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Clausura e Missione

  “Bisogna prendere in considerazione il mondo contemplativo, stabilire un ponte fra le due sponde essenziali alla Chiesa e alla civiltà. La sponda della contemplazione e la sponda dell’azione. Ma, ahimè, bisogna fare attenzione perché l’azione deve scaturire dalla contemplazione. Altrimenti è un girare a vuoto, come un motore ingolfato che fa molto rumore ma non riesce a partire; oppure come delle ruote che girano a vuoto nel fango ma non attaccano …”.

Così diceva il grande e indimenticabile Giorgio La Pira. Padre Valentino Bosio, Vincenziano (1938-2004), missionario in Borneo, scrisse varie lettere alle Monache Domenicane di clausura del Monastero San Giuseppe, allora situato in Fontanellato (Parma). Esse rappresentano un bell’esempio di come si può concretizzare questa esortazione di Giorgio La Pira. Un missionario del nostro tempo, morto 1’8 giugno 2004 e rimasto in missione circa 34 anni (dalla fine del 1970), scrive alle suore Domenicane amiche, per chiedere preghiere e raccontare le sue avventure nelle foreste del Borneo, con toni avvincenti, commossi: da un lato partecipa alle sorelle la sua singolare esperienza fra popolazioni tribali che stanno scoprendo Cristo, dall’altro vuol partecipare alle ricchezze della loro contemplazione.

  Un giovane missionario italiano, a diecimila chilometri dall’Italia e immerso nelle foreste del Borneo indonesiano (oggi si chiama Kalimantan Barat), fra popoli “primitivi” distanti mille miglia dalla nostra cultura e religione, leggendo il settimanale diocesano di Cremona “La Vita Cattolica”, nel 1995 scopre che a Fontanellato c’è una suora, una sorella di clausura nata vicino al suo paese in provincia di Cremona, e le scrive entrando così in comunicazione con le Domenicane. Prima non si conoscevano, poi la fede li rende fratello e sorella in modo autentico: si vogliono bene, si scrivono partecipando i loro problemi, gioie e sofferenze, soprattutto pregano a vicenda e si aiutano spiritualmente, che in fondo è la cosa più importante.

Queste preghiere e questa corrispondenza hanno illuminato il missionario, per volgerlo ancor più all’unione con Dio e alla contemplazione che, come dice lui stesso, aumenta la nostra capacità di lavorare. Potrebbe sembrare un assurdo: se tolgo spazio al lavoro, la produttività diminuisce; invece è vero il contrario, la capacità e il rendimento nel lavoro aumentano. È uno dei tanti misteri della fede, che chi non ha fede, o ne ha poca, non riesce a capire. Citando Paolo VI, padre Valentino definisce le claustrali “cuore della Chiesa” e “le compagne dell’ evangelizzazione”.

Giusto e bello, lo sappiamo tutti, ma ci pensiamo poco. Portare il Vangelo agli uomini, e soprattutto infondere efficacia soprannaturale alle nostre attività di evangelizzazione, non è opera di noi uomini, della nostra intelligenza e capacità, ma solo di Dio. Noi siamo, e lo ripetiamo spesso, “servi inutili”, cioè strumenti di cui Dio si serve per toccare il cuore degli uomini e convertirli: chi ci rende utili, nelle nostre piccole e povere attività umane, è solo l’aiuto, la forza, la grazia di Dio!

  Le lettere di padre Bosio meritano di essere lette, anzi sono una buona lettura spirituale e possono servire di meditazione anche alle persone più distratte. Non sono infatti minestrine riscaldate di verità astratte che abbiamo letto e sentito tante volte, ma portano in un mondo lontano e interessante, raccontano esperienze molto concrete di Vangelo di cui abbiamo urgenza anche noi in Italia; e poi, nel dialogo fraterno con le sorelle di clausura, ci fanno capire che la vocazione delle Domenicane come di tutte le suore dei monasteri italiani di contemplazione, è una vocazione missionaria al cento per cento! Sono donne consacrate a Dio e alla preghiera che “abbracciano già il mondo intero con l’amore di Gesù Cristo”, come scrive una di loro; o, come diceva un’insegnante di catechismo ricordata in queste lettere, con le loro preghiere e la loro stessa vita sono “i parafulmini della società”. Questa è una “buona notizia”: ci dà coraggio, ci fa sapere che non siamo soli nel combattere l’unica guerra giusta, che è quella contro le forze del male e perché il Vangelo diventi la luce e la norma di vita per tutti gli uomini e tutti i popoli.

                                                                        Estratto dalla Prefazione alla prima edizione delle lettere, 2005.
                                                                        Piero Gheddo, missionario del PIME

San Giuseppe
La preminenza di San Giuseppe su ogni altro santo

  La dottrina secondo la quale S. Giuseppe, dopo Maria, è stato ed è sempre più unito a nostro Signore di ogni altro santo, tende sempre più a diventare una dottrina comunemente ricevuta dalla Chiesa.

