Giovedì sera ai Quaresimali di Soresina ospite don Marco Pozza

Cappellano del carcere “Due palazzi” di Padova, ha dialogato con Papa Francesco nel programma di Tv2000 che ha portato al libro “Quando pregate dite: Padre nostro”

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Sarà don Marco Pozza – volto televisivo noto per il commento del Vangelo il sabato pomeriggio nella trasmissione “A sua immagine” di Rai1 e che per TV2000 ha condotto, in nove puntate, il programma “Padre nostro”, una sorta di conversazione con papa Francesco sulla preghiera che Gesù – l’ospite che la sera di giovedì 8 marzo interverrà a Soresina ai Quaresimali proposti dalla parrocchia di S. Siro. L’appuntamento è per le 20.45 presso il salone Mosconi del centro parrocchiale.

Il dialogo con il Pontefice (nell’intervista il Papa e il giovane sacerdote si danno del “tu”) ha prodotto un libro “a quattro mani”, di facile lettura e di una “chiarezza papale”, intitolato “Quando pregate dite: Padre nostro”. Non è il primo che don Marco pubblica. Ha già dato alle stampe diversi testi, tre dei quali, tanto profondi quanto intriganti, sulla figura di Cristo.

Classe 1979, padovano di origine, si definisce “uno straccio di prete al quale Dio si intestardisce ad accordare simpatia e misericordia”. Ha studiato a Roma ed è dottore in Teologia. Esercita il suo ministero nel carcere “Due palazzi” di Padova, che egli considera la “sua” parrocchia: una delle tante “periferie esistenziali” amate dal Pontefice.

Nell’Anno Santo della Misericordia, infatti, con “una mossa a sorpresa” papa Francesco ha trasformato i pesanti cancelli delle prigioni di tutto il mondo in altrettante “porte sante” per ottenere l’indulgenza giubilare: chi l’avrebbe mai detto che i “poveri cristi” reclusi in una “casa circondariale” sarebbero stati scelti, direttamente dal Vicario di Cristo, per essere “sentinelle della misericordia”? Scrive don Pozza: “La Chiesa è come la mamma di un detenuto: sa metterci la faccia per suo figlio, anche nei sentieri della perdizione”.

Nel suo appuntamento soresinese don Pozza commenterà una delle espressioni del “Padre nostro” che, da sempre, destano turbamento nei credenti: “E non ci indurre in tentazione…”.

Il Pontefice, nel colloquio con il sacerdote padovano, ha introdotto una significativa variante alla traduzione italiana della preghiera provocando un certo scalpore nell’opinione pubblica: “E non abbandonarci alla tentazione”. Poiché – ha precisato papa Francesco – “sono io a cadere, non è Dio che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto. Un padre non fa questo: un padre aiuta ad alzarsi subito. Chi ci induce in tentazione è Satana… Il senso della nostra preghiera è: “Quando Satana mi induce in tentazione tu, o Dio, per favore, dammi la mano, dammi la tua mano!”.

La replica di don Marco al Santo Padre è altrettanto interessante: “E’ anche vero, però, che quando sono tentato mi rendo conto di quanta grazia mi ha dato Dio nel cuore: forse non me ne sarei accorto se non fossi stato tentato!”. Il cappellano del penitenziario, “prete da galera” come ama definirsi, sa che la peggiore prova per i suoi fratelli e sorelle detenuti è la disperazione: “Nella nostra parrocchia del carcere – spiega – la tentazione più grande con la quale Satana tenta ogni mattina di sedurci il cuore è sussurrare: Lasciate stare, tanto non cambia niente, è tutto tempo perso!”.

Quella di don Marco a Soresina sarà una testimonianza molto stimolante, anche per i più giovani… che, con il loro incontenibile bisogno di amore e la loro voglia spasmodica di vita, sono le vittime preferite del Grande Tentatore”

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