Estate di missioni nello spazio: alla ricerca della vita su Marte

Emirati Arabi, Cina e Stati Uniti: sono tre le missioni che questa estate puntano a raggiungere il Pianeta Rosso per studiarne l'atmosfera e continuare a indagare sulla possibilità dell'esistenza della vita. Nuove frontiere verso il progresso e verso la risposta a tanti quesiti ancora irrisolti. Ne abbiamo parlato con i cosmologi della Specola Vaticana

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A distanza di pochi giorni l’una dall’altra partono verso Marte tre missioni importanti nell’arco dell’estate grazie all’apertura della migliore finestra di lancio possibile per le navicelle spaziali, determinata dalla posizione ottimale che i due pianeti hanno lungo le loro orbite e che si verifica ogni due anni circa. La prima a partire questa notte è stata “Hope” sviluppata dal Mohammed Bin Rashid Space Centre di Dubai, in collaborazione con diversi istituti stranieri, lanciata con successo dal sito dell’isola di Tanegashima, in Giappone; la seconda sarà la cinese “Tianwen” prevista tra il 20 e il 25 luglio dal Cosmodromo di Wenchang, interessata a fotografare e studiare la superficie del Pianeta Rosso; seguita dalla statunitense “Perseverance”, che sarà lanciata presumibilmente il 30 luglio dal Kennedy Space Center con l’intento di studiare campioni di suolo e rocce per evidenziare eventuali microfossili, e questo proprio nel momento in cui si parla di tracce di vita su Marte. Per la Cina e gli Emirati Arabi Uniti, si tratta del primo tentativo di lanciare una missione su Marte.

“Hope”, speranza degli Emirati

In particolare la missione di “Hope” intorno al Pianeta Rosso rappresenta, un inedito con alti obiettivi scientifici e certamente contribuirà a far avanzare la conoscenza di Marte da un’orbita mai occupata prima da un’altra sonda. Hope viaggerà per 493,5 milioni di chilometri per raggiungere Marte nel 2021, anno in cui gli Emirati celebreranno il cinquantesimo anniversario della loro fondazione. La missione ha come scopo quello di studiare la dinamica dell’atmosfera e monitorare i cambiamenti climatici del clima marziano, al fine di osservare le variazioni stagionali, le nubi e le tempeste di polvere di mese in mese e, se la missione viene prolungata, per almeno due anni. Una visione completa dunque che potrebbe essere fornita per la prima volta in questo ambito.

Non solo petrolio e turismo

Ma Hope si inserisce anche in un contesto più ampio che mira a “preparare i prossimi 50 anni degli Emirati Arabi Uniti” che vogliono “diversificare un’economia fortemente dipendente dal petrolio e dal turismo”, spiega Sarah Al Amiri vicedirettore del progetto. Gli ultimi 50 anni ci sono serviti, ha detto, “per costruire tutte le infrastrutture. Domani l’obiettivo è quello di garantire la prosperità degli Emirati Arabi Uniti affidandosi “all’istruzione, alla scienza e alla tecnologia in particolare”. Ai giovani parla invece il direttore del progetto ‘Emirates Mars Mission’, Omran Sharaf, in un video messaggio su Twitter.”La missione su Marte degli Emirati – scrive – è un messaggio di speranza per i giovani arabi. Se un Paese giovane come gli Emirati Arabi Uniti è in grado di raggiungere Marte in meno di 50 anni, allora possiamo fare molto di più come regione”.

Un interesse comunque condiviso e di alto a livello quello per il Pianeta Rosso e, in generale, per le missioni spaziali, intessuto di collaborazione e condivisione del sapere al di là della provenienza degli studiosi. Come a dire che in cielo si lavora meglio che sulla Terra! Ne parla così ai nostri microfoni padre Gabriele Gionti gesuita e cosmologo della Specola Vaticana, Osservatorio astronomico tra i più antichi del mondo con sede a Castel Gandolfo, e istituto di ricerca scientifica della Santa Sede.”Il progresso scientifico non può esistere senza collaborazione internazionale, siamo entrati in una nuova fase in tal senso, e lo costatiamo ogni giorno”:

Ascolta l’intervista a padre Gabriele Gionti

A cosa è legato l’interesse per il Pianeta Rosso? Cosa ne sappiamo finora e a cosa si punta per lo sviluppo futuro?