  S. Giovanni Battista era incaricato di annunziare la venuta immediata del Messia. Si può dire che egli fu il più grande precursore di Gesù nell’Antico Testamento. S. Tommaso intende così la parola. di Gesù in S. Matteo (11, 11): In verità vi dico che fra i nati di donna non venne mai al mondo alcuno più grande di Giovanni il Battista. Ma nostro Signore, aggiunge subito: Ciò nonostante il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Il regno dei cieli è la Chiesa della terra e del cielo; è il Nuovo Testamento, più perfetto come stato dell’Antico. E chi nella Chiesa è il più piccolo? E nella Chiesa chi è il più umile? Quello che non fu né apostolo, né evangelista, ne martire, almeno esteriormente, né pontefice, né sacerdote, né dottore, ma che conobbe e amò il Cristo Gesù certo non meno degli Apostoli, degli Evangelisti, dei Martiri, dei Pontefici e dei Dottori, e cioè l’umile artigiano di Nazareth, l’umile Giuseppe.

  Gli Apostoli erano chiamati a far conoscere agli uomini il Salvatore, a predicare loro il Vangelo per salvarli. Gesù è rivelato agli Apostoli perché sia annunziato a tutto l’universo. Esso è rivelato a Giuseppe perché lo taccia e lo nasconda. Gli Apostoli sono delle luci per far vedere Gesù Cristo al mondo. Giuseppe è un velo per coprirlo; e sotto questo velo misterioso vien nascosta la verginità di Maria e la grandezza del Salvatore delle anime. Colui che glorifica gli Apostoli per l’onore della predicazione, glorifica Giuseppe per l’umiltà del silenzio.

  Dopo Maria, Giuseppe fu quegli che stette più vicino all’Autore stesso della grazia. E se fu così, certo egli ricevette nel silenzio di Bethleem, durante il soggiorno in Egitto e nell’umile casa di Nazareth, più grazie di quel che non abbia ricevuto e non riceverà mai alcun Santo.

  Quale fu la missione eccezionale di Giuseppe presso il Signore? Veramente il Verbo di Dio fatto carne gli fu affidato. Giuseppe vegliò tutte le ore, notte e giorno sull’infanzia di Nostro Signore. Spesso tenne nelle sue mani colui nel quale vedeva il suo Creatore e il suo Salvatore. Egli ricevette certo da lui grazia su grazia durante i lunghi anni nei quali visse con lui nella più grande intimità quotidiana. Egli lo vide crescere e contribuì alla, sua educazione umana. Gesù gli fu sottomesso.

  Fu questa la missione principale di Giuseppe. Missione unica, altissima quella di custodire il Figlio di Dio, il Re del mondo, la missione di custodire la verginità, la santità di Maria, la missione unica di entrare in partecipazione del grande mistero, nascosto agli occhi dei secoli e di cooperare così all’Incarnazione e alla Redenzione! Tutta la santità di Giuseppe sta precisamente nel compimento, fedele fino ano scrupolo, di questa missione sì grande e sì umile, sì alta e sì nascosta, sì splendida e così circondata di tenebre.

Da “L’amore di Dio e la croce di Gesù” di P. Garrigou Lagrange, OP

Immagine: Giotto, San Giuseppe (particolare de “La fuga in Egitto”), Cappella degli Scrovegni, Padova.

TEMPO DI QUARESIMA

Al momento favorevole ti ho esaudito

e nel giorno della salvezza ti ho soccorso.

Ecco ora il momento favorevole,

ecco ora il giorno della salvezza.

2 Cor 6, 2

  Carissimi, fra tutti i giorni che la devozione cristiana celebra con onore in molti modi, nessuno è più importante della festa di Pasqua, dalla quale tutte le altre festività della Chiesa di Dio attingono la loro sacra solennità. Lo stesso Natale del Signore è legato al mistero pasquale, perché il Figlio di Dio non nacque se non per poter essere confitto in croce.·

  Nel grembo della Vergine fu accolta una carne mortale; in quella carne mortale si è compiuta la passione, per ineffabile disegno della misericordia di Dio, affinché diventasse per noi sacrificio di redenzione, remissione del peccato, e principio di resurrezione per la vita eterna. Se consideriamo poi che per mezzo della croce tutto il mondo è stato redento, comprendiamo che è giusto prepararci a celebrare la Pasqua con un digiuno di quaranta giorni, per poter partecipare degnamente ai divini misteri.

E si devono purificare da ogni macchia di peccato non solo i più grandi vescovi, i semplici sacerdoti e i diaconi, ma tutto il corpo della’ Chiesa, tutti i fedeli, affinché il tempio di Dio, il cui fondatore è lo stesso fondamento, sia magnifico in tutte le sue ‘pietre e splendente in ogni sua parte. Infatti, se le regge e i palazzi delle autorità supreme sono a ragione abbelliti con .ogni genere di ornamento affinché le loro abitazioni siano tanto più sontuose quanto più grandi sono i loro meriti, con quale cura non si dovrà edificate e ornare la dimora di Dio stesso!

