“I confini come luoghi di pace”, anche una delegazione cremonese al convegno nazionale Caritas

L'evento riunisce a Grado circa 600 delegati da 218 Caritas diocesane di tutta Italia

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Anche una delegazione di Caritas Cremonese, con il direttore don Pierluigi Codazzi e gli operatori Alessio Antonioli e Andrea Carini (in foto con il il presidente di Caritas Europa, mons. Mons. Michael Landau) è presente a Grado dove, dall’8 all’11 aprile, si svolge il 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, centrato sul tema “Confini, zone di contatto e non di separazione”. Il confine, dunque, come luogo simbolico positivo, che evoca incontro e convivenza pacifica anziché scontro, conflitto e divisione. E dunque non è casuale la scelta della location di Grado, in diocesi di Gorizia, a rappresentare concretamente questo ideale. Circa 600 i partecipanti al convegno: delegati rappresentanti di 218 Caritas diocesane.

 

Una missione congiunta di ricerca e soccorso nel Mediterraneo

Dal 2014 ad oggi almeno 20.000 persone sono morte nel Mar Mediterraneo e i numeri aumentano giorno dopo giorno. Mentre nel mondo 108 milioni di persone sono costrette a lasciare le loro case a causa di guerre, persecuzioni, violenze, violazioni dei diritti umani. «La questione sta prendendo sempre meno spazio sui media a livello europeo, ma questo non può essere accettato e deve finire. L’Europa deve forse parlare di nuovo di una missione congiunta europea di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo». È l’appello lanciato da monsignor Michael Landau, presidente di Caritas Europa, durante la seconda giornata del 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane a Grado. Il presidente di Caritas Europa, network di 49 organizzazioni in 46 Paesi europei che interloquiscono con i responsabili politici nazionali ed europei in difesa dei poveri e vulnerabili, si è rivolto ai 600 delegati da 218 Caritas diocesane descrivendo una situazione mondiale ed europea attraversata da intensi cambiamenti dovuti a guerre, pandemie, cambiamenti climatici, migrazioni. Tutto ciò in vista delle elezioni europee che si svolgeranno l’8 e 9 giugno prossimo.  Caritas Europa ha anche diffuso nei mesi scorsi un memorandum ai candidati con cinque priorità, tra cui il salario minimo per i lavoratori, la difesa del welfare, dei diritti dell’infanzia e dei migranti e rifugiati. Mentre su Gaza monsignor Landau chiede, in una intervista al Sir, «un cessate il fuoco umanitario» che consenta di far entrare gli aiuti in sicurezza.

Leggi l’intervista del SIR al Presidente di Caritas Europa

 

 

I confini come luoghi di pace

Sullo sfondo la laguna e il mare calmo di Grado e il fatto che Gorizia e Nova Gorica, le due città contigue in Italia e Slovenia, sono state scelte entrambe come Capitale europea della cultura 2025: proprio perché rappresentano un territorio transfrontaliero dove l’incontro e lo scambio sono vissuti realmente e quotidianamente. Proprio nella piazza Transalpina di Gorizia il 9 aprile è stata una preghiera per la pace con testimonianze significative e una celebrazione eucaristica nella chiesa del Sacro Cuore.

I confini positivi. «Passeremo un confine, ormai superato dalla storia e che non c’è mai stato fino al Novecento, che divide le due città Gorizia e Nova Gorica, due realtà che l’anno prossimo saranno insieme capitale europea della cultura. Un evento che per il solo fatto di essere stato pensato come possibile è già per noi una grazia. Comprendete quindi che parlare di confini come zone di contatto e non di separazione per noi che abitiamo e viviamo qui non è una questione di principio o di studio, ma è qualcosa che tocca la nostra carne, il nostro cuore e la nostra mente. È per noi un tema necessario», ha affermato nella sua introduzione monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas italiana: «Se non ci fossero i confini saremmo tutti più poveri, privi di punti di vista diversi. I confini sono anche positivi, perché garantiscono una diversità e un approccio complesso al mondo». A livello ecclesiale, ha proseguito il presidente di Caritas italiana, «dobbiamo riconoscere che a volte ci sono confini tra uffici e servizi della curia con il rischio di una pastorale frammentata e iniziative non coordinate che piovono sulle parrocchie. Ci sono però tentativi interessanti di lavoro condiviso». Ma il confine più arduo è «tra operatori e volontari Caritas e gli ultimi, perché siamo in due situazioni diverse, chi aiuta e chi ha bisogno di aiuto. Ma è un confine che va superato». Il suo suggerimento è capovolgere i ruoli ossia «pensandoci noi come gli affamati, gli assetati, gli stranieri che hanno bisogno di aiuto».

“Le due vie: la giustizia e la carità”. «La Chiesa è immersa in una dinamica d’amore concreto e senza confini», ha detto invece monsignor Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia e presidente della Conferenza Episcopale Triveneto: «E nella nostra società è chiamata sempre più a mostrare e indicare che c’è sì la giustizia ma c’è anche la carità – le due dimensioni non vanno confuse ma vanno tenute insieme – e che la vita dell’uomo non può essere ridotta ad una concezione materialista o spiritualista che, di fatto, porterebbero a ridimensionare o umiliare la dignità dell’uomo stesso».

“La nuova frontiera (ma è vecchia) è il controllo delle menti e dei comportamenti”. «Cosa succede se con le vecchie forme di abuso di potere e con quelle nuove nel territorio di internet e dell’intelligenza artificiale veniamo privati di dati personali, profilati, manipolati, replicati senza permesso?», si è chiesto poi padre Luciano Larivera, gesuita e direttore del Centro culturale Veritas di Trieste, in una lunga disamina sui confini e le frontiere reali e virtuali: «La nuova frontiera (ma è vecchia) è il controllo delle menti e dei comportamenti, spesso disinformando, nel senso di non dare le informazioni e le conoscenze rilevanti, e non tanto con fake news; e pure inondando di stimoli soprattutto visivi, che emozionano, eccitano ma disabilitano il pensiero critico. Quante dipendenze verranno indotte e rafforzate con i nuovi consumi di massa, con lo smarrimento dei confini personali». Tra quelli che ha definito «territori di sconfinamento» su cui interrogarsi padre Larivera ha indicato «il biopotere degli Stati (e di alcuni privati): fino a dove si può estendere il potere sulla vita umana? Fin dove obbligare a vaccini o trattamenti sanitari salvavita? Si sdoganerà ovunque il suicidio assistito, l’eutanasia, la maternità surrogata? Quale sarà la frontiera delle nuove sostanze psicotrope? Qual è il soft border etico e legale per la sperimentazione sugli embrioni umani, sul Dna dei nascituri? Intelligenza artificiale e robotica saranno usate per sviluppare nuovi patrimoni genetici e cyborg cioè nuove specie di uomini e donne? Magari per combattere nuove guerre o colonizzare Marte. Ma questa è vera evoluzione umana?».

“Confidare anziché confinare”. «Invece che “confinare” (chiudere l’altro dove lui è e chiudere me dove io sono) un buon metodo è “confidare”, cioè rinchiudere nell’altro qualcosa di mio (un segreto, un dono, una presenza che parla), per cui il problema non sono i confini, ma ciò che si muove tra i confini. Confidare è già uscire da un confine», ha suggerito don Matteo Pasinato, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Vicenza. “Dal ‘limite’ umano non ci toglierà nemmeno l’intelligenza artificiale – ha osservato -. E dunque teniamo caro il nostro “limite”, onoriamolo, onorando il fatto che non siamo una macchina».

Patrizia Caiffa (AgenSir)

TeleRadio Cremona Cittanova
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