Il Cammino di Santiago: riflessioni al ritorno.

Dopo l'esperienza del cammino fatta in giugno, don Roberto Rota condivide alcuni pensieri e riflessioni su un'esperienza che affonda le sue origini tra ilo primo e il secondo millennio.

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Il cammino di Santiago è diventato un richiamo ormai per tanti, soprattutto durante i mesi estivi quando, ragazzi e adulti decidono di intraprendere, a piedi o in bici, il lungo percorso che da Roncisvalle, seguendo il cosiddetto cammino francese, conduce, in 790 kilometri, a Santiago de Composela. Meno frequentato è il cammino antico che segue la costa atlantica e passa da Oviedo o quello portoghese che parte la Lisbona. I pellegrini spagnoli invece percorrono una strada che attraversa diagonalmente la penisola, da Siviglia a Santiago in 1040 kilometri.

Questi alcuni dei cammini, ma quali le motivazioni per il cammino verso Santiago?

Senza pretendere di entrare nel cuore più intimo di ogni persona e tanto meno di permettermi giudizi, è tuttavia evidente che per tanti è un bel percorso di trekking che fa tendenza.

Già nel 2015 i vescovi delle Diocesi spagnole e francesi del cammino avevano pubblicato una lettera pastorale congiunta, intitolata: “Il cammino di Santiago: ricerca e incontro”. Il dato che muoveva la riflessione era che il 70% delle persone che fanno il Cammino non hanno motivi religiosi, ma sono mossi da un vago desiderio di ricerca di senso e di novità nella vita.

Come fare allora affinchè il Cammino di Santiago ritorni ad essere quello per cui è nato? Come fare per intercettare quelle domande di senso che sono nel cuore profondo di ogni persona, superando le apparenze di una semplice esperienza esteriore?

Sono le domande che anch’io mi sono fatto lo scorso mese di giugno mentre attraversavo, con tre amici, le mesetas e i boschi di un tratto del cammino francese da Leon, fino alla meta: un’esperienza bella, fatta di silenzio e di preghiera, di dialogo e di confronto.

Il cammino di Santiago nasce tra il primo e il secondo millennio e porta a questo lembo estremo della Galizia per venerare la tomba dell’Apostolo Giacomo il maggiore, figlio di Zebedeo, fratello di Giovanni, ricordati come “i figli del tuono”. Lo troviamo tra il gruppo ristretto dei discepoli prediletti, testimone della trasfigurazione e chiamato a vegliare nel orto degli ulivi: per lui e per il fratello, la madre aveva chiesto al Maestro un posto di privilegio nel Regno.

Da quanto leggiamo nel libro degli Atti degli Apostoli, Giacomo è il primo dei Dodici a donare la vita per il maestro, ucciso per ordine di Erode, intorno alla Pasqua del 44 d.c.

Avvolte nella leggenda ma accolte dalla tradizione, fin dal VI secolo, sono invece le vicende legate alla presenza di Giacomo in Spagna: una prima volta a predicare il Vangelo con pochi risultati: solo due diventeranno cristiani e lo seguiranno, nonostante le assicurazioni della Vergine Maria che, apparendo a Saragozza su di un pilastrello (Pilar) gli garantiva “un popolo numeroso”; e una seconda volta, con la traslazione del corpo fino in Galiza, in un sepolcro di cui ben presto si perderanno le tracce, riscoperto dall’eremita Pelagio e dal Vescovo Teodomiro che sposterà la sede della Diocesi da Iria Flavia fino sul luogo dove dal sec XI sorgerà la cattedrale del Vescovo Diego Gelmirez, splendida meta del pellegrinaggio, che in massima parte, ancora oggi vediamo.

Chi dunque andava a Santiago lo faceva per motivazioni di fede, di una fede non avulsa dalla vita, ma incarnata nel quotidiano: lungo il Cammino ci si incontrava, si pregava, si partecipava all’Eucaristia.

Per questo è legittima la preoccupazione dei Vescovi spagnoli e francesi, affinchè anche oggi si riscoprano e vivano le dimensioni più autentiche del pellegrinaggio giacobeo. Si sono incontrati anche quest’anno l’11 e il 12 luglio e hanno reso nota una nuova lettera pastorale dal tema “Accoglienza e ospitalità sul cammino di Santiago”. L’ospitalità e l’accoglienza sono due cardini del vero pellegrinaggio, contrassegnati da “segni esteriori”, ma anche dallo sforzo di offrire opportunità che aiutino la ricerca spirituale. Così pure lo stile “fraterno e gioioso nell’accogliere” chi arriva, senza distinzione e la disponibilità nel “mettersi in ascolto profondo” e nel saper rispondere alle domande su Dio, la fede e San Giacomo, per contribuire al cammino di ricerca del pellegrino., e far ritornare l’esperienza del pellegrinaggio “luogo privilegiato d’incontro tra il cuore di Dio alla ricerca dell’uomo, e quello dell’uomo a cui manca l’essenziale”.

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