In Cattedrale la toccante testimonianza di Gianna Jessen

Nel 1977 riuscì a sopravvivere all’aborto salino cui la madre si era sottoposta in una clinica di Los Angeles

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Cattedrale di Cremona gremita, la sera di martedì 30 maggio, per l’incontro organizzato da ProVita onlus in sinergia con il Movimento per la Vita, il Centro di Aiuto alla Vita e il Comitato Difendiamo i nostri figli di Cremona. L’occasione è stata la testimonianza di una donna semplice, fragile, minata da una grave disabilità, una paralisi cerebrale e muscolare, che lei considera un «dono»: Gianna Jessen. Secondo i progetti umani non avrebbe neppure dovuto essere nata.

Gianna Jessen è nota in tutto il mondo per essere sopravvissuta all’aborto salino in una clinica di Los Angeles facente capo a Planned Parenthood, la multinazionale pro-choice cui il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha recentemente tagliato i fondi statali.

Proprio nelle parole del parroco della Cattedrale, mons. Alberto Franzini, che ha aperto la serata, l’attenzione è andata a quegli gli Stati, specie in Occidente, schiavi di una «cultura di morte».

Nel suo intervento, tradotto in tempo reale dall’americano, Gianna Jessen ha raccontato la propria storia. Ha parlato della clinica abortista di Los Angeles dove, nel 1977, si recò sua madre, a soli 17 anni, alla 30esima settimana di gravidanza. Troppo giovane per avere un figlio, secondo il suo medico. Così le venne iniettata nell’utero una soluzione salina, che di solito porta, in 24 ore, alla morte del bambino in grembo: corrodendo, ustionando e soffocando. Ma lei è riuscita a scamparvi, pur restando gravemente lesa: «Dio è come un buon padre giunto a soccorrere la propria figlia. Il Signore protegge le persone nel grembo della madre. E io ne ho la prova sulla mia cartella clinica. Sono nata alle sei del mattino – ha ricordato – così il medico che avrebbe dovuto uccidermi per strangolamento o soffocamento, in quanto sopravvissuta all’aborto, non era ancora in servizio. L’infermiera di turno a quel punto ha chiamato un’ambulanza e mi hanno trasferita in ospedale. Quella donna mi ha salvato la vita e io le sono molto grata».

Data per spacciata, Gianna è stata allevata in un orfanotrofio. Era ritenuta senza speranza. A quattro anni è stata adottata da una famiglia che ha saputo volerle bene per quel che era ed è. Contro ogni aspettativa, ha recuperato buona parte della sua disabilità imparando a camminare. Tanto che ha corso un paio di maratone e ha in programma di scalare una montagna. «Dissero che non sarei riuscita mai a muoversi, che sarei restata in stato vegetativo in un letto. Mai avrebbero pensato che io potessi venire in Italia. Eppure eccomi qui! Anche dovessi andare in Cielo gattonando, non mi arrenderò mai!».

Del resto, si è chiesta: chi può arrogarsi il diritto di scegliere chi deve vivere e chi no? Come può una persona sana decidere della vita di una malata? Esistono forse vite indegne?.

E ha proseguito: «Vorrei fare una domanda alle femministe: se l’aborto riguarda i diritti delle donne, come la mettiamo con i miei di diritti? Perché i miei diritti non contano? Oggi si tiene conto solo di un punto di vista, di un’opinione, di una linea di pensiero: questa non è libertà».

Quanto ai rapporti uomo-donna, «si sta portando avanti una guerra contro gli uomini – ha dichiarato -. Una gran parte dei problemi che abbiamo adesso è dovuta a questo fatto: sembra che le donne non sopportino più l’essere uomo degli uomini. È come se volessero togliere quella parte che è tipica dell’uomo con la U maiuscola. È come se questa parola non ci piacesse più. In realtà voi uomini siete stati fatti per essere coraggiosi, per essere grandi, d’onore! Tutte queste cose meravigliose sono dentro di voi. Non siete nati per essere passivi!».

In medicina si utilizza il battito cardiaco per capire se la persona sia viva o meno, ha evidenziato. Se già 16 giorni dopo la fecondazione, grazie alle moderne tecnologie, si può sentire il battito del cuore del bambino, come definire la sua soppressione fisica?

 

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