I santi, grandi sognatori che credono nell’impossibile di Dio

Intervista a don Umberto Zanaboni, vicepostulatore della causa di beatificazione di don Mazzolari che recentemente ha superato con lode lo «studium» della Congregazione delle cause dei santi.

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Nei giorni scorsi il territorio cremonese – prima a San Martino del Lago e Motta Baluffi, poi a Derovere – ha accolto una reliquia proveniente dall’Ospedale Gemelli di Roma: un frammento delle bende intrise del sangue di papa Giovanni Paolo II dopo l’attentato subito in Piazza San Pietro il 13 maggio 1981. In molti hanno voluto pregare e venerare la preziosa reliquia. Ma quale senso può avere la venerazione dei resti mortali di un santo o di un beato? E ancora: quale l’utilità di un simile gesto di devozione, quando il Vangelo e la centralità di Gesù Cristo dovrebbero bastare a nutrire la fede e la spiritualità dei fedeli? Non si rischia di cadere nella superstizione? Lo abbiamo chiesto a don Umberto Zanaboni, vicepostulatore della causa di beatificazione di don Mazzolari che recentemente ha superato con lode lo «studium» della Congregazione delle cause dei santi.

«Le reliquie nella Chiesa – ricorda il sacerdote – hanno sempre ricevuto particolare venerazione perché il corpo dei beati e dei santi, destinato alla risurrezione, è stato sulla terra il tempio vivo dello Spirito Santo e lo strumento della loro santità, riconosciuta ufficialmente dalla Sede apostolica tramite la beatificazione e la canonizzazione. Onorarlo significa riconoscere che questo discepolo ha vissuto in modo eroico il Vangelo, in Cielo intercede per noi e lo stile evangelico secondo il quale ha vissuto è degno di imitazione. I cristiani invocano i santi perché essi a loro volta intervengano presso il Signore, fine ultimo di ogni preghiera».

Dunque venerare una reliquia è venerare la misericordia di Dio che si è realizzata in quell’uomo o quella donna. «Pregare davanti al corpo di un santo – precisa don Zanaboni – è ringraziare Dio che lo ha sostenuto nel cammino della santità. Il santo non può essere compreso se non mettendosi con lui alla scuola di Gesù. Un santo non è altro che un peccatore che ha fatto l’esperienza dell’amore di Dio. Possono riflettere questo amore solo quelli che lo hanno sperimentato». E ancora: «I santi sono coloro che hanno esposto le proprie piaghe al medico. Le piaghe sono i peccati, i propri limiti o certe esperienze difficili o impossibili da capire».

«Nel Vangelo, dall’Annunciazione in poi, – conclude don Umberto Zanaboni – “nulla è impossibile a Dio”. I santi sono tutti un po’ pazzi. Credono sempre nell’impossibile. I santi sono grandi sognatori, non perché vivono per aria, ma perché credono nell’impossibile di Dio, lo hanno già sperimentato sulla propria pelle. È gente con i piedi per terra che ha visto delle impossibilità diventare possibili; delle incapacità diventare capacità; dei peccati diventare perdono e Grazia; o delle ferite diventare redenzione, personalità integrata, risanata completamente. E quindi sanno, per esperienza personale, che se Dio ha fatto questo, può fare molto altro».

TeleRadio Cremona Cittanova
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