«La cosa più interessante del Pianeta Rosso è il fatto che è possibile che ci siano tracce di vita. Adesso bisogna capire se esistono e di che tipo sono; e poi quando riusciremo a portare anche l’uomo su Marte, perché questa è la grande domanda…».

Perché, la presenza dell’uomo farebbe la differenza?

«Sì, se pensa solo al fatto che è difficile che una macchina riesca a fare, per quanto ne sappiamo finora, gli esperimenti  da sola…pensi solo a questo e a quanto sarebbe importante la presenza dell’uomo».

Per gli Emirati dal punto di vista scientifico in questa missione pare che l’interesse sia studiare proprio la dinamica dell’atmosfera e del clima. Ma in realtà si ambisce anche a dare all’economia una diversificazione. Oltre a petrolio e turismo puntare a tecnologia, scienza e sapere. Dunque, addentrarsi in questo mondo può comportare, a livello di risorse e di interessi, un futuro importante per un Paese?

«Sicuramente qualunque impegno tecnologico di questa portata, implica necessariamente uno sviluppo scientifico e ricadute anche tecnologiche e industriali nel tempo. Quindi è chiaro che un Paese che si ritrova con risorse economiche da investire punti a investirle bene, cioè in qualcosa che darà una ricaduta diretta, se non nel breve certo nel lungo periodo, perché investimenti tecnologici e scientifici significano progresso economico. E questo per Paesi che sono all’avanguardia è molto importante».

Lei parlava dell’interesse degli studi su Marte, in relazione ad una possibile forma di vita…Ci sono lì delle risposte che possiamo trovare a questioni che riguardano la Terra, penso alle questioni ambientali, al tema delle risorse, penso alla sopravvivenza sul nostro pianeta?

«Direi non direttamente. Sicuramente possiamo studiare come è fatto il pianeta e come è fatta l’atmosfera e da qui fare altri studi per allargare le nostre conoscenze e comprendere anche meglio il nostro pianeta e cosa sta succedendo sulla Terra».

Ma non dunque risposte e aiuti diretti …. 

«No, direi di no, perché si tratta di un’altra atmosfera e di altre condizioni fisiche e chimiche. Assistiamo tuttavia, sempre di più, a una ricerca che, nello spazio, porta a effettuare veri e propri esperimenti scientifici che sulla terra non si riescono ad ottenere. In questo senso dalle missioni vengono ricadute anche tecnologiche dirette e importanti rese possibili proprio dal fatto che ci troviamo in altre condizioni fisiche. Per esempio ultimamente siamo riusciti ad ottenere la sintesi di una lega importante che in Terra non si riusciva a realizzare. In questi termini si può parlare di ricadute e di effetti diretti anche sul nostro vivere quotidiano».

Tornando alle missioni di questa estate. Cina, Emirati Arabi, Stati Uniti: sembrerebbe che nello studio dell’universo ci sia una collaborazione più proficua di quanto invece non succeda sulla Terra? Come a dire, in scienza riesce ciò che nella politica non riesce?

«Sicuramente nella scienza noi stiamo assistendo ad una nuova era, in cui costatiamo che, per fare progressi, dobbiamo condividere le nostre conoscenze. Nessuno si sognerebbe in questo momento di sviluppare completamente da solo un programma spaziale, e questo spinge ad una cooperazione maggiore, assente in altri campi. Ma in queste grandi missioni scientifiche c’è, perché non si potrebbe fare altrimenti, e lo costatiamo tutti i giorni».

VaticanNews
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