spesso ha delegato e applaudito solo ai numeri o agli avanzi di cassa di grest mastodontici”.
Quale può essere lo specifico di questo tempo per i nostri Oratori, aperti o chiusi?
“Oggi possiamo, e con grande fatica, ripensare alla relazione e all’evangelizzazione, a quel perché che da sempre ci accompagna. Certo con poca serenità, ma anche con la giusta convinzione. Quello che sarà possibile, sarà la cornice in cui giocare la nostra intelligenza educativa; che, si badi bene, non è frutto di questo o quel libro, ma di come plasticamente e umilmente ci assumiamo il coraggio dell’educare. Non il prete da solo, ma lui con altri; non per alcuni, ma si spera per il maggior numero; non per i più bravi, ma crediamo per ogni figlio di Dio che incrociamo, magari soprattutto se segnato dalla povertà (non solo economica)”.