Il Papa ha incontrato il presidente della Turchia: nei colloqui le sofferenze di curdi, cristiani e arabi

Dialoghi impegnativi per mantenere aperte le relazioni internazionali indispensabili per il futuro processo di pace che garantisca le minoranze

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Lunedì 5 febbraio si è svolta in Vaticano la visita, da tempo programmata, del presidente della repubblica turca. La visita ha suscitato reazioni internazionali, come sovente accade quando a chiedere di essere ricevuti dal Santo Padre sono esponenti di governi ed istituzioni che attuano discutibili politiche, in special modo se lesive di basilari diritti umani.

Nell’intricata situazione di conflitto che da anni insanguina la Siria, e nel crogiuolo di enormi interessi internazionali nell’area che ne condizionano l’esito, si inserisce la recente ultima pagina del dramma del popolo curdo, e il tentativo di distruggere ogni possibilità di convivenza pacifica tra etnie e culture.

L’incontro in Vaticano ha sortito la possibilità della ripresa di un dialogo che appare imprescindibile premessa di ogni positivo sviluppo di pace.

“Nel corso dei cordiali colloqui sono state evocate le relazioni bilaterali tra la Santa Sede e la Turchia e si è parlato della situazione del Paese, della condizione della Comunità cattolica, dell’impegno di accoglienza dei numerosi profughi e delle sfide ad esso collegate”.

È quanto si legge nel comunicato diffuso oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede, al termine dell’udienza concessa dal Papa al presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, il quale, successivamente, ha incontrato il card. Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato da mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Ci si è poi soffermati sulla situazione in Medio Oriente, con particolare riferimento allo statuto di Gerusalemme – si legge ancora nel comunicato – evidenziando la necessità di promuovere la pace e la stabilità nella Regione attraverso il dialogo e il negoziato, nel rispetto dei diritti umani e della legalità internazionale”.  (Fonte SIR)

 

Don Maurizio Ghilardi, incaricato diocesano della pastorale dei migranti, propone un sintetico quadro degli equilibri geopolitici della regione martoriata dal conflitto.

Mentre a Sochi, in Russia, comincia la conferenza per il futuro della Siria senza opposizione ad Assad, senza curdi, ma anche senza Washington, Parigi e Londra, continua l’offensiva turca nel Kurdistan siriano.

Alcuni giornali mediorientali affrontano le questione che riguarda i bombardamenti da parte della  Turchia sulla città di Afrin quasi come uno scambio con la Siria, che ha ripreso i bombardamenti a Idlib.

Afrin è in Siria, a nord di Aleppo. La città e la regione di Afrin sono un piccolo territorio a maggioranza curda-siriana che fa parte del Rojava, ma è rimasto isolato dal resto del Paese curdo a causa dell’interposizione nel 2016 dei turchi, penetrati in Siria con il preciso intento di bloccare la formazione di uno Stato curdo-siriano unitario ai confini meridionali della Turchia.

Il Pyd (il Partito dell’unione democratica, favorevole ad una autonomia confederale nell’ambito dello Stato siriano) che governa la regione curda del Rojava ha stretti rapporti con il Pkk, la principale organizzazione militante dei curdi in Turchia. Questo legame tra curdi siriani e curdi turchi è l’ossessione del presidente Erdogan, che considera il Pkk un’organizzazione criminale e terroristica che va combattuta ed eliminata, senza possibilità di dialogo.

In buona sostanza: i curdi che sono sul territorio siriano, iracheno e turco, che vorrebbero poter costruirsi una zona autonoma, dopo aver lottato contro l’Isis si ritrovano ancora a fare i conti con chi non vuole, ad ogni costo, la loro presenza.

Eppure Afrin ha dato ospitalità ad un considerevole numero di profughi siriani (circa trecentomila) e nessuno si sta muovendo a difesa di questa regione abitata da curdi, cristiani e arabi. Il nome dato dai diretti interessati a tutta questa operazione militare, ironia della sorte, è: “ramoscello d’ulivo”!

Dall’altra parte c’è la Siria che ha ripreso i bombardamenti su Idlib, una sacca ancora pervasa dall’Isis con cui la Turchia ha dei legami di interesse. Ma da Idlib si stanno muovendo circa duecentomila persone (profughi) in cerca di riparo, salvezza, protezione.

È da notare che i curdi siriani hanno aiutato l’esercito regolare siriano nella lotta all’Isis, ma ora i curdi siriani vengono attaccati dalla Turchia e Assad lo consente. La Siria ha ripreso ad attaccare l’Isis di Idlib, civili inermi compresi, e la Turchia lo consente.

Il resto della comunità internazionale e dei governi occidentali direttamente coinvolti stanno a guardare.

 

 

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