Congresso Eucaristico, Messa di apertura del card. Bagnasco: «Nel nostro Paese c’è un anelito di senso»

Giovedì 15 settembre in piazza Matteotti a Genova il primo atto del grande evento ecclesiale che si concluderà domenica 18

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“Vorremmo che l’Italia si accorgesse che sta accadendo qualcosa nel suo grembo, qualcosa di vero e di bello che la riguarda da vicino”. È un passaggio dell’omelia del card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, presidente della Cei e inviato speciale del Papa, nella Messa che ha aperto giovedì 15 settembre a Genova, in piazza Matteotti, il 26° Congresso eucaristico nazionale, sul tema: “L’Eucaristia sorgente della missione. Nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro”. “Il nostro pensiero corre al Santo Padre Francesco”, ha aggiunto subito dopo: “Egli è con noi con quell’affetto caldo e paterno che tutto il mondo conosce e ricambia. Lo ringrazio per aver voluto nominare me come suo inviato speciale per questo momento tanto significativo. A lui rinnoviamo il nostro affetto filiale e la nostra pronta comunione”.

Dio non è lontano

“Intendiamo annunciare che Dio non è lontano, che nessuno è orfano in questo angosciato tempo, che non siamo vagabondi senza meta, che la solitudine non è il nostro destino, che l’ingiustizia non è l’ultima parola, perché tutti abbiamo una casa che ci  aspetta”. È la missione dei credenti, delineata da Bagnasco, il cui primo obiettivo è portare la “luce” dell’Eucaristia “ai fratelli e alle sorelle di questo amato Paese”. “Sappiamo che – nonostante segni contrari – un anelito, un’attesa, un desiderio di senso plenario batte anche nel cuore del nostro  tempo”, la convinzione del presidente della Cei, secondo il quale “non dobbiamo aver paura dell’apparente sordità, ma lasciare che questo battito salga lentamente dall’anima dell’uomo fino a farsi ricerca e scoperta. Portare la luce; non è forse questa la missione della Chiesa? Sì, è questa, come ci sollecita costantemente il Santo Padre”.

 

Una serena ansia apostolica

“Siamo tutti esposti al pericolo di rallentare il passo e di assestarci in uno schema che frena l’impegno: può succedere nella vita personale come nella comunità cristiana e nella stessa società”. Parla di realismo cristiano l’arcivescovo di Genova che poi aggiunge: “Come credenti, siamo qui per ritrovare una serena ansia apostolica, così da dire ovunque che Gesù è il Signore, senza preferenza di persone e senza equilibrismi di inutile prudenza”, l’invito del porporato: “Possa dimorare in noi l’ardore del seminatore del Vangelo che sparge a larghe mani senza calcoli: lo fa – potremmo dire – perfino senza criterio, rischiando di perdere la semente sulla strada, tra le pietre e tra i rovi”. La Chiesa “non è un’organizzazione, ma il Corpo di Cristo”, ha puntualizzato il presidente della Cei, e “il nostro compito non è quello di scegliere i terreni, i luoghi, le persone, le categorie: dobbiamo, piuttosto, avere il tratto largo e abbondante del braccio, e soprattutto del cuore! I criteri della missionarietà, come di ogni pastorale, sono infatti quelli delle persone”. “Il gesto instancabile del seminatore non è solo generoso – ha proseguito -: è anche sereno e pieno di fiducia”, perché “il frutto del seme non dipende da noi, ma dal seme stesso”. “Sappiamo che la semente è buona e feconda in se stessa, e questo ci rassicura”, le parole del cardinale: “Sappiamo che questo seme è la parola di Cristo: noi siamo i piccoli operai del Vangelo, gli umili braccianti della vigna, mentre Lui è il Seme e il Seminatore, colui grazie al quale il raccolto matura, quindi non secondo i nostri tempi, ma con quelli del Signore. Questa fiducia ci consente, dopo aver faticato tutto il giorno, di poter anche andare a riposare sereni: domattina usciremo di nuovo da casa, dalle nostre sicurezze, e di nuovo andremo incontro alla novità dei terreni, ad imprevisti lieti o dolorosi. Ma il nostro cuore starà nella pace, sapendo che il Signore è fedele”.

 

Con Gesù l’orizzonte cambia

“Annunciare il Vangelo è vivere Cristo, e partecipare alla missione è vivere la Chiesa” ha proseguito il cardinale che poi ha fatto notare che “quando si vive l’incontro con Gesù – così come si vive un rapporto d’amore – l’orizzonte cambia, il cielo è diverso, la vita prende spessore. In Lui tutto è diventato luce, anche le croci. E se la missione è attrazione, ogni cristiano dovrebbe vivere in modo tale da fare invidia – santa invidia! – ad altri che, sorpresi, si chiederanno il segreto di questo singolare modo di stare nel mondo, di vivere le cose di tutti, gioie e affanni”. “Il nostro segreto non è nostro, ma di tutti, poiché Dio abita là dove lo si fa entrare”, ha spiegato il presidente della Cei evocando la “Chiesa in uscita” di Papa Francesco: “Come Gesù ad Emmaus, che sembra precipitarsi nella locanda con i due discepoli che l’hanno invitato a fermarsi!”.

 

Identiki della comunità ecclesiale

“Essere figli e fratelli è la Chiesa”. Nella parte finale della sua omelia Bagnasco ha tracciato un identikit della comunità ecclesiale partendo dalla Croce. “La Chiesa nasce dal Crocifisso, dal suo sangue versato e dal suo corpo dato”, ha spiegato: “Nasce dal suo abbandono tra le braccia del Padre. E l’Eucaristia ci porta, a nostra volta, tra le braccia di Dio, rinnovando la gioia di essere figli di Colui che ha tanto amato gli uomini da mandare il suo Figlio per noi”. In questa prospettiva, “celebrare i divini misteri è per la Chiesa tornare alla fonte della grazia, al grembo della vita secondo lo Spirito”. “Lontani da questa fonte – ha ammonito il presidente della Cei – la buona volontà si prosciuga, la perseveranza si allenta, l’entusiasmo degli inizi perde smalto, le delusioni e la stanchezza hanno il sopravvento: anche l’amore ha le sue fatiche!”. “Se vivere l’Eucaristia è per noi un tornare alla sorgente della bellezza cristiana, allora l’Eucaristia è l’acqua sorgiva che suscita l’annuncio del Vangelo, perché il mondo sia redento e si sveli a tutti il segreto della gioia”, l’invito: “Negarci alla missione e alla carità significherebbe negarci all’Eucaristia; sarebbe un tradire l’Eucaristia stessa”.

 

La carità non ha muscoli da esibire

“Affidarci al Sacramento ci fa creature nuove, capaci non solo di fare cose grandi, ma di vivere in modo grande le piccole cose di ogni giorno; di fare del poco che siamo un dono per gli altri”. Ha detto il porporato nell’ultimo passaggio dell’omelia della Messa di apertura del Congresso eucaristico nazionale, a piazza Matteotti. “La carità – ha puntualizzato – non ha muscoli da esibire, ma piccole anfore da portare, anfore comunque capaci di dissetare la sete dei poveri nel corpo e nello spirito”. “Va in questa direzione – ha osservato il presidente della Cei – la colletta che domenica prossima viene fatta in tutte le nostre diocesi: un segno di solidale condivisione che si aggiunge alla preghiera per quanti sono stati duramente colpiti dal terremoto nel centro Italia”.

L’omelia integrale del card. Bagnasco

Il programma del Congresso eucaristico e la partecipazione dei cremonesi

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