Francesco: sotto il giudizio della misericordia

Una riflessione del cremonese don Antonio Agnelli sull'impostazione teologico-pastorale di papa Bergoglio

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Il 13 marzo 2018 ricorre il quinto anniversario della elezione di Papa Francesco. Un traguardo che merita una sintesi della suo metodo teologico-pastorale ben definito, sebbene inevitabilmente frammentato nei diversi interventi, e che rivela il cuore e la visione profetica ed escatologica per certi versi di questo Papa.

È la sua una impostazione chiara di come percepire il senso dei contenuti della fede da tradurre in una testimonianza limpida e coraggiosa, aperta alla relazione con l’intero genere umano che proviene da Dio e a Lui è destinato a ritornare nel compimento definitivo. Come ebbe a dire nell’Angelus del 23 ottobre 2016, il nostro tempo è tempo non di paure ma di coraggio:

“Oggi è tempo di missione ed è tempo di coraggio! Coraggio di rafforzare i passi vacillanti, di riprendere il gusto dello spendersi per il Vangelo, di riacquistare fiducia nella forza che la missione porta con sé. È tempo di coraggio, anche se avere coraggio non significa avere garanzia di successo. Ci è richiesto il coraggio per lottare, non necessariamente per vincere; per annunciare, non necessariamente per convertire. Ci è richiesto il coraggio per essere alternativi al mondo, senza però mai diventare polemici o aggressivi. Ci è richiesto il coraggio per aprirci a tutti, senza mai sminuire l’assolutezza e l’unicità di Cristo, unico salvatore di tutti. Ci è richiesto coraggio per resistere all’incredulità, senza diventare arroganti. Ci è richiesto anche il coraggio del pubblicano del Vangelo di oggi, che con umiltà non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore’. Oggi è tempo di coraggio! Oggi ci vuole coraggio!”.

In questa logica coraggiosa e innovativa, possiamo rileggere i contenuti teologici  di Papa Francesco, alla luce del principio–misericordia, come ebbe a dire il teologo J. Sobrino, che ha ristrutturato l’intero compito teologico, non solo come intellectus fidei, ma come intellectus amoris et misericordiae.

Papa Francesco propone anzitutto una teologia misericordiosa: annuncia un Dio che non è giudice inflessibile, legato a categorie fisse: Egli è, secondo la rivelazione cristiana il Padre/Madre, che ha voluto creare l’umanità per pura libera scelta d’amore.

Dio non solo si rivela ma, nel pensiero del Papa, si auto-comunica, si auto-dona all’umanità  che –sebbene peccatrice – è destinataria, nel Figlio Gesù inviato nel mondo, del suo perdono immeritato e gratuito.

Egli propone, come logica conseguenza, una cristologia della compassione. Il Figlio eterno fatto uomo non viene a giudicare, ma a salvare. La sua azione è sempre compenetrata dalla misericordia del Padre. La sua divinità si esprime non in gesti da super-uomo, ma nella sua umanità, capace di comprendere, risanare, perdonare, guarire, piangere persino dinnanzi all’amico Lazzaro che è morto.

La  morte e risurrezione di Gesù, sono il gesto estremo di solidarietà col mondo peccatore che egli assume in sé, nel sacrificio radicale, per trasformare la libertà umana distruttiva, in libertà di amare. Così lo Spirito Santo incorpora i discepoli nella vita misericordiosa del Figlio e li conduce, li spinge con forza e vigore, ad essere profeti della condiscendenza divina. Il giudizio finale sarà sulla reale prassi di sostegno ai poveri, affamati, assetati, carcerati, forestieri. Papa Francesco cita molto volte il capitolo 25 del Vangelo di Matteo come compendio della vita del cristiano, chiamato a inserire nella storia di peccato la forza indistruttibile dell’amore umile e indifeso, umanamente sconfitto, ma seme immarcescibile di vita nuova.

