Manifestazione a Ghedi contro le armi nucleari: sul tema la riflessione del teologo morale don Enrico Trevisi

Forte monito di Papa Francesco durante il viaggio per Santiago, durante il quale ha espresso il proprio timore effettivo per una situazione che potrebbe precipitare improvvisamente

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Manifestazione a Ghedi (Bs), il 20 gennaio, contro la presenza di armi nucleari e per la loro messa al bando, chiedendo che l’Italia aderisca al Trattato di proibizione delle armi nucleari
(TPNW) adottato il 7 luglio 2017 dall’ONU (122 paesi). L’evento è promosso dal “Forum contro la guerra” e prevede la partenza di un corteo da piazza Roma (ore 13) verso la RWM, fornitrice all’Arabia Saudita di bombe usate contro i civili in Yemen, per giungere intorno alle 15 alla Aerobase di Ghedi.

Locandina dell’evento

Una manifestazione che si svolgerà a pochi giorni dal forte monito che Papa Francesco ha rivolto durante il volo per Santiago, in occasione del viaggio apostolico in Cile e Perù. Papa Francesco ha fatto distribuire ai giornalisti al seguito una foto scattata a Nagasaki dopo l’esplosione della bomba atomica del ’45 con, sul retro, la firma e la scritta: “…il frutto della guerra”; nella didascalia si sottolinea la “disperazione del bambino, espressa nel gesto di mordersi le labbra che trasudano sangue”. Il Papa ha spiegato di averla trovata per caso e di esserne rimasto profondamente colpito tanto da volerla condividere. Si tratta dell’istantanea, scattata dallo statunitense Joseph Roger O’Donnell, inviato dopo le esplosioni nucleari nelle due città giapponesi, Hiroshima e Nagasaki. Appaiono due bambini: uno sembra dormire sulle spalle dell’altro. In realtà è morto. Suo fratello, con un volto da cui traspare una dignitosa sofferenza, sta aspettando che venga cremato.

Rispondendo inoltre alla domanda di una giornalista relativa alla paura reale di una guerra nucleare, Francesco ha espresso il suo timore effettivo per una situazione che potrebbe precipitare improvvisamente rinnovando l’urgenza di un impegno per il disarmo nucleare.

 

Sul tema proponiamo un commento del teologo morale cremonese don Enrico Trevisi.

La manifestazione del 20 gennaio a Ghedi ha il merito di richiamare a tutti la questione delle armi nucleari, dislocate anche qui vicino a noi (ricordiamo che sono presenti a Ghedi, ad Aviano e ci sono 11 porti dove possono attraccare navi della Nato con testate nucleari). Nell’ampio dossier relativo alla pace e alla guerra oltre alla folle vendita di armi ai Paesi del Sud del mondo (spesso alle prese con guerre locali e regionali molto sanguinose) che vedono protagonisti gli Usa, la Cina, la Russia e naturalmente l’Unione Europea occorre premere per una politica di disarmo nucleare.

Il 10 novembre 2017 papa Francesco ha tenuto un importante discorso al convegno “Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale” che meriterebbe di essere maggiormente conosciuto. In esso si arriva a condannare non solo l’uso delle armi nucleari, ma anche il loro possesso per la logica di paura che immettono nell’intero genere umano. Ne riportiamo solo alcune citazioni.

“È un dato di fatto che la spirale della corsa agli armamenti non conosce sosta e che i costi di ammodernamento e sviluppo delle armi, non solo nucleari, rappresentano una considerevole voce di spesa per le nazioni, al punto da dover mettere in secondo piano le priorità reali dell’umanità sofferente: la lotta contro la povertà, la promozione della pace, la realizzazione di progetti educativi, ecologici e sanitari e lo sviluppo dei diritti umani. Non possiamo poi non provare un vivo senso di inquietudine se consideriamo le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualsiasi utilizzo degli ordigni nucleari. Pertanto, anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano. Le relazioni internazionali non possono essere dominate dalla forza militare, dalle intimidazioni reciproche, dall’ostentazione degli arsenali bellici. Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche, altro non generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece ispirarsi ad un’etica di solidarietà. Insostituibile da questo punto di vista è la testimonianza degli Hibakusha, cioè le persone colpite dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki, come pure quella delle altre vittime degli esperimenti delle armi nucleari: che la loro voce profetica sia un monito soprattutto per le nuove generazioni!…

Eppure, un sano realismo non cessa di accendere sul nostro mondo disordinato le luci della speranza. Recentemente, ad esempio, attraverso una storica votazione in sede ONU, la maggior parte dei Membri della Comunità Internazionale ha stabilito che le armi nucleari non sono solamente immorali, ma devono anche considerarsi un illegittimo strumento di guerra. È stato così colmato un vuoto giuridico importante, giacché le armi chimiche, quelle biologiche, le mine antiuomo e le bombe a grappolo sono tutti armamenti espressamente proibiti attraverso Convenzioni internazionali. Ancora più significativo è il fatto che questi risultati si debbano principalmente ad una “iniziativa umanitaria” promossa da una valida alleanza tra società civile, Stati, Organizzazioni internazionali, Chiese, Accademie e gruppi di esperti. In tale contesto si colloca anche il documento che voi, insigniti del Premio Nobel per la Pace, mi avete consegnato e per il quale esprimo il mio grato apprezzamento…

Un progresso effettivo ed inclusivo può rendere attuabile l’utopia di un mondo privo di micidiali strumenti di offesa, nonostante la critica di coloro che ritengono idealistici i processi di smantellamento degli arsenali. Resta sempre valido il magistero di Giovanni XXIII, che ha indicato con chiarezza l’obiettivo di un disarmo integrale affermando: «L’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica» (Lett. enc. Pacem in terris, 11 aprile 1963, 61).

La Chiesa non si stanca di offrire al mondo questa sapienza e le opere che essa ispira, nella consapevolezza che lo sviluppo integrale è la strada del bene che la famiglia umana è chiamata a percorrere”.

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