Giornata delle persone con disabilità: ma chi lo è realmente?

Una riflessione del diacono Marco Ruggeri impegnato ogni giorno nel progetto di Pet Therapy "La Isla de Burro"

image_pdfimage_print

Il 3 Dicembre è stata celebrata la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, proponiamo una riflessione del diacono Marco Ruggeri, che si occupa del progetto Pet Therapy “La Isla de Burro” che ha come protagonisti spesso delle persone diversamente abili.

Mentre ripensavo al lavoro fatto in questi anni con gli asini del progetto di Pet Therapy “La Isla de Burro”, alle tante persone incontrate, alle ore condivise, alle esperienze maturate, dopo essermi attentamente consultato con tutti e tredici i somari, sono arrivato alla conclusione che l’impostazione di questa giornata andrebbe se non completamente rivista, almeno profondamente integrata.

Si potrebbe fare in questo modo: teniamo il 3 Dicembre così, perché comunque da raccontare, fare e capire sul mondo della disabilità ce né un sacco ed è vitale farlo, ma per favore il 4 Dicembre diventi la “#Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità che non sanno di avere”.
 
Lanciamo questa giornata perché la questione è abbastanza seria.

Già, perché il problema sempre di più non è la disabilità e tutto ciò che implica, ma direttamente le persone disabili. Colpisce, giusto per fare un esempio, che diversi stati della civilissima Europa, si siano dati l’obiettivo di eliminare la Sindrome di Down dai loro territori. Come? Semplice: diagnosi prenatali (mai sicure al 100%) a tappeto e ricorso all’aborto altrettanto a tappeto.

E dove le coscienze provano ad urlare la follia della strada intrapresa, in mille modi le si mettono a tacere: è meglio così – che vita avrebbe – e quando voi non ci sarete più? – siete una famiglia così bella, non createvi problemi – è un atto d’amore risparmiargli una vita come poi avrebbe – con quello che ha, come potrebbe essere felice?
 
Tanti argomenti malamente riassunti, ma che nascondono tutti, ho già avuto modo di parlarne proprio su questo sito, il vero problema: le disabilità fisiche e mentali raccontano in modo inequivocabile ciò che più ci spaventa.

L’uomo in quanto tale, ha come compagno di viaggio il limite, non l’onnipotenza.

E alla parola limite associamo immediatamente tante cose che ci fanno paura e che riteniamo minino alla base la possibilità di una vita felice e realizzata.
 
Le persone disabili, in un cortocircuito mentale che prima o poi sarà sano curare, ci buttano in faccia i nostri peggiori incubi, e allora eliminandole, non vedendole, esiliandole nei ghetti dell’indifferenza, ci si illude di tornare al sogno di una vita “senza limiti”, dove tutto è lecito e possibile, perfetto.

Se poi la vita ci racconterà che non siamo “dei” immortali, ma “idoli” mortiferi, pazienza, ci penseremo a tempo debito (ma si avranno gli strumenti per farlo?), intanto lasciateci “cogliere l’attimo”.

Ma la disabilità ci racconta questo? Perché invece di credere a certe bufale, semplicemente non ci si prende il tempo di vedere, sperimentare, conoscere e capire? Sarebbe semplice e, dopo, tutto evidentissimo.
 
Chi fa i conti con la disabilità certamente affronta dimensioni di fatica spesso enormi, che se lasciate sole e a se stesse rischiano di schiacciare e disumanizzare, questo è sicuro.

Ma la storia che andrebbe raccontata ogni giorno e non solo il 3 Dicembre, dice molto altro. Racconta della possibilità che il limite possa essere assunto, amato, trasfigurato, umanizzato. E quando questo accade, quando la società attraverso la condivisione del limite si scopre comunità, ecco che nessun limite può più schiacciare il singolo.
 
Istituiamo allora il 4 Dicembre per aiutare ogni uomo e donna a scoprire la propria disabilità, che c’è, sempre. Perché se anche sei medaglia d’oro olimpica di triathlon, ma poi paghi una prostituta schiava del racket per tradire tua moglie, sei disabile.

Perché se hai tre lauree e insegni alla Bocconi, ma paghi la colf in nero, sei disabile.

Perché se hai un’industria che ti dà profitti da capogiro, ma avveleni l’aria e fai ammalare di cancro la gente, sei disabile.

Perché se sei potente, riverito e omaggiato, ma sputi sui diritti delle persone, sei disabile.

Se insulti l’arbitro che non ha dato un rigore alla squadra di tuo figlio, sei disabile.

Se parcheggi l’auto nel posto riservato ai portatori di handicap, certo sei disabile, ma non per questo sei autorizzato a farlo.

Se maltratti gli animali, sei disabile.

Se mandi SMS mentre guidi, sei disabile.

Se non guardi nemmeno in faccia chi ti saluta, sei disabile.

Se non sai usare le parole tanto care a Papa Francesco “grazie”, “scusa”, “per favore”, sei disabile.
 
Abbiamo urgente bisogno di guardare in faccia le nostre disabilità, ma non per deprimerci, ma per fare in modo che avvenga in noi ciò che molto spesso e molto bene accade nel mondo di chi la disabilità ha deciso di non fuggirla, occultarla o eliminarla, ma di accompagnarla con amore.
 
Mentre penso a queste cose, mi passa di fianco trotterellando Sara, mia figlia di sette anni con sindrome di Down. A bruciapelo le chiedo: “Sara, secondo te quanto sono disabile io?”

Mi guarda perplessa, mi si arrampica in braccio, mi abbraccia e mi guarda seria: “Tranquillo, io ti amo” e mentre corre via aggiunge “Per sempre, papà”.

In dieci secondi ha fatto quello che probabilmente io non sono riuscito a dire.

Sono davvero diversamente abili.

Diacono Marco Ruggeri

Facebooktwittermail