Il rumore del bene

Intervista al direttore di Avvenire Marco Tarquinio in occasione della Giornata mondiale delle Comunicazioni

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Marco Tarquinio, direttore del quotidiano “Avvenire”, ha accettato di rispondere ad alcune nostre domane per raccontarci il mestiere di giornalista e le scelte controcorrente del giornale di ispirazione cattolica. Sulle provocazioni del messaggio di Francesco in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, è chiamato a confrontarsi tutto il sistema dell’informazione, presenza pervasiva nella formazione delle coscienze.

 

Direttore Tarquinio, c’è una regola nel giornalismo americano che dice: “bad news/good news”, le cattive notizie sono buone notizie… Contraddirla, ribaltarla come sostiene il Papa nel suo messaggio, non le sembra un po’ ingenuo?
«No. Se lo pensassi non farei questo mestiere. Purtroppo, però, questa regola viene osannata e tradotta, qui da noi, nelle tre “esse” (sangue, soldi, sesso). Un articolo con quegli ingredienti garantisce un successo facile, si pensa. Ma questo presuppone una profonda disistima nei confronti del proprio lettore. Quando non si ha stima delle persone alle quali ci rivolgiamo, ci si adegua a regole spesso profondamente sbagliate…».

“Avvenire” riesce a mettere in pratica una narrazione della realtà che non si appiattisca sulla negatività, più appagante in termine di vendite di copie? 
«Certo, stare fuori dalla corrente dell’informazione “main stream”, negli argini fissati da regole seguite da quasi tutti, significa fare un lavoro in più. Si deve tornare sulla realtà, senza accontentarsi del lavoro delle agenzie. Il circo mediatico ogni santo giorno ci inonda di informazioni. La mia più grande soddisfazione è di fare un giornale che prescinde completamente dalle fonti secondarie, da quelle cioè che lavorano di riflesso e che non si abbeverano dalla realtà, ma del racconto che ne viene fatto».

Quindi, lei è convinto che la buona notizia “paghi”?
«Ne sono così convinto che nel mio primo editoriale da direttore di Avvenire, il 24 novembre 2009, ribadii l’importanza di ascoltare il “rumore” della foresta che cresce piuttosto che il fragore dell’albero che cade. Avvenire ha per sua vocazione il ruolo di ascoltatore della… foresta. Io ho cercato di accentuare questa nativa vocazione del giornale per convinzione personale, per militanza giornalistica precedente e perché so di contare su lettori particolarmente recettivi. Mi chiede se questa strategia paghi? Avvenire era l’undicesimo quotidiano generalista (per lettori) nel 2009, oggi è il quinto. Ho visto scendere sotto di noi tante testate illustri; noi abbiamo mantenuto le posizioni e guadagnato credibilità. Questo risultato mi conforta e sprona a continuare».

Si ricorda una notizia che lei ha sottolineato e messo in evidenza sul suo giornale e che altri, invece, hanno snobbato?
«Ricordo un fatto di cronaca in Calabria: un boss locale aveva fatto tagliare centinaia di piante di ulivo di un campo che gli era stato confiscato. Le autorità avevano assegnato il terreno ad una cooperativa inserita nel “Progetto Policoro”, sostenuto dalla Chiesa italiana. Questi giovani, resistenti alla ‘ndrangheta, hanno deciso di portare in giudizio il boss. In Tribunale, però, si sono trovati soli: nessuna autorità pubblica si era costituita parte civile al loro fianco. Il boss – mi ricordo – si era perfino presentato in Tribunale con il nipotino per mano: avrebbe imparato dallo zio come si fa a  piegare chi si opponeva a lui. A sostegno, aveva anche una nutrita schiera di avvocati. Noi abbiamo seguito il processo mettendo tutto in prima pagina per tre giorni consecutivi. Uno dopo l’altro Comune, Provincia e Ministero degli Interni si sono accorti di quanto stava succedendo e si sono costituti parte civile a fianco della cooperativa. Il boss, alla fine, è stato condannato e la cooperativa continua ad esistere. È la prova che il bene, quando c’è, resiste al male e lo batte, a patto che gli si dia almeno cittadinanza mediatica».

Nel messaggio per la Giornata Mondiale Francesco scrive ai giornalisti che serve “uno stile comunicativo aperto e creativo, mai disposto a concedere al male il ruolo di protagonista ma che cerchi di mettere in luce le possibili soluzioni ai problemi ispirando un approccio propositivo e responsabile”. Quanti giornalisti conosce in grado di fare tutto ciò?
«Io le posso dire che ne conosco tanti, il problema è che non possono farlo perchè sono incentivati a fare altro. Il nostro è un Paese pieno di gente buona».

Allora… la colpa è solo dei direttori?
«Si dice che “il pesce puzza dalla testa”… Ci sono degli input, indicazioni dall’alto che tengono tutti rigidamente nel fiume dell’informazione, che va tutta in una direzione. Ogni tanto serve rompere gli argini. Lo facciamo noi, lo fa l’informazione cattolica dei settimanali e lo fanno anche altri giornalisti. Diciamo che noi ci mettiamo un “di più” di tono dialogante, come dice il Papa e questo spesso non viene capito nemmeno da una parte del mondo cattolico. Si pensa sia troppo, mentre tutto – nel nostro mondo – dice che il dialogo non è abbastanza. C’è chi non condivide e magari preferisce le barricate… Qualche volta bisogna pure farle, ma non tutti i giorni. Ma non si può sempre stare lì, se no…».

Scrive ancora il Papa: i giornalisti devono “essere testimoni e comunicatori di una umanità nuova”. Cosa vuol dire essere testimoni nel campo dell’informazione. Quali doti servono?
«Credo che serva avere anzitutto una grande capacità di ascolto. Viviamo in un mondo nel quale pochi ascoltano davvero fino in fondo: non lo fanno i politici, non lo fanno i sindacalisti, non lo fanno… (stavo dicendo una cattiveria, ma è meglio se non la dico…), e non lo fanno i giornalisti. Spesso a noi piace chiuderci e criticare il mondo. Invece dobbiamo ascoltare la realtà. Il nostro primo dovere di testimonianza è senz’altro l’ascolto di ciò che dice la vita della gente».

Un consiglio ad un normale fruitore dell’informazione…
«Non accontentarsi, non accontentarsi mai. Soprattutto in questi tempi che ti danno l’illusione di una sazietà dal punto di vista informativo. Siamo circondati da mille fonti, ci arrivano tanti slogan che sintetizzano la realtà. Carta, televisione, radio, la rete… Andiamo a fondo delle cose, incrociamo (per quanto possibile) le informazioni. Non accontentiamoci di un’informazione che ci assomiglia, che ci asseconda e che solletica le nostre abitudini. Facciamoci “mettere in crisi” come quando si deve ascoltare davvero qualcuno che ci spiazza. Bisogna cercare sempre “fonti di acqua potabile”».

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