  Questa dimora, che non può essere incominciata e terminata senza il suo autore, esige tuttavia la collaborazione di chi la costruisce, partecipando con la propria fatica alla sua edificazione. Infatti, per la costruzione di questo tempio si prende una materia viva e dotata di ragione, che lo Spirito anima con la sua grazia, affinché spontaneamente si cementi in un unico corpo. Questa Chiesa è amata e cercata da Dio, perché a sua volta cerchi chi non la cerca e ami chi non l’ama, come dice il beato apostolo Giovanni: «Noi dobbiamo amarci perché egli ci ha amati per primo» (1 Gv 4, 11. 19). Poiché dunque tutti insieme e ciascun fedele in particolare formiamo un unico tempio di Dio, questo dev’essere perfetto nel singolo come in tutti. E anche se la bellezza di tutti i membri non è identica e neppure possibile un’uguaglianza di meriti in tanta varietà di parti, tuttavia l’unione della carità ottiene un’ armonia di bellezza. Così tutti i membri sono uniti in un amore santo, e pur non godendo in eguale misura dei benefici della grazia, si rallegrano a vicenda dei rispettivi beni; e tutto ciò che amano appartiene ad essi, in quanto coloro che si allietano del bene altrui si arricchiscono a proprio vantaggio.

ORAZIONE

O Dio, nostro Padre, concedi al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male.
Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Dal «Discorso 48» di san Leone Magno, papa.

Immagine: Cristo e l’angelo, Moretto, Pinacoteca, Brescia.

OGGI IL RE DEL CIELO NASCE PER NOI DA UNA VERGINE, ALLELUIA!

L’angelo disse ai pastori:

Vi annunzio una grande gioia che sarà di tutto il popolo: *

Oggi vi è nato nella città di davide un Salvatore,

che è il Cristo Signore.

Troverete un bambino avvolto in fasce,

che giace in una mangiatoia.

Oggi vi è nato nella città di davide un Salvatore,

che è il Cristo Signore.

Dalla Liturgia

  «Oggi ci è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore, nella città di Davde» (Lc 2, 11). Questa città è Betlemme ed è là che dobbiamo accorrere come fecero i pastori appena udito l’annunzio. «È questo per voi il segno: troverete un bambino, avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,12).

  Ecco perché vi ho detto che dovete amarlo: temete il Signore degli angeli, ma amatelo tenero bambino; temete il Signore della potenza, ma amatelo avvolto in fasce; temete il re del cielo, ma amatelo deposto in una mangiatoia.

 Quale segno ricevettero i pastori? «Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». Egli è il salvatore, egli è il Signore: è poi una cosa straordinaria essere avvolto in fasce, giacere in una mangiatoia? Non si avvolgono in fasce anche gli altri bambini? Che segno è questo? Grande certamente, se però riusciamo a comprenderlo. E lo potremo, se non ci limitiamo ad ascoltare questo messaggio di amore, ma anche accogliamo nel cuore la luce che apparve con gli angeli. Essa brillò appena dato questo annunzio, per insegnarci che ascoltano veramente soltanto coloro che accolgono nel cuore la luce del cielo.

  Molte cose ci sarebbero da dire su questo mistero; ma il tempo è passato, perciò dirò ancora poco e in breve. Betlemme, «casa del pane» è la santa Chiesa, in cui si dispensa il corpo di Cristo, il vero pane. La mangiatoia di Betlemme è l’altare in chiesa. Qui si nutrono le creature di Cristo. Di questa mensa è scritto: «Hai preparato una mensa dinanzi a me» (Sal 22, 5). In questa mangiatoia c’è Gesù avvolto in fasce. Le fasce sono il velo del sacramento. Qui, sotto le specie del pane e del vino, c’è il vero corpo e sangue di Cristo. In questo sacramento noi crediamo che c’è Cristo vero, ma avvolto in fasce ossia invisibile. Non abbiamo nessun segno così grande e evidente della natività di Cristo come il corpo che mangiamo e il sangue che beviamo ogni giorno accostandoci all’altare: ogni giorno vediamo immolarsi colui che una sola volta nacque per noi dalla Vergine Maria. Affrettiamoci dunque, fratelli, a questo presepe del Signore; ma prima per quanto ci è possibile, prepariamoci con la sua grazia a questo incontro, perché ogni giorno e in tutta la nostra vita, «con cuore puro, coscienza retta e fede sincera» (2 Cor 6, 6) possiamo cantare insieme agli angeli: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,14).

  Per lo stesso Cristo nostro Signore, a cui sia onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Dal «Discorso 2 per Natale» di sant’Elredo, abate

AVERE IL PARADISO IN CASA

  In questi giorni l’urna contenente le reliquie di S. Imerio, S. Facio, S. Paola Elisabetta Cerioli, S. Vincenzo Grossi. S. Francesco Spinelli e dei Beati Enrico Rebuschini e Arsenio da Trigolo sosta presso le Monache Domenicane di ‘S. Sigismondo’ in attesa di essere collocata, domenica prossima, nel nuovo altare della Cattedrale.

