L’arcivescovo di Milano in visita al consultorio “Punto famiglia” del Santuario di Caravaggio

Mons. Delpini ha incontrato operatori e volontari della cooperativa Agape e dell'associazione Centro per la famiglia

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Si è tenuto mercoledì 17 gennaio presso il Consultorio Punto Famiglia di Caravaggio, presso il Santuario, l’atteso incontro tra l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, e gli operatori e i volontari dei servizi della cooperativa sociale Agape: i consultori accreditati di Treviglio e Caravaggio, il Centro di Psicoterapia e lo Spazio Gioco di via Casnida a Treviglio.

Nel contesto dell’assemblea della Conferenza Episcopale Lombarda, mons. Delpini ha accettato di dedicare uno spazio agli operatori consultoriali, per confermare ed incoraggiare l’impegno e la dedizione di tanti professionisti e volontari a favore della famiglia nei nostri territori.

A salutare i cinquanta operatori presenti anche il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, e il vescovo emerito, mons. Dante Lafranconi. Presenze volte a significare il legame stretto e il desiderio di proseguire nella collaborazione tra le Diocesi di Cremona e Milano nell’opera intrapresa a sostegno alle famiglie.

Il direttore del consultorio, il diacono Ireneo Mascheroni, ha introdotto la serata riproponendo alcuni temi che stanno particolarmente a cuore a chi si occupa di famiglia. I consultori di ispirazione cristiana sono espressione diretta e concreta della sollecitudine della Chiesa nei confronti delle famiglie. Come mantenere viva la ispirazione cristiana e tenere alta la motivazione al servizio, nel contesto sociale e culturale odierno? Come coniugare professionalità e ispirazione?

Mons. Delpini ha risposto esprimendo così il suo vivo ringraziamento per il servizio svolto alle famiglie e alle persone arrivano a Caravaggio e a Treviglio. «Sono ammirato – ha affermato l’Arcivescovo – della vostra sollecitudine che si avvale di professionalità, di volontariato, di coordinamento multidisciplinare, di tante competenze che convergono. Sono ammirato. Io penso che il consultorio e tutta la rete che si è creata in Lombardia attraverso quello che Fe.L.Ce.A.F. (la federazione regionale, ndr) e le diverse fondazioni hanno operato è veramente qualcosa di ammirevole. Se penso a quante persone ogni anno sono aiutate, accolte, accompagnate dai Consultori familiari, rimango veramente ammirato. Tutto questo bene che si fa, questa premura è qualcosa di stupefacente. Una ammirazione che mi sembra motivata, perché il lavoro che voi fate è di una eccellenza e di una prossimità che merita di essere riconosciuta, anche se non gode la prima pagina dei giornali».

Nel suo intervento mons. Delpini ha riconosciuto l’importanza del sostegno della Regione Lombardia nel tenere in vita gran parte del bilancio dei consultori familiari. Un modello di collaborazione che, anche per la entità delle risorse, delle competenze e della legislazione messa a disposizione, risulta qualcosa che rende straordinario il complesso di questa impresa di servizio alla famiglia.

Ha ribadito inoltre l’ alleanza tra la Chiesa e gli operatori dei consultori, che rappresentano «la punta avanzata» della premura che la Chiesa ha per tutte le famiglie. Non solo per i cristiani. Perché il consultorio è un servizio aperto a tutti. In questo senso “una punta avanzata” perché non va soltanto dentro i confini della comunità, ma si apre come una “chiesa in uscita”, come una porta aperta, accessibile a tutti quelli che hanno un bisogno.

Entrando nel merito della ispirazione cristiana l’Arcivescovo ha poi sottolineato alcune dimensioni. «L’ispirazione cristiana di un’opera, soprattutto di un’opera così delicata per la vita delle persone e quindi anche della società e della chiesa, è una “ispirazione”, cioè è frutto dello Spirito. Non è frutto di un ragionamento , di un precetto che applichiamo. È frutto dello Spirito. La dimensione di grazia, di ispirazione della vita cristiana e in particolare del servizio che i cristiani rendono ai loro fratelli e alle loro sorelle, questa dimensione, è frutto dello Spirito. Io credo che l’ispirazione cristiana non è una precettistica deontologica, è una docilità. Dobbiamo trovare “come”, il nostro pensiero, lo stile dei nostri rapporti, la cura per la nostra professionalità, tutto questo è “docilità”. Noi siamo condotti dallo Spirito. Tutto è grazia. E’ dono che riceviamo. Come si fa a custodire l’ispirazione cristiana? Come si fa a coltivare la motivazione cristiana? Io non posso immaginare altro che la docilità. Imparare ad ascoltare lo Spirito di Dio, imparare a pregare, imparare anche a studiare, a informarsi».

