L’annuncio dell’elezione di mons. Napolioni nel museo diocesano di Camerino. L’ordinazione episcopale sarà a Cremona: “Non si può fare un matrimonio senza sposa”

"La vita scout mi ha fatto diventare prete, l’esperienza in diocesi mi ha fatto diventare rettore, il servizio in seminario mi ha fatto diventare parroco, ora la vita da Vescovo deve proprio farmi diventare… cristiano!"

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È nel museo diocesano di Camerino, gremito di sacerdoti e laici, che nella tarda mattinata di lunedì 16 novembre l’arcivescovo di Camerino-San Severino Marche, mons. Francesco Giovanni Brugnaro, ha annunciato l’elezione di mons. Antonio Napolioni a vescovo di Cremona. Emozionato mons. Napolioni, era attorniato da numerosi amici scout; presente anche il fratello Angelo e numerose autorità del territorio.

L’incontro si è aperto con la lettura del Vangelo, brano che è stato commentato dall’arcivescovo Brugnaro con un particolare riferimento alla figura del vescovo all’interno della Chiesa “apostolica”.

Tra i momenti più suggestivi la consegna al vescovo eletto della croce pettorale, regalo personale del suo Arcivescovo, e dello zucchetto episcopale.

Commosso l’intervento di mons. Antonio Napolioni, che al termine ha voluto precisare che la sua ordinazione episcopale avverrà a Cremona. “Vi abbiamo risparmiato la lettura della pagina scritta per Cremona – ha scherzato – nella quale c’è però una notizia che potrebbe dispiacervi, la voglio spiegare. Ho già scritto alla Chiesa di Cremona che vorrò essere ordinato a Cremona dal vescovo Dante e dal nostro arcivescovo: perché non si può fare un matrimonio senza sposa! Non è uno sgarbo a Camerino e San Severino, ma è coerenza con quello che la Chiesa mi chiede e mi dona”.

Tra le autorità presenti non mancavano il sindaco di Camerino Gianluca Pasqui, quello di San Severino Marche (dove mons. Napolioni è parroco) Cesare Martini e quello di Pievebovigliana (luogo d’origine della famiglia Napolioni) Sandro Luciani. Presenti naturalmente numerosi sacerdoti, tra i quali il vicario generale mons. Nello Tranzocchi.

Nell’incontro il vescovo eletto di Cremona ha anticipato anche il motto scelto: “Servite il Signore nella gioia”. “Nello scoutismo – ha spiegato ai giornalisti – ho imparato a servire i ragazzi, ma perché cercavo una gioia e una felicità. Finché non ho trovato nel Signore Gesù il senso di quel servizio non ho trovato neppure la gioia vera. Allora credo che in queste tre parole, in questo motto, ci sia la mia storia e credo anche una bella proposta di vita per i giovani e per la gente”.

benedizione

Ecco le prime parole di saluto che il vescovo eletto ha rivolto alla sua diocesi di origine, la Chiesa di Camerino – San Severino Marche.

In questi giorni, da quando il Nunzio Apostolico in Italia mi ha comunicato la decisione di Papa Francesco di nominarmi Vescovo di Cremona, ho avvertito meraviglia, confusione, timore e trepidazione, unite a gioia e pace. Mi sento piccolo, sorpreso, spiazzato. Nonostante gli ambienti ecclesiastici abbiano spesso parlato di un possibile futuro da Vescovo, quanto sta accadendo e come sta accadendo supera di gran lunga l’immaginazione. E giustifica non tanto un grazie umano, come di chi avesse ricevuto un favore o un aiuto a realizzare i suoi desideri, quanto un grazie eucaristico, intimamente religioso, rivolto a Dio, fonte della vita, reso possibile solo dall’intimità che Cristo dona ai suoi. Lo stesso grazie di ogni mattina e di ogni sera, senza il quale tutto diviene grigio e triste. Il grazie che risponde alla scommessa radicale di tutti noi: essere umani, essere figli di Dio. Dio ci ama, immensamente, e nonostante i nostri limiti e peccati, ci fa assaporare la dolcezza della Sua misericordia, generando una gratitudine che diventa il respiro e il battito dei nostri giorni, l’unica traiettoria possibile per veri progetti di bene. “Di generazione in generazione si stende la sua misericordia” (Lc 1,50): oggi ne emergono i tantissimi segni posti nel mio cammino. A testimoniare che questa mia nomina è un frutto che scaturisce da una pianta, da un terreno, da una storia. In cui ci siete anche tutti voi.

