Elezioni politiche: un diritto pagato a caro prezzo, un dovere da compiere

Una nota di Stefano de Martis (SIR) alla vigilia di una consultazione popolare segnata da disinformazione, eccessi e tanta voglia di astenersi

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Le sanzioni per chi non va alle urne sono state abrogate ormai da un quarto di secolo, ma questo rende paradossalmente ancora più significativo il “dovere civico” di esercitare il diritto di voto, secondo l’incisiva formula dell’articolo 48 della Costituzione. Perché sposta l’accento da un obbligo formale alla responsabilità di ciascuno. Un diritto e un dovere, strettamente legati come in tutto l’impianto della Carta entrata in vigore settant’anni fa.

Allora l’Italia era appena uscita dalla tragedia della guerra e della dittatura e quel voto “personale ed eguale, libero e segreto” appariva come un tesoro prezioso e irrinunciabile, per il quale era stato pagato un prezzo incalcolabile in termini di vite umane. Tra i “ragazzi del ’99”, chiamati alle urne per la prima volta domenica 4 marzo, quanti avranno un minimo di consapevolezza di questa storia? E la domanda non riguarda soltanto i diciottenni al debutto nei seggi, ma i tanti italiani che hanno deciso di astenersi o sono tentati di farlo, e forse anche molti di quelli che andranno a votare con stanchezza e sfiducia.

Intendiamoci, la stanchezza e la sfiducia non nascono dal nulla. Anche a voler circoscrivere il discorso alla sola campagna elettorale – ed è un’operazione evidentemente riduttiva – lo spettacolo offerto complessivamente dai soggetti protagonisti della scena politica è stato sconfortante. Mentre giustamente chi di dovere si preoccupa del rischio di condizionamenti mafiosi (che purtroppo ben conosciamo) e di quello rappresentato dalle fake news e dagli attacchi cyber (che stiamo faticosamente imparando a ri-conoscere), viene da dire che la principale ombra su questo voto è rappresentata proprio da una campagna in cui è stato fatto di tutto per non mettere i cittadini nelle condizioni di votare in modo “libero” e “personale”, per usare le parole della Costituzione.

Ragionando con la propria testa e non facendosi trascinare da paure e luoghi comuni, a dirla in altri termini, perché in ogni situazione, anche quella che appare più irrimediabile, è possibile esercitare un discernimento onesto e costruttivo. È questa la migliore reazione, l’unica veramente utile, di fronte a una politica che genera insoddisfazione e, talvolta, indignazione. Disertando le urne, gli italiani consentirebbero invece alla cattiva politica di espropriarli anche del loro primo diritto democratico come cittadini.

Non bisogna farsi ingannare: senza partecipazione si lascia campo libero al peggio e non ci può essere buona politica.

Mai come in questo caso, poi, il risultato della tornata elettorale sembra essere nelle mani degli indecisi, di coloro che non hanno ancora scelto non solo chi votare, ma se andare ai seggi o no. Un motivo in più, niente affatto disprezzabile, per compiere quel “dovere civico” che ha appena compiuto settant’anni e oggi ci dà la possibilità di scrivere il nostro futuro.

(Fonte SIR)

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