L’oratorio e il volto della cura

Riflessione di don Paolo Arienti, incaricato diocesano per la Pastorale giovanile, nel giorno di san Giovanni Bosco

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Fuga in Egitto (Genovesino)

Che cosa centra un piccolissimo censimento degli oratori e dei centri giovani italiani e un maestosa tela del Genovesino, quella della Fuga in Egitto, per settimane esposta a Cremona? A legare l’ultima ricerca di Pagnoncelli (Un pomeriggio all’Oratorio, Bologna 2017) e il soggetto artistico di Giuseppe che un poco defilato accompagna un figlio “non suo” e una moglie in realtà destinata ad altro, è l’idea della persistenza, spesso pervicace, dalla cura. È vero: la cura può assumere anche toni e accenti parossistici e diventare una piccola, grande prigione per libertà tarpate, all’insegna del paternalismo e del maternalismo: versioni di genere di uno sport “nazionale”…

Se invece la cura assume i tratti, anche ostinati, di una presenza intelligente, di una giusta misura e di una fiducia forte nella vita e nella sua apertura al futuro, la cosiddetta questione giovanile avrà una chance di essere intesa non solo come un problema che blocca, ma anche come una sfida. Sfidano i giovani della generazione Erasmus, come pure quelli (spesso giovanissimi) che abbandonano i percorsi di studio, anche in Italia, anche nella gloriosa Lombardia. E chiedono anche alle comunità cristiane di avere qualcosa da dire. Sfidano i dati sui Neet, perché dietro i numeri ci sono milioni (!) di storie giovani bloccate nella bolla casalinga dell’inutile, forse l’esperienza più tetra perché percepita come una violenza gratuita, ingiusta. E chiedono alle comunità cristiane di non dibattere solo degli orari sacrosanti delle Messe, ma di avere orizzonti e respiri più grandi. Sfida il potenziale di intelligenza e di cuore dei giovanissimi, a volte esangui perché il mondo corre senza di loro e li preferisce consumatori periferici di cose. E chiede alle comunità cristiane di proporre un’esperienza di fede che innanzitutto sappia di incarnazione, racconti vite e bellezza.

Certo le parrocchie e le diocesi non hanno mai risolto i problemi, eppure in belle storie recenti e passate hanno potuto essere voce, ma anche spazio umano e luogo fisico in cui qualcosa è germinato. E di una nuova germinazione di speranze concrete e di opportunità ha bisogno il mondo giovanile (si pensi al lavoro), quello adolescenziale (si pensi agli affetti e alla misura di sé), quello dei più piccoli (si pensi al senso del limite e perché no? dell’esperienza di una povertà intelligente che media il senso del vivere felici). Né tutto si risolverà con un Sinodo dei giovani o con un Sinodo sui giovani. Ma l’uno e l’altro, accanto alla bella ostinazione di tanti, ai pensieri sugli Oratori e i percorsi, alle prossimità affaticate nelle unità pastorali come nei grandi centri raccontano di una passione che quelle sfide cerca ancora di assumerle. Senza dimenticare che questo è il tempo della vigilanza (spirituale e politica) e il tempo della contaminazione con chi è disposto a costruire questa benedetta ostinazione.

Anche la memoria dei Santi, come quella del santo patrono Bosco, può aiutare a vivere questa “non dimenticanza” delle cose che contano e delle forze che vanno sempre recuperate per benedire in modo… ostinato. La celebrazione cristiana soffre a volte di passatismo e si colora delle tinte tristi della nostalgia. Eppure nel suo intimo è memoria di uno Spirito vivo, è fecondità e occasione di sguardo intelligente sul dopo, sul domani, su quanto ancora occorre servire ed amare. A patto che quella cura e quella vigilanza le sentiamo davvero nostre e non le lasciamo cadere troppo facilmente.

don Paolo Arienti
incaricato diocesano Pastorale giovanile

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