Viaggio in rsa, luogo di vita vera alla soglia dell’eternità

Riflessi Magazine ha intervistato il dottor Perati, medico della casa di riposo di San Bassano e presidente della sezione cremonese dell’Amci, l’associazione dei medici cattolici italiani

image_pdfimage_print

Riproponiamo alcuni passaggi del servizio sulla situazione delle case di riposo sul territorio pubblicato sull’edizione di giugno di Riflessi Magazine, con l’intervista a Pierluigi Perati medico della casa di riposo di San Bassano e presidente della sezione cremonese dell’Amci, l’associazione dei medici cattolici italiani.

Il confine tra la vita e la morte attraversa le nostre comunità e si avvicina a ciascuno di noi inesorabilmente», scriveva Papa Giovanni Paolo II nell’ottobre del 1999, quasi ottantenne, nella Lettera agli Anziani. «Se la vita è un pellegrinaggio verso la patria celeste, la vecchiaia è il tempo in cui più naturalmente si guarda alla soglia dell’eternità».

Per molti, è la casa di riposo il luogo liminare, la comunità di frontiera prima di compiere l’ultimo passaggio. Le rsa (Residenze Sanitarie Assistenziali) accreditate sul territorio cremonese sono 35 e ospitano circa quattromila residenti. Dietro alle porte a vetri e alle finestre affacciate sui cortili si rimescolano storie e memorie annebbiate, sentimenti ancora accesi e attese vibranti. […]

Forse è il motivo per cui le parole del dottor Gianluigi Perati aprono squarci di luce e ci spingono a riflettere.

Perati è dirigente medico dal 1994 della Fondazione Istituto Vismara-De Petri di San Bassano e presidente della sezione cremonese dell’Amci, l’associazione dei medici cattolici italiani. Dopo una tesi di laurea sull’ortopedia racconta di essersi avvicinato alla geriatria perché «è una disciplina che permette di prendersi cura della persona a tutto tondo», nei suoi aspetti clinici, ma anche sociali e relazionali. «L’ingresso in casa di riposo per l’anziano ha i connotati della perdita, della mancanza della vita che conduceva in precedenza», spiega. «Eppure molte persone sviluppano capacità di adattamento superiori a quelle di un ragazzino. La rsa si trasforma allora nel luogo dove la vita raggiunge la propria compiutezza. Ricordo un signore, morto a 95 anni, che era stato imprigionato in Germania da soldato durante la seconda Guerra Mondiale e aveva attraversato momenti difficili. Anche in casa di riposo tuttavia non aveva mai smesso di vivere con serenità come aveva sempre fatto, testimoniando a tutti la sua grande fede in Dio. Mi è rimasto nella memoria l’incontro con una signora che stava vivendo i suoi ultimi giorni, la mente ancora lucidissima. Nella sua stanza, stava piangendo. “Perché piangi?”, le chiedo. “Per gratitudine” mi risponde. “Ringrazio Dio per tutte le cose belle che mi ha dato”. Questo significa bellezza, serenità, compiutezza di vita».

L’rsa rappresenta una nuova forma di comunità, non meno ricca e significativa di quella in cui l’individuo ha tessuto le sue relazioni fino a quel momento. […] «Noi vogliamo combattere questa visione delle rsa come contenitori del nulla, parcheggi in attesa della morte. Le rsa sono strutture dove le relazioni e gli affetti devono avere un valore fondamentale, lo stesso che attribuiamo al cibo buono e al sonno buono. Per troppo tempo si è pensato alle rsa come a ospedali di secondo livello, ma sono luoghi di vita vera, in cui il vissuto della persona ha valore fino alla fine, fino al suo compimento. Per noi è importante aiutare i nostri residenti a ritrovare autonomia, nei movimenti e nella cura della persona, ma anche una quotidianità e un recupero delle proprie passioni […]».

Recentemente sulle rsa si è abbattuto in molti modi il flagello del Covid-19, non solo causando una strage straziante ma anche continuando ad alimentare un’immagine distorta. «In televisione si è parlato di luoghi dove le persone vanno a morire come gli animali» racconta Perati. «Quando l’ho sentito, mi è venuto in mente Luigi, un signore che risiede nel nucleo abitativo che gestisco. È stato un importante imprenditore, ha avuto una vita piena e dinamica, ora è cieco, fatica a camminare e sopporta con grandi sforzi i disagi di dover condividere la stanza con altre persone. Nei momenti più difficili della pandemia il nucleo abitativo era praticamente isolato per evitare contagi. Io stesso cercavo di entrare il meno possibile. Ma un giorno, dopo aver saputo della mia presenza, Luigi ha fatto di tutto per incontrarmi e stringermi le mani: “Grazie perché so che state facendo di tutto per non farci ammalare”. È stata una boccata di ossigeno in un periodo tremendo». […]

Leggi l’articolo completo >

servizio di Mattia Bazzoni e fotografie di Federica Cattagni per Riflessi Magazine

TeleRadio Cremona Cittanova
Facebooktwittermail