Migranti, don Pezzetti: «E se non ci fosse la Chiesa?»

Intervista al direttore della Caritas cremonese e della Casa dell'Accoglienza a proposito di tanti pregiudizi che serpeggiano anche tra i cristiani

image_pdfimage_print

L’arresto di un migrante accusato di spacciare hashish, in un’atmosfera carica di tensione come quella di questi anni, è la scintilla “migliore” per accendere gli animi. Reazioni «di pancia» si moltiplicano, e spesso le risposte a domande – anche in parte legittime – spariscono nel vociare che tutto semplifica e confonde. A don Antonio Pezzetti, responsabile della Caritas diocesana e della Casa dell’Accoglienza, abbiamo rivolto alcune delle domande che i cittadini si fanno quotidianamente, cercando di evitare ipocrisie e ambiguità.

Predicare l’accoglienza va bene, ma la consapevolezza che il flusso migratorio continuerà senza alcun impegno alla redistribuzione dei nuovi arrivati può alimentare panico in tanti cittadini. È una paura immotivata?
«Una premessa: avrei voluto che facesse notizia il fatto che due ragazzi (uno del Gambia e uno del Mali) che, dopo aver preso il permesso di soggiorno, stanno facendo l’Anno di volontariato sociale in Caritas. Oppure quella dei ragazzi del Gambia che stanno facendo i volontari da diversi mesi con l’Associazione “Ccsvi nella sm”; o del ragazzo senegalese che ha trovato e portato alla Casa dell’accoglienza un portafoglio con 350 euro dentro e consegnato alla legittima proprietaria, o i due giovani che hanno aiutato una signora (che ci ha scritto una lettera per ringraziare) che stava per essere derubata vicino al centro.. e potrei continuare con numeri certamente più grandi rispetto a quelli che vedono alcuni di questi ragazzi protagonisti invece in negativo, come è stato per il gambiano arrestato mentre “vendeva” uno spinello a un giovane maggiorenne qui vicino. Comunque sia, a fronte di milioni di siriani ammassati nei paesi confinanti a causa della guerra, non è stato possibile programmare in Europa il reinsediamento di qualche migliaio di persone… Di questo stiamo parlando. “Invasione”? Molti arrivano, ma molti se ne vanno anche, tanto più che negli ultimi anni la la loro presenza è sempre stata attorno ai 180mila accolti. Certo, la crisi c’è, e la gente è spaventata anche dalle notizie che arrivano dai media e dagli interventi di chi, in politica, soffia sulla paura. Non possiamo accoglierli tutti? Sono d’accordo, ma se riuscissimo a realizzare un programma di distribuzione migliore molti problemi, molte incomprensioni, svanirebbero. Se solo si riuscisse a far passare in Italia una normativa, promossa dalla Caritas e fatta propria dalla Cei, che garantisse a tutti i migranti un permesso umanitario per sei mesi, molti nodi si scioglierebbero. Purtroppo però la politica ha paura di provvedimenti come questi che qualcuno interpreterebbe subito come una “regolarizzazione di massa”. Non sarebbe così, ma molti stranieri potrebbero tornare protagonisti della propria vita e decidere dove trasferirsi, dove lavorare ed, eventualmente, ricongiungersi con i loro cari già presenti nell’Ue».

Per voi che vi occupate di accoglienza, ogni migrante è un business, oppure no? È possibile sapere quanto guadagnate per ogni persona accolta? Visto da fuori, inevitabilmente ciò crea diffidenza nei vostri confronti… Possiamo fare chiarezza?
«Oggi abbiamo in totale 350 ospiti accolti in dieci strutture: per 250 di loro riceviamo 35 euro al giorno. Gli altri sono invece a nostro totale carico. Prima erano 370 quelli inseriti nel Piano della Prefettura e, se il motivo della nostra azione fosse il guadagno, avremmo continuato a mantenere quei numeri. Nessuna realtà legata al mondo ecclesiale si arricchisce. Abbiamo assunto nuove figure professionali per gestire i servizi, questo sì. Inoltre spendiamo più di mille euro al mese per acquistare biciclette usate (non rubate…), per rifornirci di pezzi di ricambio che alcuni dei nostri ragazzi hanno imparato ad aggiustare e rimontare; 1500 euro se ne vanno ogni mese solo di farmacia. Poi servono vestiti, scarpe, biancheria, pasti, igiene personale, scuola e biglietti per il treno… Tenete conto che noi fungiamo da “casa-madre” per altre realtà che si occupano di accoglienza che, spesso, possono avere bisogno di aiuto. Non lavoriamo in perdita, ma le risorse economiche servono anche a far funzionare i servizi e ad istituire, per esempio, “borse lavoro” in grado di sostenere i ragazzi che decidono di lasciare Cremona. Inoltre, a fine percorso, diamo 250 euro, per non lasciarli partire completamente sguarniti. Ogni settimana ogni immigrato riceve 20 € per le spese minute personali. Chi vuole inviare denaro alla famiglia o acquistare un cellulare lo può fare: facciamo un prestito di 100 euro che poi vengono scalati per dieci settimane dal contributo diretto a loro».

