«L’Europa ritrovi il suo patrimonio spirituale». L’analisi di don Franzini dopo l’uccisione di padre Hamel

Il parroco della Cattedrale di Cremona è intervenuto con un editoriale, che pubblichiamo integralmente, sul numero del 28 luglio 2016 del settimanale locale "Mondo Padano"

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Pubblichiamo un editoriale di mons. Alberto Franzini, apparso sul settimanale “Mondo Padano” del 28 luglio 2016, a proposito dell’uccisione di padre Jacques Hamel da parte di due fondamentalisti islamici nella chiesa di St. Etienne nei pressi di Rouen.

E così il terrorismo è arrivato a colpire una chiesa, un prete, una comunità cristiana. E stavolta non in qualche nazione del Medio Oriente o dell’Africa – dove in questi anni, tra l’indifferenza pressochè generale,  non si contano gli attentati e i morti nelle chiese cristiane – ma in Normandia, in quella Francia diventata uno dei bersagli preferiti dei terroristi islamisti. Stavolta non è stata una strage (tra le vittime, oltre ai due giovani attentatori, “solo” un anziano prete, don Jacques Hamel, e con lui feriti due parrocchiani), ma si è voluto colpire un simbolo tra i più forti e tra i più identitari non solo della Francia, ma dell’intera Europa. La chiesa, quella di St Etienne dissacrata da un atto barbarico, è per i cristiani il luogo della preghiera per eccellenza. E un anziano prete – che tutti, musulmani compresi, hanno descritto come un  uomo di pace e di fraternità – ucciso come un agnello mansueto nella funzione più nobile, la celebrazione della messa, è l’incarnazione dell’esperienza cristiana, è il simbolo del discepolo di Colui che, dall’alto del patibolo a Gerusalemme, ha avuto parole di perdono per i suoi persecutori.

Di fronte a questa ennesima azione di odio, di sangue e di violenza, compiuta (per emulazione, per debolezza psichica, per mandato di altri?…) da due ragazzi giovanissimi, al grido di “Allah è grande”, restiamo ammutoliti. E ci chiediamo: perché sta succedendo tutto questo? E come dobbiamo reagire?

La prima domanda ci interpella come europei. Perché la Francia e l’intera Europa sono così duramente e barbaramente attaccate? Gli analisti troveranno ragioni politiche, finanziarie, economiche, culturali. Ma da qualche anno mi vado sempre più convincendo che: la nostra Europa è malata di anoressia spirituale, di spossatezza morale, di sfinitezza esistenziale. Da troppo tempo .si respira nella nostra vecchia Europa un’aria stanca, L’Europa sembra stanca di se stessa, stanca della storia che l’ha resa protagonista sulla scena mondiale, vergognosa delle sue radici e del suo patrimonio valoriale. Papa Francesco aveva già sottolineato questa stanchezza dell’Europa, nel suo appassionato discorso al Parlamento di Strasburgo nel novembre 2014 e aveva usato un’immagine significativa: il tronco dell’albero, se si perdono le sue radici, si svuota e muore, e i suoi rami, un tempo rigogliosi e diritti, si piegano verso terra e cadono. Il Papa si era anche soffermato sulla malattia più grave dell’Europa di oggi: quella della assolutizzazione dei diritti soggettivi, che favorisce quella globalizzazione dell’indifferenza che nasce da una visione antropologica riduttiva: la persona umana viene ritenuta incapace di ricercare e di accogliere la verità, e quindi di vivere un’autentica dimensione sociale. E’ l’attenuarsi e il venir meno di una robusta concezione antropologica – nata e cresciuta grazie soprattutto al fiorire del cristianesimo, all’apporto del cristianesimo circa il valore incommensurabile della persona umana – che  la linfa della nostra Europa si è come rinsecchita. Riaffiorano, prepotenti e quanto mai attuali, gli accorati interrogativi di Papa Francesco a Strasburgo, rivolti all’Europa: “Dov’è il tuo vigore? Dov’è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov’è il tuo spirito di intraprendenza curiosa? Dov’è la tua sete di verità, che hai finora comunicato al mondo con passione?”

