SEPARATE… MA NON DIVISE: NONO CAPITOLO

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…ti farò mia sposa per sempre:

nell’amore e nella misericordia,

ti farò mia sposa fedele”.

(Os 2, 21-22)

  ‘Vennero le nozze dell’Agnello ed egli preparò la sua Sposa’ (Ap 19, 7). Sì, veramente Gesù ha preparato la novizia per il giorno della sua Professione Solenne (definitiva) con cui la unisce per sempre a sé con i voti di castità, povertà e obbedienza, come uno Sposo prepara la Sposa per il giorno delle nozze.

  Una preparazione che Egli ha iniziato nella profondità dell’anima da tempo, dal giorno del battesimo quando, innestando quel piccolo tralcio in sé, Vite divina, già ne preparava lo sviluppo e i frutti. Allora l’anima non se ne poteva rendere conto. La consapevolezza si ha con la chiamata, e si fa più consistente quando, dopo l’entrata in monastero, con la Prima Professione (temporanea), si apre un periodo di intensa formazione. La novizia, illuminata dalla luce dello Spirito Santo, in questo tempo, non solo può rendersi conto dell’importanza dei consigli evangelici che formeranno il programma di tutta la sua vita, ma può arricchire il suo ‘sì’ di una carica più intensa d’amore perché temprato dalla prova.

  ‘Tutta la vita (dei religiosi) è posta al servizio di Dio, e ciò costituisce una speciale consacrazione che ha le sue profonde radici nella consacrazione battesimale e ne è un’espressione più perfetta’ (Decr. Perfectae caritatis, n. 5).

  Questa verità che il Concilio ha messo in luce dona alla Professione religiosa il suo valore più alto e più vitale.

  È il battesimo infatti, che operando la nostra morte al peccato, ci ha fatto risorgere per vivere con Cristo, configurati a Lui nel condurre una autentica vita di figli di Dio. La vita religiosa, caratterizzata dall’impegno specifico di abbracciare i consigli evangelici, ci dona la gioia di seguire Gesù più da vicino, di rivestirci di Lui al punto che Egli si stabilisce in noi per continuare ad essere il Religioso del Padre: vergine e casto, perché il Padre è il suo unico amore; povero, perché ha scelto il Padre come sua unica porzione; obbediente, perché la volontà del Padre è il respiro e l’alimento di tutta la sua Anima.

  In tal modo fare Professione religiosa è accettare di vivere il battesimo in pienezza; realtà che invece di farci sentire estranee ai nostri fratelli, che non hanno ricevuto questa speciale chiamata, ce li fa sentire uniti nell’unico cammino che conduce alla piena conformazione a Cristo. Se c’è una differenza, essa è dovuta alla liberalità divina che eleggendoci ci ha affidato il compito di servire i nostri fratelli; nel nostro caso, come contemplative, di servirli con una vita di intensa comunione con Cristo, pregato per attirare su di loro la grazia di essere membra vive e operanti dell’unico Corpo Mistico.

  Suor Leandra così esprime questa verità: «Vedo la mia Professione religiosa come il dono di consacrazione a Dio ricevuto nel battesimo portato alla sua massima espressione; mi dona la gioia grande di vivere nel cuore del mistero della Chiesa, e mi fa sentire solidale con tutti i fratelli».

  «Alla vigilia della mia Professione – racconta suor Giulia – cioè della mia consacrazione definitiva, mi è stato chiesto se avessi pensato bene alla gravità dell’impegno che stavo per assumere: stare legata a Gesù per sempre coi voti, con la determinazione di rimanere in clausura per tutta la vita. Beh – risposi con semplicità, e forse con un po’ di ingenuità, – forse che una ragazza che si sposa non si lega per sempre e irrevocabilmente ad un uomo?… E non deve seguirlo ovunque egli andrà? Quando c’è l’amore, questo non è un problema. Io amo Gesù e desidero stare nella Sua casa».