L’effluvio incessante dell’amore trinitario coinvolge, per il Papa, i singoli, i popoli e anche la natura, creazione divina posta nella mani umane per essere utilizzata nello stile della cura e del rispetto. Francesco quindi propone una vera  teologia della vita integrale, che superi la visione antropologica che fa dello sfruttamento e del profitto l’unico fine dell’agire che sta distruggendo l’ambiente, mettendo in serio pericolo la vita stessa dell’umanità.

Ne è compendio stupendo l’ Enciclica Laudato si che merita profonda analisi e riflessione per essere compresa, assimilata e tradotta in atteggiamenti pratici evangelici.

La prospettiva del Papa riguarda anche  l’auto-comprensione della stessa realtà della comunità cattolica. Egli esprime realmente anche una ecclesiologia misericordiosa. La chiesa è nel mondo non per se stessa, ma per portarvi l’amore smisurato di Dio. Spesso egli richiama l’immagine di S. Ambrogio: il sole è Cristo, senza il quale la Chiesa – luna – non sarebbe che buio, se non ricevesse la sua luce.

Non  è comunità di perfetti, ma di peccatori che affidandosi solo alla grazia del Salvatore, ne vogliono seguire le orme e curare le ferite immense di una umanità lacerata da sofferenze, tragedie, contraddizioni e ingiustizie. L’immagine della Chiesa come di ospedale da campo è di rara efficacia. Non prevale l’ordine, la pulizia, la disciplina, l’essere inamidati, ma il movimento, il dinamismo, la confusione, le bende anche sporche di sangue,  per curare ferite e piaghe, sull’esempio di Gesù che ha toccato e risanato gli impuri, gli esclusi, i senza Dio del suo tempo, dai quali però germina la novità del regno del Padre suo e nostro.

“Gesù Cristo non si presenta ai suoi senza piaghe; proprio partendo dalle sue piaghe Tommaso può confessare la fede. Siamo invitati a non dissimulare o nascondere le nostre piaghe. Una Chiesa con le piaghe è capace di comprendere le piaghe del mondo di oggi e di farle sue, patirle, accompagnarle e cercare di sanarle. Una Chiesa con le piaghe non si pone al centro, non si crede perfetta, ma pone al centro l’unico che può sanare le ferite e che ha un nome: Gesù Cristo.La consapevolezza di avere delle piaghe ci libera; sì, ci libera dal diventare autoreferenziali, di crederci superiori. Ci libera da quella tendenza «prometeica di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato».In Gesù, le nostre piaghe sono risorte. Ci rendono solidali; ci aiutano a distruggere i muri che ci imprigionano in un atteggiamento elitario per stimolarci a gettare ponti e andare incontro a tanti assetati del medesimo amore misericordioso che solo Cristo ci può offrire”. (Papa Francesco ai sacerdoti, religiosi in Cile, 16 gennaio 2018)

 

Questa Chiesa della misericordia non auto-referenziale, apre spazi all’amore di Dio portandolo a tutti ma a partire inevitabilmente dagli ultimi, scartati, vittime di ogni sistema culturale, politico ed economico che schiaccia la dignità e distrugge l’esistenza. in questo senso Papa Francesco, dà ulteriore consistenza  a una teologia degli impoveriti. I poveri sono il vero luogo teologico della ecclesiologia perché in essi è presente la stessa carne di Cristo.

“Noi non possiamo diventare cristiani inamidati, quei cristiani troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre prendono il tè, tranquilli. No! Noi dobbiamo diventare cristiani coraggiosi e andare a cercare quelli che sono proprio la carne di Cristo, quelli che sono la carne di Cristo!”.

Cosi si è espresso durante l’incontro con le aggregazioni laicali l’8 maggio 2013 e ha poi ripetuto innumerevoli volte questo concetto teologico fondamentale, dando statuto pieno ad un servizio al povero che non è solo buona volontà umana, ma reale azione che riconosce la sacramentalità dell’umiliato ed offeso, la cui carne umana è trasparenza e nel contempo sostanza di quella del Figlio eterno fatto uomo.

I sacramenti stessi della Chiesa sono comunione col crocifisso e risorto che ci unisce al suo sacrificio nello Spirito per ricondurci al Padre.