  Noi Monache di clausura sentiamo questa sosta come un privilegio che ci fa amare ancor più la nostra vocazione. Domenica prossima noi non saremo presenti in cattedrale. La clausura, infatti, anche nelle normative più recenti emanate da Papa Francesco, esclude la partecipazione fisica a eventi importanti della comunità ecclesiale. La esclude per favorire una più intensa comunione spirituale, invisibile ma reale, in cui crediamo fortemente e che in questo caso ci è dato quasi di toccare con mano.

  Ci sentiamo membra vive della Diocesi e la dedicazione del nuovo altare non ci lascia indifferenti. A quell’altare della Cattedrale, centro della Chiesa locale, sul quale viene offerto il sacrificio eucaristico noi ci uniamo quotidianamente con la nostra assidua preghiera di lode.

  Avere tra noi le reliquie di alcuni santi cremonesi proprio in questi giorni in cui celebriamo la festa di tutti i santi e commemoriamo i defunti è un po’ come ‘avere il Paradiso in casa ’: li preghiamo, li onoriamo, ci sentiamo fortificate e protette dalla loro intercessione, ci è di esempio la loro vita nel nostro cammino di santità. Comunitariamente stiamo facendo anche una novena che termineremo proprio sabato, vigilia dell’evento.

  Alla dedicazione del nuovo altare e all’adeguamento liturgico della nostra Cattedrale ci siamo preparate con una interessantissima catechesi che ci ha tenuto il nostro Cappellano Don Daniele Piazzi, personalmente coinvolto ai lavori in corso quale responsabile dell’Ufficio Liturgico Diocesano. Egli ci ha descritto l’iter del progetto e i vari passaggi del rito spiegandoci i significati simbolici dei vari segni liturgici utilizzati durante la celebrazione. Al termine della sua conferenza don Piazzi ha firmato con la Madre Priora il verbale della deposizione delle reliquie nell’urna di ottone satinato e argentato, e ha sigillato l’urna con un nastro rosso e con il sigillo di Mons. Antonio Napolioni.

  Si realizza per noi in questi giorni un’occasione privilegiata e speciale per rinsaldare e rendere più consapevole in nostro inserimento in Diocesi. Quindici anni or sono, proprio partendo dalla Cattedrale, è iniziata la nostra presenza a Cremona. Celebravamo allora due giubilei concomitanti: il IX centenario del Duomo e l’VIII centenario di fondazione delle Monache Domenicane. Da allora i cremonesi hanno percepito la nostra presenza silenziosa come una presenza vitale. In tanti ci manifestano stima e affetto. La nostra preghiera quotidiana dà voce alle loro intenzioni di supplica e di lode e si innalza come rendimento di grazie a nome di tutti.

Le Monache Domenicane

Liturgia del Paradiso
Brevi meditazioni sull'eterna beatitudine che ci attende

1 novembre

TUTTI I SANTI

Dalla Liturgia

Seconda lettura

È già un fatto compiuto – Come la risurrezione del Cristo non è chiara con evidenza a tutti, ma è oggettodella fede, così la vita nuova del cristiano non è èper tutti una realtà concreta e tangibile. E coloro che si rifiutano di riconoscere il Cristo si chiudono alla possibilità di riconoscere anche la vita di Dio presente nei santi e in tutti i veri credenti. Molto dipende da noi: se veramente viviamo da figli di Dio, manifestiamo l’amore del padre e invitiamo gli uomini a riconoscerlo.

Dalla prima lettera di Giovanni apostolo

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!
La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin dora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo cosi come egli è.
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

Parola di Dio.

Vangelo

La rivincita finale – Ecco la porta d’ingresso del regno di Dio. Vi passeranno solo i poveri, i piccoli, gli umili, i vinti, gli oppressi. Queste beatitudini rinviano direttamente alla situazione angosciosa degli Ebrei in Egitto, i quali, secondo il libro dell’Esodo, erano poveri, schiavi, perseguitati, affamati, oppressi e non ne potevano più. Ma per questi sventurati, di ieri e di oggi, è giunto il liberatore. Le beatitudini sono quindi come un’altra pasqua, l’annuncio di una novità, di una speranza realizzata, di una liberazione avvenuta. Ma non è scomparso il lungo corteo di coloro che sono vicini alla disperazione; cercare il Cristo significa unirsi a loro, prendere le loro difese e servire la loro speranza.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Parola del Signore.

2 novembre

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

Dalla Liturgia – Terza Messa

Prima lettura

Immortalità dei giusti – La vita è un continuo non-senso: malati che soffrono senza motivo, malvagi che prosperano negli affari, innocenti che muoiono vittime dell’ingiustizia e della sopraffazione. Come si può credere in Dio e confidare nella sua Protezione? È un ragionamento che sentiamo ripetere spesso, perché dal nostro punto di vista le cose non quadrano affatto. Ma è solo apparenza. In realtà, la vita dei giusti, con tutte le loro prove e sofferenze, è un camminare incontro a Dio, e la loro speranza è piena di immortalità. Il Cristo, con la sua risurrezione dai morti, ha dato «corpo» a questa speranza.

