Come ogni anno, anche il 62° anniversario della morte di don Primo Mazzolari è stato ricordato con particolare solennità a Bozzolo, sua ultima parrocchia, dove fu parroco per quasi 30 anni. Il primo degli eventi è stato il convegno svolto online sabato 10 aprile con la presentazione del libro “Ho bisogno di amicizia”, a cura di Bruno Bignami e Umberto Zanaboni, edizioni Dehoniane.
Il convegno è stato trasmesso sui canali social della Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo: youtube e facebook, dove è possibile rivedere l’evento.
In questo volume di recente pubblicazione sono raccolte le lettere tra don Mazzolari e don Astori, amici fin dai primi anni del Seminario. Il convegno è stata l’occasione per mettere in luce un aspetto importante dell’umanità di don Primo e per ripercorrere un piccolo tratto della storia del clero cremonese nella prima metà del ‘900. Compagni di ordinazione, i due preti cremonesi condivisero l’esperienza di cappellani militari nella prima guerra mondiale prima di occuparsi di alcune parrocchie del territorio: Mazzolari a Cicognara e Bozzolo, nel Mantovano, Astori a Bordolano, Casalbuttano e Cremona a Sant’Agata.
I relatori sono stati Giovanni Vian, direttore del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, e don Cristiano Passoni, assistente generale dell’Azione cattolica di Milano, introdotti dalla presidente della Fondazione, Paola Bignardi, e dal presidente del Comitato scientifico, Giorgio Vecchio. Al termine sono intervenuti anche i curatori dell’opera, don Bruno Bignami e don Umberto Zanaboni.
Gli interventi a presentazione del libro sono stati utili per approfondire, inquadrare e illustrare uno dei più importanti carteggi mazzolariani, cioè quello con l’amico mons. Guido Astori: oltre 300 lettere che vanno a coprire mezzo secolo.
Nella sua introduzione, Paola Bignardi ha sottolineato come: «le lettere che don Primo e don Guido si scambiarono hanno un sapore particolare perché sono espressione di un sentimento profondo di amicizia che percorre tutta la vita di questi due sacerdoti, il cui legame inizia nei primi anni di Seminario e si estende attraverso vicende che sono interpretate con uno spirito profondo e comune di condivisione che ha dato forza e forma al loro legame». La presidente della Fondazione ha anche spiegato la genesi del volume: «Il titolo del libro “Ho bisogno di amicizia” è tratto da una delle lettere di don Primo, ad indicare la sua intensa umanità, il suo desiderio di voler entrare in una relazione calda, forte e fragile come l’amicizia, che con questo tratto di umanità induce ad allargare lo sguardo anche sulle comunità cristiane di oggi e sui loro sacerdoti, comunità che siano capaci di sostenere il loro coraggio nella testimonianza».
A seguire è intervenuto il presidente del Comitato scientifico della Fondazione, che ha spiegato come «il carteggio inizia nel 1908 quando i due sacerdoti erano ancora seminaristi e arriva fino al 1959, anno della morte di don Primo, per ben cinquantun anni di corrispondenza. Attorno ai due amici sacerdoti nelle lettere si animano tanti altri protagonisti come vescovi, sacerdoti, soldati e parrocchiani». Vecchio ha anche messo in risalto come dalle lettere si può vedere come «comune è il loro interesse per una Chiesa profondamente rinnovata e il loro spessore culturale. Inoltre il carteggio può essere visto sotto molti punti di vista: nella loro relazione di amici, nella spiritualità di preti, nei giudizi politici sull’Italia che cambia nei diversi decenni del Novecento».
Sono quindi intervenuti i due relatori, a partire dal professore Giovanni Vian, ordinario di Storia del Cristianesimo e delle Chiese e direttore del Dipartimento di Studi umanistici presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, che, leggendo diversi passi delle lettere del carteggio, ha evidenziato come «i due amici si misurano con modelli e proposte di vita sacerdotali che poco a loro risultano confacenti; la critica durante gli anni del fascismo colpisce anche la deriva materialistica e areligiosa della popolazione italiana». Una lettura che è stata solo un assaggio, per ben comprendere l’intensità e l’interesse che queste lettere possono trasmettere.
Il secondo relatore, don Cristiano Passoni, assistente generale dell’Azione cattolica di Milano, ha esordito affermando che «c’è sempre un certo brivido ad accostare un carteggio, perché le lettere, soprattutto tra due amici, hanno sempre il pregio di essere molto dirette e limpide, quando si riconosce che l’amicizia dell’altro è qualcosa di vitale per comprendere sé stessi». Un punto di vista interessante e profondo che il sacerdote ha dato alle lettere presenti nel volume: «Dando una lettura spirituale, si riconosce come sia una chiave importante per leggere un carteggio come questo e comprendere queste due figure: si può rileggere dentro queste due figure il pensiero di Gesù, non qualcosa di astratto, ma come il Vangelo ha strutturato la vita di questi uomini».
Sono quindi intervenuti a conclusione i due curatori del libro. Don Bruno Bignami, postulatore della Causa di beatificazione di don Mazzolari, ha espresso il suo pensiero ritenendo che «una lettura dal punto di vista della Teologia spirituale dei lavori di Mazzolari è opportuna e questo testo è uno di quelli che mi ha mosso la curiosità profonda della conoscenza di questo prete e dei suoi passaggi di vita». Don Bignami ha voluto inoltre aggiungere che «purtroppo, le lettere di Astori sono state difficili da recuperare perché non presenti nell’archivio della Fondazione e rimane il cruccio di non essere riusciti a recuperarle tutte». Il postulatore ha anche aggiunto come questo carteggio possa far riflettere a livello più generale anche per problematiche sempre attuali: «Da queste lettere esce uno spaccato di vita di Chiesa e di vita pastorale, una ricchezza enorme con i tentativi e le fughe in avanti fatti nella vita di parrocchia e mi meravigliano sempre i commenti che si scambiano, come ad esempio nel rapporto difficile con i giovani».
Infine ha preso la parola don Umberto Zanaboni, vicepostulatore della Causa di beatificazione di don Mazzolari, che ha riflettuto su come «lavorare su questo epistolario per me è stata un’esperienza: nel contesto attuale l’amicizia tra preti è una croce, i nostri vescovi lombardi stanno spingendo per le unità pastorali e spesso noi facciamo fatica perché lavorare insieme vuol dire lasciare un po’ da parte noi stessi per andare incontro all’altro, però dall’altra parte l’amicizia tra preti è l’unica strada per vivere in questa stagione di vita della Chiesa». Don Zanaboni ha anche voluto ricordare la sua esperienza nel lavorare a questo volume: «Io e don Bruno abbiamo lavorato a questo libro durante il primo lockdown, a marzo dell’anno scorso, incontrandoci online e ci siamo fatti compagnia in questo modo, non solo lavorando sul libro ma anche scambiandoci confidenze e le difficoltà del momento: per me è stato un grande aiuto in quelle sere, alle quali noi preti di parrocchia e oratorio, con le sere solitamente sempre impegnate, non eravamo abituati ».
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