Innanzitutto mi guida il pensiero del Papa. La sera della sua elezione, piansi di gioia sentendo quanto spirito del Concilio emanava dalle sue parole e dai suoi gesti. Sapere che ora per me tutto è dipeso da lui mi rincuora: l’obbedienza dà pace. Colgo nel suo sguardo l’immensa fiducia che ha, non tanto in me, ma nello Spirito Santo e nella Chiesa che a Cremona mi accoglierà, ne sono certo, con fede ed amore. Non servirebbe chiedere a Papa Francesco ragioni speciali di questa sua scelta, tanto è il coraggio che quotidianamente mostra nel cercare di riformare la Chiesa, sulla scia del beato Paolo VI, perché sia sempre più – come la luna – riflesso vivo e coerente del suo Signore. Credo anche io che la gioia del Vangelo sia il tesoro che gli uomini cercano in ogni tempo, magari senza saperlo. Per questo ho scelto come motto: “Servite il Signore nella gioia” (Salmo 99,2). Sapere che il Papa mi coinvolge nella successione apostolica, perché faccia la mia parte nel rinnovamento della Chiesa, mi impressiona ed entusiasma. Il Papa adesso è fisicamente lontano, ma ho accanto l’Arcivescovo Francesco Giovanni, che certamente ha avuto un ruolo importante in questa vicenda che sconvolge di grazia la mia vita.

Questi ultimi cinque anni in cui ho avuto modo, rientrando in diocesi, di collaborare con lui più da vicino, ci hanno permesso di conoscerci davvero. Ho sentito crescere la stima e la fiducia del mio Vescovo, ne ho compreso le angustie pastorali, ho cercato di essere un costruttore di comunione. Spesso non ci sono riuscito, chiedo perdono per le inadempienze e le omissioni. Ringrazio il Signore per la fecondità che non cessa di suscitare anche in una Chiesa stanca e provata come la nostra. Comprendo il sacrificio che fa nel lasciarmi andare, ma so che il Signore ricompenserà lui e la nostra diocesi. Lo ringrazio anche della vicinanza affettuosa che mi sta donando in questi giorni così impegnativi. Sono stato spesso vicino ai Vescovi, in diocesi come nel servizio al Seminario regionale. So quanto possiamo essere causa della loro sofferenza, e quanto si può soffrire per causa loro. Spero che questa coscienza mi illumini nel mettermi ora a servizio di ben 300 preti nella bella Chiesa di Cremona.

Ripenso con affetto al Vescovo Bruno che mi accolse felice in Seminario e mi ordinò prete il 25 giugno 1983. Con Mons. Francesco Gioia ho condiviso, magari prematuramente, il convinto tentativo di risvegliare la nostra Chiesa dal torpore. Al di là dei grandi eventi di quel triennio, resta la stima per un solco che era necessario tracciare, e nel quale anche i successori hanno faticato ulteriormente. Il rapporto con Piergiorgio Silvano Nesti è stato in salita, ma felicemente culminato in affetto reciproco, ormai quando egli aveva lasciato da tempo Camerino. Don Angelo Fagiani mi ha sempre fatto dono della sua amicizia, oltre che del suo esempio. Dovrei parlare lungamente del presbiterio diocesano, e scorrerebbe un fiume di ricordi, volti e vicende, di cui sarà bello fare memoria coi fratelli preti, nel ritiro di questo mese di novembre. Basti un nome, a riassumerli tutti: don Ferdinando Cappelletti, che mi ha introdotto alla bellezza della liturgia, all’amore per la montagna, al senso di appartenenza alla diocesi e al presbiterio, senza vuoti clericalismi.

