Fratello Facio: il santo della carità, lavoratore e pellegrino

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Nato a Verona intorno al 1196, intorno ai trent’anni Facio, per motivi politici lasciò la sua città d’origine per trasferirsi a Cremona dove esercitò l’attività di orafo. Il suo viaggio a Verona per riconciliarsi con gli avversari lo costrinse per alcuni anni alla prigionia. Rientrò quindi, probabilmente negli anni sessanta del XIII secolo, a Cremona, dove promosse la Confraternita dello Spirito Santo, della quale divenne massaro (cassiere – elemosiniere). Gli obblighi di questo consorzio sono descritti dal suo affiliato di Piacenza: riunione ogni domenica per raccogliere le elemosine che i massari, eletti tra i confratelli, portavano poi ai poveri che si vergognavano di mendicare. Insieme ai membri ordinari dovevano esserci dei penitenti che si consacravano a tempo pieno a questa attività caritativa. Facio portava mantello e barba, segni esteriori della vita penitenziale volontaria. Come Omobono, dunque, si fece “conversus”: da qui si comprende il titolo di “frater” che gli è stato attribuito.

Le caratteristiche della sua santità possono essere sintetizzate sotto tre aspetti: nel lavoro, nel pellegrinaggio e nella carità. La sua fu una vita di preghiera e penitenza, ma la vita di san Facio lega il suo nome al latino “facere”, presentandolo dunque come un santo attivo e modello facilmente imitabile dal laicato. Lavoro che, però, dagli agiografici non è esaltato in se stesso, ma in quanto serve per l’elemosina ed, essendo orefice, a costruire vasi sacri per le chiese. Il pellegrinaggio nel XIII secolo è un mezzo di santificazione privilegiato. Facio sarebbe stato diciotto volte a San Giacomo di Compostela e altrettante volte a Roma, oltre che in altri santuari. Cristo, la Vergine, l’apostolo Pietro erano l’oggetto della sua devozione. La terza direttrice della spiritualità di san Facio è l’aver trasformato, in modo assai intenso negli ultimi otto anni della sua vita, la sua tensione penitenziale, manifestata soprattutto nei pellegrinaggi, in una scelta di servizio ai poveri. Una vita che si colloca anche nelle lotte politiche del suo tempo e nelle quali si schierò come guelfo per il partito della Chiesa.

Facio morì all’alba del 18 gennaio 1272 e questo fu da subito il giorno della sua festa liturgica. Dopo alcuni spostamenti di date, l’ultima riforma del calendario liturgico ha riportato la sua memoria al “dies natalis”, ma poiché la sua azione fu rivolta prevalentemente alla città di Cremona, il suo culto è declinato e la Cattedrale ne conserva le reliquie, l’Ufficio liturgico diocesano ha ritenuto di non inscriverlo come memoria obbligatoria per tutta la diocesi, ma quale memoria facoltativa, indicando che sia ricordato nella città che l’ha accolto, che ha servito e che ne custodisce la sepoltura.

La principale fonte storica sulla vita e i miracoli di san Facio è un manoscritto in scrittura gotica italiana databile tra fine XIII e inizio XIV secolo. L’originale è conservato ad Harvard, mentre a Cremona, in Archivio di Stato, si trova una copia del 1500. La Vita, edita e studiata dallo storico francese André Vauchez, fu tradotta da don Carlo Bellò nel 1972. L’antico documento è annotato da una scrittura notarile che nei margini sottolinea i momenti salienti della vita e numera i miracoli, informando anche che il codice apparteneva all’Ospedale Maggiore di Cremona e che la vita con la raccolta dei miracoli è stata composta dal presbitero Giovanni su commissione di Giovanni Belli arciprete della Cattedrale. Annotazioni che sono da collocare dunque dopo la metà del XV secolo, epoca in cui venne fondato l’Ospedale Maggiore, la cui chiesa settecentesca, conosciuta come Foppone, era intitolata proprio a san Facio.

 

Approfondimento storico-agiografico su san Facio
(a cura di don Daniele Piazzi)

 

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