Verso Santiago de Compostela

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Il cammino di Santiago è diventato un richiamo ormai per tanti, soprattutto durante i mesi estivi quando, ragazzi e adulti decidono di intraprendere, a piedi o in bici, il lungo percorso che da Roncisvalle, seguendo il cosiddetto cammino francese, conduce, in 790 kilometri, a Santiago de Composela. Meno frequentato è il cammino antico che segue la costa atlantica e passa da Oviedo o quello portoghese che parte la Lisbona. I pellegrini spagnoli invece percorrono una strada che attraversa diagonalmente la penisola, da Siviglia a Santiago in 1040 Km.

Questi alcuni dei cammini, ma quali le motivazioni per il cammino verso Santiago? E che cosa si va a fare a Santiago?

Senza pretendere di entrare nel cuore più intimo di ogni persona e tanto meno di permettermi giudizi, è tuttavia evidente che per tanti è un bel percorso di trekking che fa tendenza.

Già nel 2015 i vescovi delle diocesi spagnole e francesi attraversate dal cammino avevano pubblicato una lettera pastorale congiunta, intitolata: “Il cammino di Santiago: ricerca e incontro”. Il dato che muoveva la riflessione era che il 70% delle persone che fanno il cammino non hanno motivazioni religiose, ma sono mosse da un vago desiderio di ricerca di senso e di novità nella vita.

Per questo è legittima la preoccupazione dei Vescovi, affinché anche oggi si riscoprano e si vivano le dimensioni più autentiche del pellegrinaggio giacobeo. Anche nel 2018 i Vescovi hanno voluto rimarcare la dimensione spirituale del pellegrinaggio affrontando in una nuova lettera pastorale il tema “Accoglienza e ospitalità sul cammino di Santiago”. L’ospitalità e l’accoglienza sono due cardini del vero pellegrinaggio, contrassegnati da “segni esteriori”, ma anche dallo sforzo di offrire opportunità che aiutino la ricerca spirituale.

Come fare allora affinché il cammino di Santiago ritorni ad essere quello per cui è nato? Come fare per intercettare quelle domande di senso che sono nel cuore profondo di ogni persona, superando le apparenze di una semplice esperienza esteriore?

Sono le domande che anch’io mi sono fatto mentre attraversavo, con tre amici, villaggi, boschi e campi dai colori straordinari di un tratto del cammino francese, da Leon fino alla meta: un’esperienza bella, fatta di silenzio e di preghiera, di dialogo e di confronto; esperienza rivissuta l’anno successivo, questa volta solo in tre, da Roncisvalle a Burgos.

Il cammino di Santiago nasce tra il primo e il secondo millennio e porta fino alla Galizia a venerare la tomba dell’Apostolo Giacomo, il maggiore, figlio di Zebedeo, fratello di Giovanni, ambedue ricordati come “i figli del tuono”. Nei racconti evangelici lo troviamo nel gruppo ristretto dei discepoli prediletti da Gesù, testimone della trasfigurazione, della risurrezione della figlia di Giairo, chiamato a vegliare nell’orto degli ulivi: per lui e per il fratello, la madre aveva chiesto al Maestro un posto di privilegio nel Regno.  Da quanto leggiamo negli Atti degli Apostoli, Giacomo è il primo dei Dodici a donare la vita per Cristo, ucciso per ordine di Erode Agrippa, intorno alla Pasqua del 44 d.C.

Queste sono le scarne notizie attestate dalla Sacra Scrittura.

Avvolte nella leggenda ma accolte dalla tradizione sono invece le vicende legate alla presenza della tomba di Giacomo in questo lembo estremo della penisola iberica che dall’Apostolo prende il nome.

Chi dunque, fin dal lontano medioevo, andava a Santiago lo faceva per motivazioni di fede: come a Roma si andava per venerare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, come a Gerusalemme si andava per venerare il sepolcro glorioso di Cristo, così il richiamo di Santiago era la tomba di Giacomo, il maggiore.

Nascerà ben presto anche una guida al cammino, ad uso dei pellegrini che segnalerà sentieri, alloggi, luoghi santi da venerare e metterà in guardia dai pericoli che si incontreranno, guida confluita in quello che diventerà il Codice Callistino, tutt’ora conservato a Santiago.

Gente che proveniva dall’Italia o dal centro Europa, dalla Francia e dall’Inghilterra si incontrava lungo il cammino e, condividendo la stessa fede, celebrava la lode a Dio, chiedendo al Padre della misericordia il perdono delle colpe.

Tuttavia non si può negare che, dopo l’anno mille, il fascino del “finis-terrae” abbia influito sulla scelta di questo pellegrinaggio, tanto che giunti a Santiago molti dei pellegrini camminavano per un ulteriore tratto di strada fino alle spiagge dell’oceano, nell’estremo lembo di terra, dove raccoglievano la bianca conchiglia, diventata uno dei simboli del cammino.

E il miracolo del cammino, ieri come oggi, è quello della fraternità.

Per questo il 23 ottobre del 1978, mentre si andava a costruire “la casa comune europea” il Consiglio d’Europa riconosceva il camino de Santiago come primo “Itinerario culturale europeo”: le diverse culture europee si sono intrecciate come le vie e i sentieri oltrepassano le distanze, le frontiere e gli ostacoli della lingua.

Dopo oltre quarant’anni da questa dichiarazione, in un contesto culturale e sociale molto cambiato, dove i sovranismi sembrano prevalere e l’Europa rischia di implodere su sè stessa, il cammino di Santiago, può aiutare a ripensare i fondamenti più belli e autentici dell’Europa, della pace e della giustizia, secondo l’idea vincente dei padri fondatori, Adenauer, Schuman, e De Gasperi, che dopo la seconda guerra mondiale avevano voluto mettere le basi per una Europa unita che resta ancora oggi un sogno da realizzare.

Quello della riscoperta dei valori e delle radici rimane così un grande servizio dei cristiani ai popoli dell’Europa, un servizio che non è supplenza ma passione per l’uomo e per la convivenza pacifica dell’umanità.

don Roberto Rota