  Suor Marietta non nasconde il suo pensiero; attendeva il giorno della Professione come la celebrazione delle sue nozze. «Domani sarò tua sposa per sempre: questo – essa dice – è stato l’ultimo saluto a Gesù prima di addormentarmi. L’indomani, accompagnata spiritualmente dalla Madonna alla quale avevo affidato l’incarico di prepararmi alle ‘nozze dell’Agnello’, pronunciai con tutta serenità il mio ‘prometto obbedienza’, guardando con gioia il volto della Madre Priora, che accoglieva la mia Professione con le mie mani tra le sue. Ero certa che Lui era là, al posto della Madre. ‘Sono un Dio nascosto’, sembrava ripetermi Gesù; dammi la gioia di scoprirti sempre! Gli risposi con una silenziosa preghiera».

  Maria è la dolce Madre che ci ha sostenute nella fedeltà a rispondere all’invito divino, e che ci ha attirate a sé col suo esempio e la sua continua intercessione, affinché i lineamenti di suo Figlio si riproducessero efficacemente nella nostra vita. Man mano che si approssimava il giorno della nostra Professione, abbiamo sentito il bisogno di stringere ancor più i nastri rapporti filiali con Lei, perché il nostro sì riflettesse la fedeltà e la generosità del suo fiat‘.

  La formula di Professione viene pronunciata durante la celebrazione della S. Messa, al momento dell’offertorio: questo è molto significativo. La monaca inserisce la propria immolazione in quella di Cristo: la Professione, infatti, è un’oblazione, un olocausto, il cui valore di glorificazione del Padre e di redenzione delle anime deriva dalla sua unione all’offerta di Cristo compiuta sul Calvario e perennemente rinnovata nel sacrifico della Messa.

  Questa unione a Cristo nel suo mistero pasquale di morte e di risurrezione è la realtà viva che sostiene ogni religiosa nella pratica dei consigli evangelici. Unita a Lui e da Lui sorretta abbraccia con fiducia e con gioia i sacrifici e le rinunce che i voti comportano, avanzando in tal modo nella conformazione alla Sua crocifissione e morte, nella speranza di essere un giorno partecipi della Sua risurrezione.

  Già da ora si realizza attraverso la pratica dei voti questo aspetto di morte e di vita proprio del mistero pasquale, riattuato ogni giorno nella celebrazione eucaristica .

  Il voto di castità, mentre ci fa sperimentare le purificazioni del cuore, ci permette di penetrare più profondamente nei misteri d’amore racchiusi nel Cuore dello Sposo divino, ci dona la consapevolezza di svolgere una maternità spirituale delle anime non meno bella ed esaltante di quella naturale. Il voto di povertà, se da una parte ci chiede un continuo distacco da tutto, dall’altra ci offre la consolante prospettiva di possedere sempre più il Signore come ‘unica cosa necessaria’ e di richiamare nel segreto, con la nostra silenziosa testimonianza, tanti fratelli che si attaccano ciecamente ai beni della terra. Il voto di obbedienza mette in croce il nostro egoismo con tutte le sue disordinate attrattive; se chiede i sacrifici più grandi dona in cambio la gioia più piena: camminiamo nella libertà dei figli di Dio, perché per mezzo della sottomissione alla sua volontà, manifestata dalle Regole e dai superiori, come Gesù facciamo ‘sempre quello che piace al Padre’.

  Per la pratica dei consigli evangelici tutta la nostra vita diventa l’annuncio della morte del Signore, la proclamazione della sua risurrezione nell’attesa della sua venuta.

Dalle Costituzioni delle Monache dell’Ordine dei Predicatori:

L’obbedienza con cui ‘ci innalziamo interiormente al di sopra di noi stessi’ è utilissima per acquistare la libertà interiore propria dei figli di Dio e ci dispone a donarci con carità.

Rinunciando a nozze terrene ma amando ciò che in esse è prefigurato, seguiamo l’Agnello che ci ha redento con il suo sangue, in maniera che con la nostra oblazione diventiamo sue collaboratrici nell’opera della rigenerazione degli uomini.

Noi abbiamo deciso di essere povere nello spirito e nella realtà, cooperando in tal modo al ministero dei nostri fratelli che si sforzano di strappare gli uomini dalla schiavitù delle ricchezze per volgerli all’amore dei beni celesti”.