Per Papa Francesco le celebrazioni sacramentali sono luoghi della guarigione dalle nostre debolezze e fragilità. In essi riceviamo misericordia, perdono, forza di continuare a lottare. Non sono celebrazioni per i perfetti, ma nutrimento per gli affaticati e provati dalla vita.

Da tutto questo scaturisce per Papa Francesco una teologia pastorale, innovativa e profetica, nei confronti della quale si sono scatenate polemiche basate su falsità eclatanti.

Egli infatti chiede anzitutto che la Chiesa al suo interno segua pastoralmente la prassi di Gesù:  per questo insiste sulle riforme, sulla necessità di sfuggire al fascino del potere, della carriera, del sentirsi migliori degli altri. Egli ha usato anche l’immagine della piramide rovesciata per descrivere una ecclesiologia del servizio e dell’umiltà: chi ha più responsabilità deve portare di più il peso del servire e mettersi in gioco per il sostenere i carismi e non spegnerli.

La fede deve essere comunicata nella gioia che scaturisce dal  Vangelo che resta buona notizia,  per divenire lievito per la massa, dinamismo effervescente, libertà contagiosa, pronta a subire calunnie ed emarginazione, senza paure o compromessi.

Papa Francesco domanda  a tutti i credenti di saper dialogare, capire, comprendere soprattutto le situazioni di marginalità, di fragilità e fatica delle persone e delle famiglie che con sacrifici vivono la loro quotidianità e che possono conoscere anche il fallimento della unione coniugale. Gesù non ha mai rifiutato nessuno, ha chiesto  pentimento e conversione, ma a partire da un cuore ricolmo di pietà come quello del Padre che aspetta ogni istante il ritorno del figlio che si è allontanato per far festa con tutti.

La stessa prassi di Gesù, la cui preferenza è accordata ai malati, affamati, bisognosi, scartati, emarginati, lebbrosi, impuri, diventa per il Papa, criterio di giudizio della realtà storica in cui siamo inseriti. Poiché il regno di Dio è la sua azione misericordiosa, il Papa non può non denunciare, secondo l’assodata metodologia latinoamericana, le forze dell’anti-regno che distruggono la vita.

Il sistema economico escludente ammantato di religiosità, per dimostrarne l’ineluttabilità; l’idolatria del denaro e del profitto,  la distruzione ambientale che ne consegue, lo scandaloso commercio delle armi che alimentano guerre senza fine, la tratta delle persone, la condizione disumana dei migranti, la corruzione imperante, lo sfruttamento dei lavoratori, diventano tutte situazioni da interpretare teologicamente.

In esse si trova il rifiuto del Dio della vita venuto a far comunione con noi in Gesù. Allora il discepolo non può che denunciare questo, mettersi al fianco dei crocifissi e cercare insieme a tutti gli uomini di buona volontà, di toglierli dalla croce della disumanità. Papa Francesco grida queste cose ai potenti, che non sembrano ascoltarlo, e nel contempo incoraggia tutti quei movimenti popolari che in ogni angolo della terra, sospinti dallo Spirito, tessono idee, comportamenti, relazioni nuove, alternative, in grado di porre le basi per un futuro diverso e costruire nelle pieghe nascoste e nelle vene aperte della storia il regno di Dio. In essi vi è la presenza del Dio vivente che costruisce i cieli nuovi e la terra nuova, attraverso una teologia della resistenza, più che mai necessaria oggi.

Altri aspetti potrebbero essere analizzati ed approfonditi, ma credo questo basti per comprendere la novità del papato di Francesco, che poi non è altro che  la più pura tradizione, quella del Vangelo di Gesù accolto nella sua originale freschezza e verità.

Se il credente deve guardare a tutto sub specie aeternitatis, Papa Francesco ci invita a capire che l’eternità è l’amore inesauribile del Dio Trinità misericordiosa, che ci chiede di seminare tale amore nei sentieri della storia umana leggendola quindi sub specie misericordiae.

                                                                                                                 don Antonio Agnelli

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