Il Papa, pellegrino ecumenico, segno forte di unità

Durante il suo viaggio a Ginevra, il Santo Padre invita a ritrovarsi nel centro che è Cristo per andare insieme verso le periferie del mondo

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Il “pellegrinaggio” (così egli stesso ha voluto chiamarlo) di papa Francesco a Ginevra e Bossey, in occasione del settantesimo anniversario della fondazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, ha confermato quanto già si era manifestato il 31 ottobre 2016 a Lund, dove Francesco aveva partecipato alla solenne celebrazione del quinto centenario della Riforma. È stato, cioè, un ulteriore segnale del passo compiuto in questi ultimi anni sulla via del ristabilimento dell’unità cristiana (unitatis redintegratio, come dice l’incipit del decreto conciliare citato dal papa nel suo discorso): la ritrovata piena coscienza di una storia comune in cui sono radicate e si sono sviluppate le chiese cristiane, nonostante le ferite e le opposizioni che ne hanno turbato il corso. Una storia comune di cui tutte partecipano e da cui tutte sono state condizionate, nel bene e nel male, tra le luci e le ombre che ne hanno segnato il corso. Una storia per la quale la Riforma – facciamo di nuovo riferimento a Lund – è un evento che non appartiene soltanto alla tradizione luterana o evangelica, ma è e deve diventare patrimonio comune delle chiese cristiane.
Allo stesso modo, nel suo intervento alla sede ginevrina del Consiglio Ecumenico delle Chiese e all’Istituto ecumenico di Bossey (le più alte espressioni dell’impegno ecumenico delle chiese evangeliche, anglicane e ortodosse), il Papa non ha soltanto ricordato gli stretti e fecondi rapporti di dialogo e collaborazione esistenti tra quegli organismi e la chiesa di Roma, ma ha insistito, riprendendo il motto scelto per la giornata celebrativa, sulla

chiamata di tutti i cristiani e di tutte le chiese a “camminare, pregare, lavorare insieme” per essere testimoni dell’Evangelo nel mondo.

Insieme: di questo impegno e di questo orizzonte comune – ha osservato il presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Luca Maria Negro – è stato segno importante proprio il fatto che, col suo pellegrinaggio ginevrino, Francesco non si sia posto in rapporto con una singola chiesa o una singola confessione cristiana, come era avvenuto nei pur altamente significativi incontri di Torino con la Chiesa valdese e di Lund con la Federazione luterana, ma con l’organismo che rappresenta l’intero panorama delle chiese cristiane impegnate nel cammino ecumenico.
Nel ribadire l’irrevocabile proposito – ripetutamente espresso dalla chiesa di Roma a partire da Giovanni XXIII – di partecipare senza riserve a quel cammino, papa Francesco ha ricordato la duplice direzione in cui siamo tutti chiamati a percorrerlo. Da una parte dobbiamo tendere “costantemente al centro, per riconoscerci tralci innestati nell’unica vite che è Gesù”; e

in questo tendere al centro ci avvicineremo sempre più gli uni agli altri, superando o relativizzando gli steccati istituzionali e le impalcature dottrinali che ancora ci fanno schermo e intralcio.

Sarà un avanzare verso il futuro e la novità nel ricupero e nel riconoscimento del tesoro originario che già ci è stato affidato, un progredire “verso la manifestazione visibile di quella fraternità che già unisce i credenti”. “Insieme”, ha ripetuto Francesco: “non porteremo frutto senza aiutarci a vicenda a rimanere uniti a Lui”. L’unione con la vite non può andare disgiunta dalla comunione fra i tralci.

Dall’altra parte, la via da percorrere ci deve condurre “verso le molteplici periferie esistenziali di oggi, per portare insieme la grazia risanante del Vangelo all’umanità sofferente”.

In entrambi i casi è richiesto alle chiese uno sforzo di decentramento da sé stesse, di “spossessamento”, per ritrovare al di là di sé l’origine e il senso della propria vocazione e della propria missione. E in entrambi casi esse sono chiamate a resistere alla tentazione del potere e del successo mondani, per affidarsi alla “inerme forza del Vangelo”. Anche la ricerca ecumenica dell’unità non deve mirare ad erigere un compatto baluardo cristiano da opporre alle insidie del mondo, ma a rendere più autentico l’annuncio e più credibile la testimonianza dell’amore gratuito di Dio. Questa spoliazione e questa povertà potranno far sì che l’ecumenismo stesso appaia “una grande impresa in perdita”. Ma sarà, dice il papa, una “perdita evangelica”, la perdita del seme che svuota sé stesso per dar vita alla pianta.

Mario Gnocchi (gruppo Segretariato Attività Ecumeniche di Cremona)

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