La mia vocazione è maturata tra gli scouts e tra i preti, specie quelli di Camerino, per dilatarsi poi negli anni del Seminario a Fano e nelle tante esperienze vissute anche fuori diocesi, la più importante delle quali è stata certamente il servizio di formatore in Seminario Regionale, per ben 17 anni. Gli scouts: dopo qualche sprazzo di oratorio al Duomo, l’esperienza scout a 16 anni mi ha spinto a cominciare un servizio educativo sempre più esigente, come ben sanno tanti cinquantenni di oggi. In quel “grande gioco” Gesù Risorto aveva scelto di rivelarsi anche a me, per indicare un sentiero alla fame di felicità che caratterizza ogni giovane. E da scout, cinque anni dopo, varcavo la soglia del Seminario, non senza difficoltà per la mia famiglia, che gradualmente ha poi saputo rispettare e amare la mia vocazione.

Grazie anche a papà, mamma, Angiolino e Mimma, e tutti i parenti. Grazie alla gente di Camerino, amici e conoscenti, un tessuto di relazioni umane cui sono debitore più di quanto si immagini. Tutti in diocesi hanno, più o meno, avuto a che fare con don Antonello (come qualcuno si ostina ancora a chiamarmi, con bella familiarità): catechisti, gruppi giovanili, operatori pastorali dei diversi ambiti, singole famiglie. Con tanti abbiamo condiviso progetti, vissuto esperienze, magari anche avuto scontri e problemi. So di avervi scocciato spesso con avvisi, manifesti, programmi, riunioni. Gli inevitabili momenti di crisi ci hanno forgiato, grazie alla Parola di Dio che sempre ci richiamava alla verità e alla carità.

E tanto resta ancora da fare: aiutatemi, a distanza, perché mi converta ancora, in terra cremonese. Questa condivisione spirituale ha avuto come protagoniste anche diverse comunità religiose, dove fratelli e sorelle mi hanno donato un’apertura di cuore, in cui potevamo insieme riconoscere le tracce vive del Signore. Non posso tacere il ruolo che hanno avuto e hanno ancora le Sorelle Clarisse di San Severino, sin dal lontano 1977. E i frati di Renacavata, e singoli volti di uomini e donne di Dio.

Non oso parlare della parrocchia di San Severino Vescovo, perché la ferita si apre proprio ora. E con le lacrime si scrive male. Avremo tempo per vivere insieme questo Avvento … di Dio. Sì, perché solo Lui è stato il vero motivo del nostro affettuoso incontro. E solo Lui deve restare in noi, quando i parroci cambiano. Se vi capiterà di rimpiangere questo parroco che parte, non pensate che ne sarò felice. Anzi, vorrà dire che ho lavorato male, legandovi più a me che a Gesù. Andate avanti con la stessa fiducia e lo stesso entusiasmo che mi avete testimoniato in questi anni! D’altronde, so bene che non sono mai stato insostituibile in nessun posto abbia occupato e lasciato. Per me, questi anni restano un faro di esperienza umana e pastorale: ogni volta che parlerò di “parrocchia”, in qualche modo avrò nel cuore e nella mente l’unica parrocchia di cui sono stato, a tempo pieno, servo e padre.

Basta, mi accorgo di aver esagerato. Come Vescovo di una grande diocesi, dovrò aver misura, dovrò imparare. Con voi, che siete abituati ai miei difetti, posso ancora lasciarmi andare. Anche ad una battuta riassuntiva: la vita scout mi ha fatto diventare prete, l’esperienza in diocesi mi ha fatto diventare rettore, il servizio in seminario mi ha fatto diventare parroco, ora la vita da Vescovo deve proprio farmi diventare… cristiano! Nessun’altra meta più conta. Credo che il Signore mi voglia proprio spremere così. Vi chiedo di pregare tanto e spesso per questo vostro figlio che va in sposo a una Chiesa lontana, da oggi in qualche modo sorella della Chiesa camerte e settempedana. E arrivederci…

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