Il corpo espulso e le macerie dell’istruzione. Una riflessione sul presente e sul futuro

Un commento alla situazione educativa dell'incaricato diocesano di Pastorale giovanile don Paolo Arienti, tra scuola, oratori e nuove alleanze educative

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C’è un tempo per tutto, come recitava con realismo secco Qoelet. Ma a volte il tempo si affastella e genera sclerosi insostenibili. Come quelle che riguardano i corpi nostri e dei nostri ragazzi, sospinti in un vortice contraddittorio di paralisi e sovvertimento della logica educativa. Sì, paralisi, perché ormai le finestrelle della dad si animano di visi autentici con sempre più fatica, e diveniamo nostro malgrado esploratori di lampadari, mobili, scenari virtuali, facce freezate, oppure adulti che parlano a caselle oscurate, al massimo rese meno offensive da gattini, personaggi del cartoons o supereroi.

Sì, sovvertimento, perché suonata la campanella – pure questa via meet -, si cambia scenario, ci si riappropria della corporeità e si torna a vivere. E ci si conferma nel più grande inganno: che la scuola sia un esercizio gnostico, dedicato a sostanze cerebrali disincarnate, finalizzato a produrre verifiche e voti e costretto ad appiattirsi sul grande moloch di sempre: l’apprendimento. Sì, il conoscere un metodo di risoluzione matematica piuttosto che le cause della seconda Guerra mondiale o, nel mio caso, le posizioni delle famiglie bioetiche o qualcosa di letteratura biblica. I contenuti, i programmi… ciò che non può non procedere come un treno; perché altrimenti si resta indietro, si è svantaggiati. Così fatalmente, come piace a qualcuno, il corpo è espulso e con esso le qualità proprie dell’umano che la scuola, e poi lo sport e poi il gioco e l’incontro condiviso, cerca di tenere insieme: l’esperienza, le emozioni, la vergogna come la disinvoltura; quel corpo che si evolve come fatto e spazio sociale e che fa dire a qualcuno che non siamo neppure individui, ma con-dividui; quel corpo che è fatto per le (almeno) tre dimensioni, che tocca, odora, cammina, respira socialità e restituisce originalità. Il processo – è vero – è iniziato da molto tempo: basterebbe fare un tour per le palestre delle nostre scuole o chiederci quanto vale la buona e vecchia “ginnastica”…

E quando senti che per diversi ragazzi ormai la Dad è la soluzione, che è bene continuare così, che si sta meglio a casa, il baratro è già aperto e l’allarme è già suonato.

Dobbiamo inventarci qualcosa.

E se per ora tutto è bloccato, dobbiamo prepararci al dopo, perché prima o poi questo dopo verrà e sarà l’oggi delle domande, delle emergenze e della cura. Che cosa sceglieremo? Avremo il coraggio di onorare anche il corpo dei ragazzi, la loro sete di esperienze? Ci impegneremo ad una gita in più, ad un campo in più, a respiri più profondi ed ampi? Non ci sarà consentito di archiviare questi mesi solo perché, prima o poi, passeranno: il loro peso ci inseguirà ancora per molto e ci chiederà di saper ricostruire come adulti occasioni veramente incarnate, veramente umane.

Sì, forse allora la scuola cambierà, e non perché sdoganeremo il tempo pomeridiano o cambieremo ancora una volta i banchi. Ma perché saremo protagonisti di scelte e proposte belle, grandi, veramente democratiche; non ci preoccuperemo di scrutinare i ragazzi, dentro e fuori la scuola, di classificarli in bravi e e incapaci, figli di brava gente o poveracci per i quali l’ascensore sociale è sempre fuori servizio, ma rivolgeremo quella “terribile” arma su di noi e ci chiederemo se siamo stati e siamo all’altezza, e se quella famigerata e benedetta istruzione, così spesso imperativa e unidirezionale, saprà trasformarsi in educazione, in prossimità, in cura.

E se, prima e dopo la scuola, se insieme alla scuola gli adulti sapranno esserci: le famiglie, forse più desiderose di camminare insieme; e poi gli Oratori… già i vecchi Oratori per qualcuno inutili e da ripensare sempre, tanto che poi quel ripensamento mai arriva: di quanto Oratorio in più avremo bisogno? Di quanto sport inclusivo in più, giocato sulla condivisione di tempo e energie avremo bisogno? Chi lo sponsorizzerà e chi invece lo snobberà per mire solo agonistiche?

Di quanta buona politica in più, sorretta, alimentata e giudicata dalla buona cittadinanza, avremo bisogno?

Appena sarà possibile riaprire, ci dovremo essere: con momenti in più, uscite in più, gioco sociale in più. Torneranno feconde, come sempre è stato in ogni stagione ricostruttiva, le occasioni di socialità intelligente, capaci di offrire stimoli, avventura, idee e esperienze, come i buoni vecchi campi, le buone e vecchie tende, le buone e vecchie occasioni dove ci si sporca le mani e si fa strada insieme. Dovrà sorgere una grande alleanza partecipativa, capace di offrire l’opposto di quanto sinora abbiamo subito: più esperienza, più vicinanza, più tridimensionalità sociale.

Per ora, dunque, il corpo è pesantemente sospeso, espulso. Chi avrà il coraggio di andare a cercarlo e riportarlo dove può e deve stare?

Paolo Arienti
incaricato diocesano Pastorale Giovanile

TeleRadio Cremona Cittanova
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