Dal libro della Sapienza

Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace.

Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza resta piena d’immortalità. In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici,

perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiolo e li ha graditi come l’offerta di un olocausto.

Nel giorno del loro giudizio risplenderanno, come scintille nella stoppia correranno qua e là. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro.

Coloro che confidano in lui comprenderanno la verità, i fedeli nell’amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti.

Parola di Dio.

SALMO RESPONSORIALE

Dai Salmi 41-42 (42-43)

R/. L’anima mia ha sete del Dio vivente.

Come la cerva anela
ai corsi d’acqua,
così l’anima mia anela
a te, o Dio.

L’anima mia ha sete di Dio,
del Dio vivente:
quando verrò e vedrò
il volto di Dio?

Avanzavo tra la folla,
la precedevo fino alla casa di Dio,
fra canti di gioia e di lode
di una moltitudine in festa.

Manda la tua luce e la tua verità:
siano esse a guidarmi,
mi conducano alla tua santa montagna,
alla tua dimora.

Verrò all’altare di Dio,
a Dio, mia gioiosa esultanza.
A te canterò sulla cetra,
Dio, Dio mio.

Perché ti rattristi, anima mia,
perché ti agiti in me?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

(Messalino quotidiano dell’assemblea ed. EDB, 1984)

Immagine: Beato Angelico, Predella della Pala di Fiesole, particolre.

SEPARATE…MA NON DIVISE: ULTIMO CAPITOLO

Beati coloro che custodiscono le mie vie

e vegliano ogni giorno alle mie soglie,

chi trova me trova la vita.

(Prov 8, 34-35)

  La nostra comunità ha avuto la felice sorte di dimorare, dal 1817 al 2007, nel monastero attiguo al Santuario dedicato a Maria, Regina del S. Rosario: il Santuario di Fontanellato (PR). Detto Santuario frequentatissimo dalla diocesi di Parma, è meta di numerosi pellegrini della zona emiliana e di diverse altre regioni della nostra penisola. La sua origine risale agli inizi del secolo XVII. E’ sorto per lo zelo apostolico dei figli di S. Domenico nel propagare la preghiera del Rosario, nonché per un voto fatto dalla popolazione in occasione di un’epidemia mortale scoppiata nel 1630 da cui la B. Vergine preservò i suoi devoti.

  La risposta di Maria alla fede implorante delle anime attraverso i secoli è ampiamente dimostrata dagli innumerevoli ex voto che fanno l’ornamento più caratteristico del Santuario.

  Gli eventi bellici dei secoli XVIII -XIX con la loro triste storia di soppressioni di conventi e di monasteri hanno condotto nel 1817 a Fontanellato una piccola comunità di monache domenicane, le quali, sorrette dall’aiuto divino, avevano resistito alla dura prova di dover lasciare il loro monastero di Colorno, fondato dalla principessa Madre Giacinta Domenica Borbone, e di vivere in case private senz’abito religioso per sette anni. Ma la lunga attesa e le loro sofferenze furono compensate da una duplice gioia: quella tanto sospirata di trovare un asilo che ridonasse loro la possibilità di vivere la regola monastica che avevano professato; e la gioia inattesa di trovarsi accanto a una di quelle sedi di misericordia divina, in cui Maria si fa larga dispensatrice di grazie.

  La figura discreta e silenziosa di S. Giuseppe di cui il monastero portava e porta tutt’ora il nome, è il compendio più significativo della nuova missione che attendeva le nostre prime sorelle: servire nell’ombra del nascondimento Gesù e Maria, lavorare, donarsi senza essere viste perché essi fossero conosciuti, amati e accolti da una moltitudine di fratelli.

  Il lento corso del tempo ha portato a forti mutamenti di condizioni ambientali e di mentalità. Anzitutto nel 20° secolo, si è fatta via via più facile la viabilità. Ai nostri giorni il Santuario è meta quotidiana di pellegrinaggi. Ogni anno migliaia di persone accorrono a pregare la Madonna del Rosario di Fontanellato in un edificante esprimersi di fede e di devozione popolare. La riforma liturgica ha reso possibili le Messe vespertine e attualmente le varie celebrazioni eucaristiche si alternano nelle varie espressioni di culto mariano in un ininterrotto susseguirsi di preghiere, canti, processioni…

  Forti mutamenti si sono avuti anche in merito alla vita nei monasteri, in modo particolare dal Concilio Vaticano II. Dopo il Concilio, pe le monache l’antica norma del “non vedere e non essere viste” si è rivelata non più rispondente allo spirito della riforma liturgica conciliare. L’attuale disposizione chiede che le Monache possano vedere bene l’altare e che i fedeli possano essere partecipi delle nostre celebrazioni. Cosa che a Fontanellato non era possibile.