Il sospetto, alimentato da certi partiti, è che per voi e per le cooperative coinvolte nell’accoglienza, sia più lucroso accogliere i migranti piuttosto che assistere i nostri connazionali che non se la passano benissimo… È solo malignità?
«Che senso ha un ragionamento come questo? La Casa dell’Accoglienza è nata nel 1988 e si è sempre occupata di tutti. Ci sono diverse fragilità e ci sono diversi percorsi per il loro sostegno: le situazioni di disagio dei residenti coinvolgono come primo approccio i servizi sociali dei Comuni. Con loro abbiamo sempre collaborato per intervenire aiutando, accompagnando, sostenendo. Per legge; da sempre, e ancora oggi, ospitiamo gratuitamente coloro che non hanno un posto dove andare a dormire la notte, d’inverno. Da noi, anche gli italiani possono sempre trovare (e lo trovano) il sostegno di cui hanno bisogno: la nostra regola è semplice e dice che dobbiamo aiutare chiunque senza chiederci chi egli sia».

C’è chi giudica il lavoro della Caritas come un’opera di ingenuo buonismo. È così? E come la mettiamo col rispetto della legalità?
«Chi è contrario alla presenza dei migranti qui da noi deve chiedersi cosa succederebbe se noi non ci fossimo. Gli stranieri sarebbero per le strade, ma le faccio un esempio: da noi c’è un ragazzo del Gambia. Ha ottenuto il “sì” dalla Commissione di Brescia per motivi umanitari ed è seriamenta ammalato. È stato ricoverato nel reparto Infettivi dell’Ospedale di Cremona. Da lì, però, prima o poi questo ragazzo dovrà uscire e i dottori ci hanno chiesto esplicitamente di accoglierlo affinchè possa continuare ad essere seguito dal punto di vista sanitario. Se non lo accogliamo noi, nessuno se ne farebbe carico in quanto è ritenuto, per legge, ormai autonomo. La Chiesa, ricordiamolo, ha voluto la Caritas proprio affinchè qui si vivesse la carità partendo dai più poveri, dagli ultimi».

L’integrazione è la via maestra per l’accoglienza, ma quando i numeri diventano troppo elevati, tutto sembra diventare impossibile…
«Se vogliamo superare l’emergenza dovremmo ampliare il Progetto Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati): quello, prima di tutto, rimborsa a chi gestisce i migranti solamente ciò che viene ufficialmente rendicontato e speso (non un fisso di 35 euro come avviene per i centri di accoglienza straordinaria); in più, consente di accogliere queste persone in piccoli nuclei da distribuire sul territorio affinchè l’integrazione vera e propria possa iniziare. In provincia, solamente 80 ragazzi sono nel progetto nazionale Sprar. Pochi? Sì, perchè molti sindaci, per paura delle proteste, evitano di segnalare spazi disponibili nel loro territorio, sebbene tutti i servizi forniti a queste persone (spesso offerti da grandi cooperative nazionali) sono pagati dallo Stato e, quindi, a costo zero per la comunità che accoglie. Inoltre conoscere direttamente i nuovi arrivati spesso aiuta a cambiare radicalmente idea su di loro. Inserito così in un progetto nazionale serio qual è quello Sprar, lo stesso migrante avrà di fronte a sè una prospettiva in grado di rendere meno appetibile l’eventuale proposta della malavita di “integrare” la paga mensile con attività illecite. Il ragazzo arrestato da noi? Mi dispiace moltissimo, ma come spesso accade, in qualsiasi comunità c’è sempre un anello più debole degli altri. Ben vengano, in questo caso, gli interventi delle forze dell’ordine».

I migranti vengono descritti come in fuga da terre martoriate da guerre, perseguitati, ma non pare siano tutti in queste condizioni. Si vedono girare in città giovani in piena forma….
«Vorrei che i cittadini sentissero le storie che alcuni di loro ci raccontano (e che cerchiamo di far conoscere facendoli andare nelle scuole o nelle parrocchie) affinchè ci si renda conto da che cosa scappano. Non vengono qui con… l’Erasmus. Sono fisicamente in forma? Solo quelli in perfetta salute sono in grado di reggere un viaggio che dura mesi e che comporta abusi e privazioni inenarrabili. E poi non si creda che arrivino qui in piena forma… Quante volte dobbiamo sottoporli a cure o flebo per reidratarli o per supplire a carenze alimentari prolungate… Da cosa scappano? Da realtà dinanzi alle quali la nostra quotidianità, sebbene segnata dalla crisi, rappresenta per loro quasi un miraggio…».

Cosa rispondete a chi, come cristiano, non si sente di appoggiare la vostra opera?
«Le mamme sono… mamme, qui da noi come in Africa. Magari là hanno sei o sette figli, qua al massimo un paio. Ma la preoccupazione per ognuno di loro è esattamente la stessa. Immedesimarsi in che cosa può provare una donna sapendo che il proprio figlio è in giro per il mondo senza alcuna rete di supporto, potrebbe essere un bel passo avanti per capire. Se non creiamo sviluppo nelle terre d’origine (diffondendo la pace) sarà difficile invertire la marcia. È chiaro che la situazione non è facile, ma ci sono valori universali in ballo. Mi dà fastidio sentire tanti, anche nelle nostre comunità, lamentare il fatto che con l’arrivo dei migranti la qualità della vita è peggiorata. Le statistiche fornite dalle Forze dell’ordine, ogni anno, dicono che i reati sono in calo e, salvo rarissimi casi, non si può dire che la presenza di stranieri abbia inciso in modo significativo. Nemmeno sul fenomeno della diffusione della droga, credo, si possa dire che l’incidenza sia mutata negli ultimi anni. La nostra Chiesa con la proposta dell’accoglienza diffusa ha cercato di coinvolgere più comunità e più persone perchè il problema non rimanga confinato fra gli addetti a lavori. Vorremmo che le relazioni e le opportunità che l’incontro favorisce diventassero un supporto in più alla soluzione dei problemi legati all’accoglienza»».

Facebooktwittermail