Mons. Perego: «Il mio motto episcopale? “Gaudium et spes”»

Intervista al nuovo arcivescovo di Ferrara-Comacchio: «C’è la preoccupazione di essere “il pastore di tutti”, in cui tutti possano riconoscere una guida per crescere nella fede, nella speranza e nella carità, tra le contraddizioni e le speranze di oggi»

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A pochi giorni dall’annuncio della nomina di mons. Gian Carlo Perego ad arcivescovo di Ferrara-Comacchio e abate di Pomposa, il settimanale diocesano “La Vita Cattolica” ha raggiunto il sacerdote di origine cremonese, per ora ancora direttore generale della Fondazione Migrantes, per alcune domande. Il novello presule ha rivelato il suo motto da vescovo: «Gaudium et spes», titolo della costituzione del Concilio Vaticano II dedicata alla Chiesa nel mondo contemporaneo.

Don Gian Carlo  la Chiesa le sta affidando un nuovo servizio pastorale: come sta vivendo questo passaggio della sua esistenza?
«Sono diversi i sentimenti che affollano il mio cuore e i pensieri che si intrecciano nella mia mente in questo momento di “grazia”, di  amore di Dio e della Chiesa per me. C’è il ringraziamento al Santo Padre per questo gesto di fiducia e di stima nei miei confronti, per la scelta di volermi affidare la cura di una porzione della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica; c’è il ringraziamento alla mia Chiesa di Cremona, che mi ha generato alla fede, accompagnato al presbiterato e ora all’episcopato; c’è il pensiero ai poveri, ai migranti e – al tempo stesso – alla solidarietà che nei miei incontri in giro per Italia, in questi 15 anni in Caritas Italiana e alla Migrantes, ho imparato a conoscere e ad amare con un’ammirazione crescente; c’è la preoccupazione di essere “il pastore di tutti”, in cui tutti possano riconoscere una guida per crescere nella fede, nella speranza e nella carità, tra le contraddizioni e le speranze di oggi».

Come immagina il suo futuro ministero episcopale? Di “quale” Vescovo pensa abbia bisogno la Chiesa del nostro tempo?
«Il Concilio Vaticano II ci ha regalato, nel decreto Christus Dominus il profilo del Vescovo oggi. A cinquant’anni da quel profilo uscito nell’assise conciliare, con il voto favorevole di oltre 2000 vescovi di tutto il mondo, credo che oggi un Vescovo debba sentirsi membro del collegio episcopale e unito al successore di Pietro e con loro custode di una Parola e di una Tradizione che, oggi come ieri e sempre, possono accompagnare la vita degli uomini e trasformarla. Questa custodia il Vescovo la esercita in diocesi dentro un cammino liturgico, catechistico e di carità insieme con i presbiteri, i diaconi, i consacrati, i fedeli laici, valorizzando gli organismi di partecipazione. In questo cammino il Vescovo non può che dare priorità all’ascolto, alle relazioni, ai luoghi. E con la sua Chiesa il Vescovo entra in città, vive in città, dialoga con la città e con persone, realtà nuove, esperienze religiose diverse, anche con persone lontane da un’esperienza di fede. In questo incontro le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dell’uomo di oggi, soprattutto dei più poveri diventano le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce della Chiesa di oggi, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, nel meraviglioso documento sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Ed è per questo che in questi giorni ho maturato l’idea che il mio motto episcopale sarà “Gaudium et spes”».

Papa Francesco sta disegnando nuovi connotati alla Chiesa e ai suoi Pastori, per certi versi con inedito coraggio. Che ne pensa?
«Papa Francesco oggi invita la Chiesa e, in essa, i suoi Pastori a ritornare ad essere “dentro” la città, a non ritirarsi sopra il monte per una rinnovata e gioiosa testimonianza di fede. Una “Chiesa estroversa”, non nel senso di una nuova originalità, ma di una nuova fedeltà ad essere “sacramento”, segno concreto della Grazia. Questo chiede ad ogni presbitero e Vescovo l’amore alla terra dove si vive, l’impegno – già chiaro al Concilio di Trento con i cardinali santi Bellarmino e Borromeo – alla “residenza”, che non contraddice l’andare evangelico, continuamente ripetuto da papa Francesco, ma lo interpreta in maniera nuova: dentro una Chiesa per camminare insieme. Questa passione per la Chiesa che ti è affidata, continuamente affermata da papa Francesco, è la premessa indispensabile per una riforma della Chiesa».

Cosa è cambiato in lei in questi anni di lavoro a contatto con la realtà dei migranti, dei rifugiati, dei profughi?
«Gli ultimi 20 anni del mio ministero presbiterale sono stati dedicati particolarmente a due organismi ecclesiali: Caritas e Migrantes. Le storie, i disagi, i conflitti, i muri dentro e fuori che queste relazioni con i poveri e i migranti, i rifugiati e i rom e sinti, gli artisti di strada e la gente dello spettacolo viaggiante mi hanno fatto incontrare, mi hanno indicato in maniera chiara come la strada della fraternità sia l’esperienza più realistica che possiamo costruire nella Chiesa e nella città. Questo chiede di ridisegnare le nostre strutture, i percorsi di formazione cristiana, l’impegno sociale e politico, la storia familiare ed educativa. Non è facile questa strada della fraternità, ma è l’unica che può dare speranza e futuro».

Il giorno della nomina ufficiale ha comunicato di voler essere ordinato Vescovo a Cremona. Perché?
«Un Vescovo è il frutto di una Chiesa Madre che lo ha generato e accompagnato, della fraternità di un presbiterio. Come prete diocesano Cremona è la mia Chiesa Madre: alla mia famiglia, alla mia parrocchia di Agnadello, al Santuario di Caravaggio, al seminario, con gli educatori, professori, alla cara parrocchia del Cambonino, ai giovani della FUCI e ai membri del MEIC, ai poveri che ho incontrato in questa città di Cremona, con la sua storia, arte e cultura, impegno sociale che ho studiato e amato, debbo il mio episcopato. Come ho detto il giorno dell’annuncio, non potevo partire da questa Chiesa e da questa città senza prima dargli un bacio riconoscente: l’ordinazione a Cremona, presieduta dal Vescovo Antonio, sarà questo bacio, arricchito dalla grazia dell’episcopato».

Ferrara e Comacchio: da conoscere, da servire e da guidare. Da Cremona e dagli anni di lavoro alla CEI cosa portare “in valigia” per il nuovo viaggio che inizia?
«Ricordi, affetti, testimonianze di fede, sofferenze condivise, tanti incontri e un desiderio: la semplicità».

Speciale nomina di mons. Perego ad arcivescovo di Ferrara-Comacchio

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