  Per la nostra Comunità è iniziato un lento processo di attenzione e di ascolto dei segni rivelatori della volontà di Dio. Il cammino di discernimento è stato fatto progressivamente, all’unanimità, sollecitato in alcuni momenti da fattori esterni, ma compiuto soprattutto nel desiderio di fedeltà alla nostra vocazione. Poco per volta la strada si è fatta chiara. La serena unanimità della Comunità, l’approvazione dei Superiori dell’Ordine e della Chiesa, gli aiuti inattesi e provvidenziali che il Signore ha posto sul nostro cammino, ci hanno confermato che la via intrapresa era conforme al volere divino.

  Il bisogno di un luogo dove esprimere meglio il nostro carisma si è incontrato col desiderio della Diocesi di Cremona di ridare vita ad un antico monastero utilizzato per decenni come centro diocesano di spiritualità.

  L’impegno che ci ha richiesto il trasloco ha reso più forte l’unità tra noi e non ci ha impedito di compiere un intenso cammino di preparazione spirituale. È stato per tutte tempo favorevole per ricordare con gratitudine il passato, vivere con passione il presente, aprirci con fiducia al futuro, punteggiando con particolari celebrazioni e momenti di preghiera le varie tappe.

Siamo giunte così all’8 dicembre 2007, giorno del nostro ingresso ufficiale a Cremona. Il Vescovo, i Sacerdoti e i seminaristi con numerosissimi fedeli ci hanno accolto in Cattedrale con un abbraccio veramente affettuoso e cordiale. L’Ordine Domenicano era rappresentato da alcuni Superiori della nostra comunità e da vari Confratelli della Provincia San Domenico in Italia. Il Vescovo Diocesano, nella sua omelia, ci ha subito poste nel cuore della “Santa Predicazione”, affidandoci fin dal nostro ingresso l’impegno di associarci con la preghiera e la penitenza ad una particolare iniziativa di evangelizzazione: la missione cittadina ai giovani. “Noi siamo convinti – egli ha affermato – che l’efficacia di questa missione, l’efficacia spirituale che tocchi il cuore di tanti giovani, dipenderà da voi. Certo dalla preghiera di noi tutti, certo dalla capacità di proporsi dei giovani missionari, certo dalla disponibilità di ascolto anche di quanti saranno incontrati, ma noi siamo certi che nessuna delle nostre parole potrà arrivare al cuore di qualcuno se in quel cuore prima non ha fatto breccia la vostra preghiera.”

  Il 6 gennaio 2008, è stata posta nella nostra nuova sede la clausura papale. Abbiamo sentito come rivolte a noi le parole della Lettera del S. P. Domenico alle Monache di Madrid: “Finora non disponevate di un edificio adatto alla vostra vita. Ora non potete più portare questa scusa perché, grazie, a Dio, disponete di locali idonei…” e con rinnovato slancio ci siamo riproposte di vivere come “apostole degli Apostoli”.

  In questi anni di residenza a Cremona abbiamo sperimentato che davvero il Signore ricambia col centuplo ogni sacrificio compiuto per Suo amore e col salmista cantiamo: “Celebrate il Signore perché è buono, eterna è la sua misericordia!..”.

Chi desidera approfondire la storia della nostra Comunità Monastica può leggere “Storia di una rinascita“.

FESTA PER GLI ANGELI IN CIELO: MARIA E’ ASSUNTA NELLA GLORIA!

Bella, e tutta gloriosa,
la Vergine Maria passa da questo mondo a Cristo;
splende tra i santi come il sole tra gli astri.

Godono gli angeli, si rallegrano gli arcangeli per l’esaltazione di Maria.

(dalla Liturgia)

  Se sono degne di lode le festività di tutte le santi vergini, che fino al termine della loro vita conservarono la purezza della mente e del corpo, trionfando per la misericordia di Dio sulla sregolatezza di questo mondo, di quanta maggiore venerazione, fratelli, è allora degna quella solennità nella quale si celebra il transito della Vergine delle vergini da questa vita temporale al riposo eterno! Infatti crediamo non solo che ella è degna di essere ricordata da noi, ma che è ancora più degna di onore da parte degli stessi santi spiriti angelici, che esultano di solenne gioia nel vedere che la Madre del Signore e del sommo Creatore condivide insieme ad essi l’eterna beatitudine.

  Una madre, cioè, che ha concepito nel suo grembo ed è casta; ha generato un figlio ed è vergine; una madre immacolata, una madre incorrotta, una madre intatta: la Madre dell’unigenito Signore e Re di tutti, plasmatore e creatore di ogni cosa. È madre di colui che nell’alto dei cieli è senza madre e sulla terra è senza padre; di colui che nel cielo è nel seno del Padre secondo la divinità, mentre sulla terra è nel grembo della madre per aver assunto il corpo.

  Perciò la Vergine Maria è detta Madre dell’Unigenito Dio: degna del Degno, immacolata del Santo, una dell’Uno, unica dell’Unico. Infatti né sulla terra è venuto un altro unigenito Dio, né un’ altra vergine ha generato l’Unigenito.

