Laici sempre più protagonisti della missione

La riflessione di don Maurizio Ghilardi in questo mese dedicato all'evangelizzazione "ad gentes"

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“Nel nome della Misericorda”. È questo lo slogan scelto dalla Chiesa italiana per focalizzare questo ottobre missionario che culminerà domenica 23 ottobre con la celebrazione della 90ª Giornata missionaria mondiale. Come di consueto saranno tre le veglie di preghiera promosso dall’ufficio missionario: giovedì 20 ottobre nella chiesa dell’Annunciazione a Cassano d’Adda per le zone milanesi-bergamasche con mons. Napolioni, venerdì 21 ottobre nella chiesa di San Pietro a Bozzolo per le zone casalasco-mantovane con il vescovo saveriano Giorgio Biguzzi e sabato 22 ottobre in Cattedrale per le zone cremonesi con il vescovo Antonio. In questo mese tutte le comunità sono invitate, nella preghiera e nella riflessione, ad innalzare il livello di consapevolezza del comune mandato missionario. A tal proposito pubblichiamo una riflessione di don Maurizio Ghilardi, responsabile diocesano della pastorale missionario, sul ruolo della laici nell’evangelizzazione “ad gentes”.

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Il diffondersi della Chiesa a Gerusalemme e ad Antiochia trovò nei laici i suoi autori. Sono innumerevoli le testimonianze di laici che si sono fatti promotori dell’annuncio evangelico. Soprattutto ad Antiochia, dove i credenti arrivarono dopo essere stati dispersi a causa delle prima persecuzioni, erano laici coloro che generarono le prime piccole comunità al di fuori di Gerusalemme.

La pagina degli Atti degli Apostoli, nella quale Pietro comprende che deve imparare egli stesso ad andare oltre la propria cultura d’origine (At. 10) per incontrare gli uomini e le donne del suo tempo senza esclusione di provenienza, ci insegna come e il perché la missione evangelizzatrice è qualcosa di appartenente a tutti i laici nella Chiesa: essi sono gli “attori” e i destinatari del Vangelo, insieme ai pastori delle loro comunità che necessitano essi stessi di continua conversione.

L’azione dello Spirito, che soffia dove vuole, con l’apostolato di un generoso manipolo di laici è alla radice, per esempio, della Chiesa di Dio in terra coreana. Il primo germe della fede cattolica, portato da un laico nel 1784 al suo ritorno in Patria da Pechino, fu fecondato sulla metà del secolo XIX dal martirio che vide associati 103 membri della giovane comunità. Fra di essi anche coniugi con i loro figli.

Ancora oggi in molte aree africane e sudamericane la figura del laico catechista, e delle comunità di base, prive della figura sacerdotale stabile e residente, è tra i principali punti di riferimento per i cattolici. Corresponsabile con i sacerdoti della propria comunità il laico raggiunge sovente situazioni critiche nelle famiglie o nei singoli, intercetta i bisogni, vede valorizzata e sostenuta la sua identità di battezzato, partecipe del sacerdozio derivante dal Battesimo.

È questa una realtà di Chiesa di cui il Concilio Vaticano II ha profusamente trattato; in antichità quella Chiesa “laicale” aveva già mosso i suoi passi poi, però, per lungo tempo, soprattutto nel vecchio Continente, tutto sembra essere diventato appannaggio del sacerdote. In realtà: consapevolezza del proprio ruolo nella Chiesa, condivisione del vissuto quotidiano all’interno di relazioni di prossimità con culture e religioni diverse, rendono i laici, in molte parti del mondo, tutt’oggi, i primi e veri evangelizzatori.  

Nella stessa Cina (dove oggi i cristiani sono circa quindici milioni con un costante incremento annuo, su una popolazione di un miliardo e trecento milioni di abitanti), dove la vita per le comunità cattoliche non è mai stata certo semplice, lo sviluppo della Chiesa ha trovato nei laici, grazie alla predicazione di un numero esiguo di missionari a partire dal XVII secolo, il canale attraverso il quale far scorrere la linfa di un umanesimo nuovo seppur culturalmente molto distante e di una dottrina che poco si prestava all’inculturazione. Il mantenersi del Cristianesimo in Cina si è reso possibile grazie ai nobili di corte che si erano convertiti e che si interfacciavano con le classi dirigenti, ma soprattutto alle comunità laiche, nei villaggi più poveri dove ad avere il ruolo preponderante nella trasmissione della fede erano le donne. Erano comunità che ricevevano il sacerdote tre o quattro volte l’anno e quindi avevano come responsabili dei laici per la gestione del culto: ascolto della Parola, preghiera, catechismo una volta la settimana. Battesimi e funerali erano appannaggio dell’intera comunità. Questo agire, organizzarsi, strutturarsi, ha consentito alle piccole comunità cristiane cinesi di sopravvivere fino ai giorni nostri e di consegnare un Cristianesimo alle generazioni che si sono succedute, quelle incontrate anche dai nostri cremonesi: padre Zanardi e mons. Barosi.

In vaste parti del mondo (in particolare in Brasile e nell’Africa sub sahariana), a tutt’oggi, i laici impegnati nelle comunità di base come catechisti o come animatori nei centri di ascolto delle missioni, costituiscono l’ossatura della Chiesa che, in forza della carenza di clero e di consacrati, si trova a diventare ciò che di fatto deve essere: luogo nel quale ognuno mette a disposizione i propri carismi ed esercita il sacerdozio battesimale.

Per rimanere in Europa, la Chiesa che è in Francia è tra le comunità che da anni è maggiormente soggetta a questo tipo “ritorno” alle origini. Non mancano certo difficoltà e probabili deviazioni, ma l’aumento dei battesimi tra laici adulti, francesi d’origine e immigrati, ci dice ancora una volta come il laicato si sia fatto carico di quell’annuncio gioioso e fecondo che è appunto il Vangelo della misericordia; espressione di missionarietà e aiuto reciproco, il laicato si sta riappropriando di ciò che è suo per natura battesimale.

La nostra Chiesa locale, soggetta anch’essa alla diminuzione di clero, consacrati e missionari ad gentes, assiste però al movimento di molti giovani che, forse non sempre consapevoli del loro ruolo e delle loro scelte, si decidono per l’esperienza della missione a tempo breve, per alcuni preludio di una scelta definitiva o almeno più matura. Potrebbero essere segno di una Chiesa che anche da noi inizia a guardarsi e ad agire in modo diverso? Con tutte le domande e le perplessità del caso che possono emergere, insieme al Sinodo dei Giovani e a tutta la pastorale parrocchiale, forse potremo generare comunità più consapevoli di se stesse e del proprio grande difficile ruolo.  

La Chiesa aiuta già i laici in questi percorsi con tutti i documenti e la predicazione frutto di anni di riflessione, non siamo sguarniti di strumenti e soprattutto non siamo privi di testimonianze passate e presenti che possono metterci sulla giusta strada.

Don Maurizio Ghilardi

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