Ha quindi sottolineato l’importanza della formazione. «Essere medico, psicologo, mediatore familiare… tutte le competenze che voi avete, hanno bisogno di uno studio, di un approfondimento. Esiste una docilità allo Spirito che ci fa vedere come si vive da cristiani. Questo vale tutti e a maggior ragione per voi che lavorate in un ambito così delicato come quello della famiglia, dell’affettività, della sessualità, della genitorialità. Un modo per custodire la ispirazione cristiana è certamente la formazione. Non solo un addestramento che si informa di nuove tecniche terapeutiche. Ma la formazione è anzitutto il “prendere la forma” di Gesù, lasciarsi ispirare dallo spirito di Dio. Con la preghiera, la riflessione, il confronto. Con la pazienza di chi sa che si addentra in un patrimonio di dottrina sterminato, maturato nei secoli. Questa dunque la prima risposta che darei a questa domanda sulla ispirazione cristiana».

Un secondo approfondimento che l’Arcivescovo ha suggerito riguarda «l’umanesimo cristiano». «L’ ispirazione cristiana non è una vernice che si mette sulla professionalità, come se essere cristiani fosse un elemento decorativo, marginale. È sostanziale. E nella professionalità inserisce tutto il valore della persona, il tema della speranza, la motivazione che dà fiducia. Il cristianesimo, la fede non è qualcosa che si aggiunge. Perché il “Verbo di Dio si è fatto carne”. Quindi ha reso santo non solo il tempo che tu dedichi “ad andare in chiesa”, ma ha reso santo l’essere carne. Vuol dire che dentro la sessualità, la relazione di coppia, dentro la maternità e la genitorialità, lì dentro c’è la gloria di Dio. Si rivela un modo di essere uomini che rivela che siamo figli di Dio e ci fa vivere il rapporto con quella persona che incontro, quell’aiuto che offro come momento che porta a compimento l’umanità dell’uomo e della donna. Il cristianesimo è intrinseco alla professionalità. Questo vuol dire non separare l’aspetto scientifico dall’aspetto valoriale. Ma comprendere proprio come l’aspetto valoriale esalta l’aspetto scientifico. Mentre nella cultura contemporanea sembra che per essere veri scienziati non bisogna essere credenti. E per essere credenti non bisogna pensare. Bisogna solo prendere il dogma e credere in quello. È una assurdità. Perché la verità è diventata storia».

L’Arcivescovo ha inoltre parlato della dimensione etica del lavoro nei consultori. «Ci sono aspetti che ci impegnano in una pratica corretta. L’essere ispirati dal Vangelo comporta anche la attenzione alla persona. Noi siamo attenti solo alla prestazione, al caso. Ogni persona è un volto, una storia. E quindi anche la qualità relazionale di cura e della prossimità. La dimensione della relazione e della attenzione alle persone è imprescindibile per chi fa un servizio in un contesto che voglia essere espressione della chiesa. Abbiamo la responsabilità anche di affrontare alcuni temi particolarmente delicati: le difficoltà della maternità, la banalizzazione dell’aborto. Un tema veramente preoccupante nel nostro contesto. Così come gli altri temi di bioetica».

Infine ha voluto sottolineato il radicamento territoriale del consultorio e in generale della Chiesa. «La Chiesa non è un’astrazione, ma una presenza amica tra le case degli uomini. Il consultorio è presente nel territorio come una forma di prossimità. Ho raccomandato nel Discorso alla Vigilia di S. Ambrogio “l’arte del buon vicinato”. Sentirsi vicini di casa e l’arte del buon vicinato consiste nell’abitare il territorio con senso di responsabilità. Per chi lo abita. Per i miei vicini di casa. Non solo ambulatorio. Mi pare che sia responsabilità dei cristiani abitare in un luogo sentendo la responsabilità dei vicini di casa. Il consultorio che è una forma territoriale di aiuto per la famiglia abita qui, conosce le persone. Non è insensibile anche alle condizioni di vita che si praticano fuori dal consultorio. Il buon vicinato è un’arte che tesse rapporti. Che fa capire a ciascuno che ci si interessa di lui. Che stia bene. Che abbia una possibilità di vita dignitosa e contenta».

Gli interventi dei presenti hanno infine sottolineato l’urgenza di rendere sempre più proficuo il rapporto di collaborazione tra i servizi consultoriali e le comunità ecclesiali in tanti campi: nella realizzazione dei percorsi di formazione rivolti ai giovani che si preparano al matrimonio, nella educazione alla affettività per i ragazzi, nella cura delle responsabilità genitoriali.
L’incontro, svolto in un clima di grande semplicità e cordialità, si è concluso con il “grazie” a mons. Mario Delpini per il tempo dedicato e con l’invocazione alla Beata Vergine del Fonte di Caravaggio affinché sostenga il cammino di tutte famiglie.

 

Nella foto, da sinistra: Ireneo Mascheroni (direttore della Cooperativa sociale “Agape”, consulente ecclesiastico della Federazione lombarda dei consultori familiari di ispirazione cristiana), don Antonio Facchinetti (consigliere della Cooperativa sociale “Agape”), Elena Lingiardi (presidente della Cooperativa sociale “Agape”), mons. Mario Delpini (Arcivescovo di Milano), don Edoardo Algeri (presidente della Federazione lombarda dei consultori familiari di ispirazione cristiana e Presidente della Confederazione Nazionale), mons. Norberto Donghi (responsabile della Comunità Pastorale “Madonna della Lacrime) e don Umberto Galimberti (responsabile della Comunità Pastorale “S. Giovanni XXIII”)

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