  Per queste ragioni, ammirando la sua grandezza nel silenzio del nostro cuore, fratelli carissimi, eleviamo un inno di lode e diciamo: O veramente beata Vergine Maria, riconosci la tua gloria, quella gloria cioè che l’angelo ti ha annunziata; quella che Giovanni ha profetato per bocca di Elisabetta, quando non era ancora uscito dal suo grembo: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc 1, 42).

  Tu, o Maria, hai meritato di accogliere quella venuta promessa al mondo intero tanti secoli addietro; sei divenuta dimora dell’immensa maestà; solamente tu per particolare privilegio hai posseduto per nove mesi la speranza del mondo, il decoro dei secoli, la comune gioia di tutti.

  Colui che ha dato inizio ad ogni cosa, da te ha preso inizio e dal tuo corpo ha preso il sangue da versare per la vita del mondo.

  La vita di tutti i secoli è nata dall’unico tuo parto: tu hai meritato di chiamare figlio tuo il Padre degli angeli.

  Ecco, tu sei esaltata al di sopra dei cori degli angeli, accanto al figlio Re e, Madre felice, in eterno regnerai Regina. Colui al quale hai offerto l’ospitalità del tuo seno, ti ha dato il regno dei cieli.

  Ebbene fratelli, proprio nel dire queste cose, mi sembra che tutta la lode della sua gloria ne risulti sminuita ed ogni discorso cede alla magnificenza del suo onore.

  La lodino gli angeli, l’esaltino gli arcangeli, esultino con inni di lode tutte le potenze celesti e l’intera comunità dei santi. Ma ciò nonostante mi sembra che la dignità del suo onore sia ancora superiore.

  Fratelli, nel meditare queste cose non disperiamo né rifuggiamo la sua lode, anzi eleviamola sempre di più a seconda delle nostre capacità, ed esultiamo nella sua proclamazione, poiché la sua bontà soccorrerà ciò che manca alle nostre possibilità.

  Purifichiamo la nostra coscienza dalle opere morte e prepariamoci alla confessione di fede di un così grande nome. Ogni persona ed ogni età si premuri di adornare con una buona condotta di vita la celebrazione di una così grande festività. Ciascuno si sforzi di restare saldo in ciò in cui è stato chiamato.

  Dunque sia che essi siano nobili, sia ignobili, sia servi, sia liberi, sia uomini, sia donne, sia vecchi e sia giovani, tutti ugualmente ascoltino l’Apostolo dire: «State saldi nella fede, comportatevi da uomini, siate forti. Tutto si faccia tra voi nella carità» (1 Cor 16, 13-14).

  E se la santa Madre di Dio vedrà che noi che partecipiamo alla sua festività ci comportiamo in questo modo, facilmente impetrerà per noi la giusta consolazione nel presente e la vita eterna nel futuro, per dono del Signore nostro Gesù Cristo, che vive e regna Dio insieme a Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Rabano Mauro, Omelia sull’Assunzione della beata Vergine Maria;
PL 110, 55 B-56 D

Immagine: Bernardino Gatti, Pala dell’Assunta, Cattedrale di Cremona, 1572.

Lettera di S. Domenico alle monache di Madrid

San Domenico scrisse la lettera sotto riportata nella seconda metà del 1220, un anno prima di morire. La scrisse ad una Comunità di monache, residenti a Madrid, proprio quando stavano per entrare in possesso del loro monastero, appena donato e sistemato allo scopo.
Questo, insieme a due lettere, sono gli unici scritti del Santo che ci sono pervenuti.

  Fra Domenico, maestro dei Predicatori, alla diletta Priora e a tutta la comunità delle suore di Madrid augura salute e uno spirituale miglioramento di giorno in giorno.

  Molto ci rallegriamo e rendiamo grazie a Dio per il fervore della vostra santa vita religiosa e perché il Signore vi ha liberate dal fetore di questo mondo.
 Figlie mie, combattete continuamente col digiuno contro l’antico avversario, poiché non riporterà la corona della vittoria se non chi avrà debitamente combattuto.
  Finora non avevate un locale adatto a condurre la vostra vita religiosa, ma d’ora in avanti non potete più portar ciò a scusante, perché grazie a Dio ora disponete di edifici sufficientemente idonei per lo svolgimento della vita regolare. Voglio, quindi, che d’ora innanzi sia osservato il silenzio nei luoghi in cui è proibito parlare, vale a dire in refettorio, in dormitorio e nell’oratorio. Quanto agli altri luoghi, attenetevi a quanto prescrive la Regola.
  Nessuna varchi la porta del monastero per uscirne e nessuno vi entri, fatta eccezione per il Vescovo e per qualche altro prelato che venga a predicare o in visita canonica.
  Non risparmiatevi nelle penitenze e nelle veglie. Siate obbedienti alla vostra Priora. Non perdetevi in chiacchiere e non sciupate il vostro tempo in pettegolezzi.
  E poiché non siamo in condizione di venirvi in aiuto nelle necessità temporali, non vogliamo però neanche aggravare la vostra situazione permettendo che qualche Frate possa avere facoltà di accettare e di far entrare donne nel monastero: ma questo lo decida unicamente la Priora col suo Consiglio.
  Ordiniamo inoltre al nostro carissimo fratello (ossia a Fra Mannes), che tanto ha fatto per voi e per portarvi ad abbracciare codesto santissimo stato, di disporre a suo giudizio ogni cosa e di guidarvi in maniera tale che voi possiate vivete nel modo più religioso e santo possibile. A lui diamo anche facoltà di visitare e correggere la comunità e, se fosse necessario, anche di deporre la Priora, purché vi sia il consenso della maggioranza delle Monache. Lo autorizziamo inoltre, a sua discrezione, a dispensarvi su qualche punto della Regola.

