Giunta all’ospedale di Kansele una prima parte della somma raccolta durante l’Avvento di Fraternità

Intervista a don Ghilardi, incaricato diocesano per la pastorale missionaria, che dall'11 al 19 gennaio è stato a Mbuji Mayi, nella Repubblica Democratica del Congo, dove sorge il nosocomio nel quale opera il cremonese Paolo Carini

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Don Maurizio Ghilardi, incaricato diocesano per la pastorale missionaria, dall’11 al 19 gennaio è stato a Mbuji Mayi, nella Repubblica Democratica del Congo, dove sorge l’ospedale di Kansele nel quale opera il cremonese Paolo Carini. Proprio a favore di questa struttura sanitaria è stato devoluto quanto raccolto da parrocchie e comunità religiose durante l’«Avvento di fraternità». Il sacerdote cremonese ha portato una prima parte della somma di denaro che servirà a Carini per rendere più dignitosi e funzionali gli ambienti. A don Ghilardi abbiamo rivolto alcune domande.

Don Maurizio a che punto sono i lavori nell’ospedale di Kansele?

«Innanzitutto bisogna specificare che dell’intero ospedale solo ad una parte è stata riservata la raccolta in quanto, su indicazione dello stesso Paolo Carini, sarebbe impossibile mettere mano a tutto la struttura in così poco tempo e i fondi non basterebbero a coprire tutte le spese; l’attenzione si è quindi concentrata sul reparto di pediatria e su quello di ginecologia e ostetricia. Le condizioni locali, in questo momento, necessitano in modo urgente di questi due servizi in ragione del numero di nascite e di patologie neonatali sulle quali bisogna intervenire tempestivamente».

Durante il sopralluogo, cosa avete potuto constatare, in termini di necessità?

«Bisogna distinguere la vita al di fuori dell’ospedale, che è molto simile a quella di tutte le nazioni sub sahariane, da quello che accade all’interno della struttura ospedaliera. Nella città di Mbuji Mayi colpisce la grande povertà, l’assenza delle utenze fondamentali: acqua potabile ed energia elettrica sono praticamente inesistenti in gran parte delle abitazioni (in queste settimane, essendo stagione delle piogge ci si può lavare con l’acqua piovana, ma l’acqua da bere è un problema in quanto non ci sono risorse idriche). L’instabilità politica, poi, ha generato anche un’insicurezza nella vita sociale pubblica: sono molte le forze militari disseminate per le vie sia della capitale Kinshasa sia per le strade di Mbuji Mayi. La conferenza episcopale congolese ha fatto del proprio meglio ed è riuscita ad ottenere nuove elezioni da colui che dovrebbe essere ormai il presidente uscente Kabila. Il vescovo di Mbuji Mayi è intervenuto personalmente in diverse zone della città e in alcuni villaggi per far sì che molti miliziani ribelli deponessero le armi. Si respira una calma apparente che dovrebbe arrivare fino al prossimo dicembre, mese nel quale si terranno le elezioni».

E l’ospedale?

«La zona ospedaliera è tutto un cantiere. Gran parte delle strutture precedenti, ormai più che fatiscenti, sono state abbattute per lasciare spazio alle nuove costruzioni. Ovviamente non dobbiamo pensare ai cantieri europei ma a quello che realmente si può fare in una zona dove anche per l’ospedale avere l’acqua pulita da usare nei reparti è quasi una chimera. Lo stesso vale per l’energia elettrica. Attualmente solo dalle 11 del mattino fino a mezzogiorno arriva la corrente che consente, in quell’ora, di far funzionare i pochi computer che ci sono e soprattutto le strumentazioni diagnostiche (l’ecografo, ad esempio). I farmaci, che sono a carico dei degenti, sono pochi. Il medico che sta prestando servizio in pediatria fa del proprio meglio, ma se si pensa che in una condizione di povertà ai degenti spetta pagare l’uso del letto e i farmaci e che i familiari devono soggiornare con il malato in ospedale cucinando per se stessi e per il malato stesso e in più devono lavare la biancheria stando in ospedale… sembra non esserci mai limite al peggio!».

Oltre alla struttura muraria ci sono altri interventi necessari da fare?

«Si sta approntando un impianto fotovoltaico per poter dare energia elettrica sufficiente per far funzionare della culle termiche, che arriveranno in un secondo momento, per poter conservare in frigorifero quei farmaci che vanno conservati a basse temperature. Lo stesso impianto dovrebbe far partire delle pompe per far scorrere l’acqua, accuratamente filtrata, che dalle cisterne di raccolta dovrà raggiungere i nuovi reparti».

Insieme al nostro Paolo Carini, chi lavora all’interno della struttura?

«La direzione generale è affidata al Vescovo di Mbuji Mayi, il quale ha incaricato un suo sacerdote di seguire tutta l’andamento quotidiano; un fratello della comunità dei domenicani, originario del luogo, si occupa del personale, Paolo si occupa della questione economica relativa alle degenze, degli stipendi del personale e degli acquisiti così anche, insieme ad altri volontari italiani che si alternano, della prosecuzione dei lavori».

Avete potuto incontrare la comunità cattolica locale?

«Sì, siamo stati ospiti un pomeriggio di mons. Emanuel Bernard, vescovo della diocesi, con alcuni rappresentanti del clero locale, il quale ha dato la massima disponibilità per coloro che del nostro clero o dei laici volesse sperimentare la missione in Congo; poi abbiamo incontrato la parrocchia nella quale ha sede l’ospedale, affidata alla comunità dei frati minori conventuali (tutti congolesi) con i quali abbiamo vissuto l’Eucarestia domenicale. Un momento molto forte, bello, contrassegnato da una povertà dignitosa e di grande vitalità. L’età media dei fedeli presenti non superava i trent’anni, in un Paese dove l’aspettativa di vita è di sessant’anni!!! Abbiamo poi conosciuto le suore di San Vincenzo de Paoli (anch’esse tutte congolesi) che portano avanti un orfanotrofio con trenta bambini (qualcuno della nostra diocesi si sta preparando per andare a fare servizio estivo proprio in questa struttura). Al momento la struttura non è in grado di ospitante altri, ma la necessità sarebbe almeno tre volte tanto».

Avete portato con voi qualcosa che rappresentasse la nostra terra?

«Non potevano mancare salame e torrone, insieme ad un primo contributo da parte della diocesi e di numerosi privati che in diversi modi hanno voluto partecipare a questo progetto. Per onestà bisogna però dire che i passaggi aeroportuali e doganali non sono semplicissimi in Congo, portare qualcosa è piuttosto complesso. Si sa, ciascuno cerca di vivere come può in una situazione difficile e ad ogni passo ci si sente chiamare: “Monsieur le blanche, monsieur le blanche!!! (che significa: uomo bianco). Lasciamo a voi immaginare le richieste che ne seguivano».

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