Se l’Europa è affetta dal morbo della perdita dell’autostima, essa offre al mondo, e anche alle frange terroristiche, un non volto, ossia un’identità vuota, facilmente attaccabile.  La sua debolezza – la nostra debolezza! – è la migliore esca per coloro che vogliono, per qualsiasi motivo, colpire e distruggere l’identità europea, che si è andata costruendo lungo i secoli: una identità che si è invece improvvisamente rinnovata nell’uccisione dell’anziano prete di St. Etienne in Normandia, risvegliando nel fiume carsico di una Francia laicizzata una linfa che non si è mai del tutto spenta.

L’evento drammatico che si è consumato in quella cittadina della Normandia  ha prepotentemente ridestato nel cuore dei popoli europei tutta la vitalità e la ricchezza della testimonianza cristiana, tutta la sconvolgente novità e fecondità, anche culturale e sociale, di un messaggio, quale quello cristiano, che sembrava moribondo,  deprezzato, ritenuto ingombrante e “sorpassato” come ferro vecchio e, talvolta, perfino deriso da parte di una cultura dominante sedicente “progressista”; un messaggio – una “buona notizia” – che, paradossalmente grazie al martirio di quell’anziano prete  è riapparso sulla scena della nostra vecchia e stanca Europa come ancora capace di offrire le energie più autentiche per far fronte alle sfide di questo nostro tempo.

Come dobbiamo reagire? A questo secondo interrogativo le risposte sono molteplici. Certo, i responsabili dell’ordine pubblico si trovano davanti a una guerra inedita, che necessita di strumenti eccezionali di intelligence e di sorveglianza del territorio per garantire il massimo di sicurezza ai cittadini. Si vorrebbe anche  che il mondo musulmano alzasse la sua voce, forte, chiara e senza ambiguità, nel condannare queste azioni violente. Ma è l’intera nostra società che è  chiamata a rivedere i propri modelli di pensiero e di cultura. Il nostro Continente non può limitarsi ad utilizzare solo l’alfabeto della finanza, dell’economia, della politica, della burocrazia. Deve, anche grazie ai padri fondatori che l’hanno ideata e voluta, riscoprire l’immenso patrimonio, umanistico e cristiano, che l’hanno forgiata lungo i secoli.

I Vescovi francesi, riuniti a Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù, hanno risposto con parole sapienti – tolte dal linguaggio cristiano –  all’uccisione di don Jacques, invitando i cattolici francesi a una giornata di preghiera e di digiuno:  Il male non lo si vince con il male, ma con il bene, ci ricorda San Paolo. Solo buttandoci a capofitto in un rinnovato e saggio impegno educativo, che sappia suscitare nelle giovani generazioni un profondo rinnovamento morale e una convinta ripresa di stima verso la nostra più genuina tradizione,  potremo uscire da quella desertificazione spirituale e da quelle secche culturali che rendono fragile e inerme la nostra Europa.

La piccola chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray può diventare il grembo di una rinascita del nostro Continente. Può diventare il simbolo delle tantissime chiese disseminate nei nostri paesi e nelle nostre città, dove ancora si prega e si celebra l’evento più grande della storia, ossia il sacrificio pasquale di Cristo. E don Jacques può diventare il simbolo di tanti preti, di tanti cristiani, di tante persone buone che, nella quotidianità mediaticamente dimenticata di tante giornate, offrono con l’umiltà di una testimonianza anonima ma appassionata, ciò di cui ogni persona può andar fiera e ciò di cui il mondo ha più bisogno che mai: l’amore a Dio e agli altri. Semplicemente. Grandiosamente.

Don Alberto Franzini
Parroco della Cattedrale di Cremona

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