Il vescovo Antonio a S. Agata: prima visita del presule in una Parrocchia

Nell'omelia mons. Napolioni ha riflettuto sul significato del martirio mettendo in guardia dal rischio di trasformare la testimonianza in azioni di kamikaze o dal rischio di vittimismo

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Prima visita del vescovo Antonio in una delle parrocchie della diocesi: l’occasione è stata la festa patronale di S. Agata, a Cremona. Quasi una consuetudine per la comunità di Sant’Agata-Sant’Ilario, guidata da mons. Dennis Feudatari, poter contare sulla presenza del Vescovo, a sua volta emozionato perché, come ha confessato all’inizio della celebrazione, per lui – fino a pochi giorni fa parroco – è stato quasi come ritornare tra la propria gente.

Mons. Napolioni è stato accolto dal parroco alle 10 sul piazzale antistante la chiesa. Una volta in chiesa il Vescovo ha asperso l’assemblea e, accompagnato in processione dai ministranti, si è recato nella cappella del Santissimo per un momento di preghiera personale. Passando tra l’assemblea non ha mancato di salutare i fedeli, fermandosi in particolare per un momento privilegiato con le persone in carrozzina.

Dopo che il Presule ha indossato i paramenti liturgici, in una chiesa gremita ha preso avvio la processione d’ingresso. Accanto al Vescovo i quattro sacerdoti delle parrocchie di S. Agata e S. Ilario: il parroco mons. Feudatari, il vicario don Stefano Montagna e i collaboratori don Angelo Guerreschi Parizzi e don Franco Regonaschi.

A dare il saluto ufficiale al Vescovo è stato mons. Feudatari che ha ricordato come “fin dagli inizi dell’unità pastorale abbiamo voluto come premessa e come promessa l’unica Eucaristia domenicale per la famiglia cristiana”, presentando poi idealmente al Vescovo le diverse realtà che compongono le parrocchie. Poi ha aggiunto: “Questa famiglia ha creduto e crede nella chiamata ad essere comunità unita e, perciò, sta camminando in salita, a passo cadenzato, imbragati dalla grazia, dalla Parola del Signore. Ma l’euforia o lo sconforto sono alla portata di ogni chiodo piantato o varcato, o ad ogni pioggerellina che fa scivolare il piede. Chiara è la meta. Siamo fidenti nel capocordata che è Cristo Signore”.

Iniziando l’omelia mons. Napolioni ha lasciato spazio ad alcuni sentimenti di questi primi giorni da vescovo: “Io sto scoprendo, minuto per minuto, – ha detto – la mia moglie, la mia famiglia, la mia nuova vita. Quindi non nascondo la felicità. Non per il numero – so che siete più di 7mila nell’unità pastorale – ma per i sorrisi, per la vita, per la fraternità che si respira, per la preghiera, per la presenza di Cristo in noi. Lasciamoci sempre stupire dalla presenza del Signore, non facciamoci mai l’abitudine”.

Poi il richiamo alla patrona, occasione per riflettere sulla realtà dei martiri, oggi più di un tempo. E subito una precisazione: martire non è sinonimo di kamikaze, ha detto commentando la prima lettura. “Vogliamo essere questi discepoli dei martiri – ha chiesto – che dalla loro memoria traggono giustificazioni per una rinnovata violenza cristiana? C’è stata la violenza cristiana nella storia, non nascondiamocelo, e oggi magari ci sono violenze targate in nome di altre religioni. È una tentazione! E dobbiamo dirgli di no: non è il Vangelo! È qualcosa che istintivamente è comprensibile, ma che distrugge noi stessi insieme agli altri. Quindi no a vedere i martiri come dei soli combattenti in nome di Cristo”.

Mons. Napolioni ha poi messo in guardia da una seconda tentazione: “fare le vittime, diventare vittimisti e lamentosi. Chi dei nostri figli e dei nostri ragazzi ci seguirà se questo è il Cristianesimo, fonte di pessimismo e di scoraggiamento! Ma per fortuna arriva Gesù. Gesù, con la sua parola e con la sua vita, ci indica la strada: né terroristi né vittimisti, ma riconoscenti e riconoscibili”. E ancora: “Non dobbiamo certo nascondere la nostra fede, ma non si tratta di mettersi divise o distintivi”. Ciò che rende riconoscibile un cristiano è altro: “Da che cosa si vede che siamo stati a Messa? Da come torniamo a casa contenti, dal sorriso, dagli occhi che brillano, dalla capacità di abbracciare, da questa tenerezza che riceviamo da Dio che diventa capace di rigenerare i nostri rapporti. Ha detto Gesù: chi mi riconoscerò davanti agli uomini anch’io lo riconoscerà davanti al padre. Riconoscere Gesù significa accorgersi della sua presenza”. “La gioia è la vera forza – ha sintetizzato il Vescovo –, la contentezza di sentirsi amati e nutriti da Dio, l’amore profondo che ci commuove e ci consola. Allora saremo riconoscenti, pieni di gratitudine, non ci basterà la vita per dire grazie: avremo l’eternità per vivere in una gratitudine infinita che non ci stancherà mai”. E ha concluso: “Lo chiedo al Signore con tutto il cuore, per me, per voi, per i vostri sacerdoti, per tutta la comunità, per chi più è nella difficoltà, perché non si senta solo, perché le case non restino chiuse, perché ci si accorga gli uni degli altri e ci si incoraggi a vivere con questa serena fierezza la nostra fede”.

È stata una celebrazione solenne, ma nello stesso tempo familiare e accogliente. E proprio in questo clima di casa mons. Napolioni, prima della benedizione finale, ha voluto ringraziare la comunità per aver “allevato e custodito” il proprio segretario, da 30 anni residente a S. Agata. E non è mancata neppure una battuta sugli avvisi “proprio come li avrei fatti io nella mia parrocchia”, ha detto il Vescovo, con un po’ di nostalgia per la propria terra, ma anche la certezza di essere chiamato a guidare una porzione di Chiesa che è in comunione con quella universale.

Al termine della Messa mons. Napolioni si è intrattenuto volentieri con la gente di S. Agata e S. Ilario, prima in chiesa e poi in oratorio, riservando un attenzione particolare per le persone sofferenti e i bambini.

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