Vi salutiamo in Cristo!

Immagine: S. Domenico riceve la Professione delle prime Monache, Monastero S. Maria del Sasso, Bibbiena.

Alleluia! Lo Spirito del Signore pervade l’universo: venite, adoriamo, alleluia!

 Come al popolo ebreo liberato dall’Egitto, cinquanta giorni dopo l’immolazione dell’agnello fu data la legge sul monte Sinai, così dopo la passione di Cristo nella quale fu ucciso il vero Agnello di Dio, cinquanta giorni dopo la sua risurrezione, lo Spirito Santo discese sugli apostoli e sul gruppo dei credenti. In tal modo, il cristiano riconosce che gli inizi dell’Antica Alleanza posero le basi del vangelo e che il secondo patto fu inaugurato dallo stesso Spirito che aveva istituito il primo.

 Così attestano gli Atti degli Apostoli: «Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,1-4).

 Com’è veloce la parola della Sapienza! e dove il maestro è Dio, come presto s’impara quel che viene insegnato! Non vi fu bisogno dell’interprete per ascoltare, né addestramento, né di tempo per studiare, ma per quello Spirito di Verità che «soffia dove vuole» (Gv 3,8) le lingue si trasformarono in quelle proprie di ciascun popolo e da questo giorno risuonò per il-mondo la predicazione del vangelo. La pioggia dei carismi e i fiumi di benedizioni irrigarono ogni deserto e ogni luogo arido, perché «lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque (Gn 1,2) per «creare rinnovare la faccia della terra». (cfr. Sl 103, 30). E al fine di scacciare le antiche tenebre, guizzarono fulgori di nuova luce, con lo splendore di lingue infuocate che irradiavano la parola del Signore limpida e incandescente ed efficace, capace di infondere luce alle intelligenze e ardente di fuoco per annientare il peccato.

 Dilettissimi, la maniera stessa in cui si svolse l’avvenimento fu veramente meravigliosa e senza dubbio fu presente la maestà dello Spirito Santo in quell’armonia esultante di tutte le voci umane; ma nessuno pensi che nei fatti visti con gli occhi sia apparsa la sua divina sostanza. Infatti, la natura invisibile, che egli ha in comune col Padre e col Figlio, mostrò la qualità del dono e della sua opera con i segni che volle, ma contenne nella sua divinità ciò che è proprio della sua essenza: perché, come il Padre e il Figlio non possono essere visti da occhi umani, così neppure lo Spirito Santo. Nella divina Trinità, nulla è dissimile o impari, e tutti gli attributi che si possono pensare della sua sostanza in nulla si distinguono, né per la potenza, né per la gloria, né per l’eternità. Nelle proprietà delle persone, altro è il Padre, altro il Figlio, altro lo Spirito Santo; tuttavia non è diversa la divinità, né la natura. Dal Padre è l’Unigenito Figlio; e lo Spirito Santo è Spirito del Padre e del Figlio, non come ogni altra creatura che appartiene al Padre e al Figlio, ma come Colui che è il vivente e il potente insieme all’uno e all’altro, e lo è in eterno perché è l’Amore sussistente del Padre e del Figlio.

 Per questo il Signore, il giorno precedente alla sua passione, promettendo ai discepoli la venuta dello Spirito Santo, disse: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà»(Gv 16,12-13. 15). Non quindi che alcune cose siano del Padre, altre del Figlio, altre dello Spirito Santo; ma quello che ha il Padre, lo ha il Figlio e lo ha lo Spirito Santo; né mai mancò in quella Unità questa comunione, perché ivi l’esistere sempre dice pienezza di tutto. Non si insinui nella mente nessuna idea di tempo, di gradi o differenze, nella Trinità; e se nessuno può spiegare chi è Dio, nessuno osi affermare di lui ciò che non è. È più degno di scusa tacere della natura ineffabile quanto le si addice, che attribuirle cose contrarie.

 E così, tutto ciò che i cuori pii possono concepire dell’ eterna e immutabile gloria del Padre, devono pensarlo inseparabilmente e senza differenze e del Figlio e dello Spirito Santo. Perciò proclamiamo che questa beata Trinità è un unico Dio, perché nelle tre Persone non c’è nessuna diversità, né nella sostanza, né nella potenza, né nella volontà, e neppure nell’azione.

Dal “Discorso 75, 1-3” di san Leone Magno, papa

Immagine: Tiziano Vecellio, Pentecoste, Basilica S. Maria della salute, Venezia