Caravaggio saluta don Giovanni Amigoni, «prete dell’essenziale» (audio e foto)

Il vescovo Antonio ha presieduto la celebrazione delle esequie del sacerdote che per 15 anni fu parroco nella parrocchia dei Santi Fermo e Rustico

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La chiesa parrocchiale di Caravaggio, gremita fino all’ultimo posto, si è riunita in preghiera per l’ultimo saluto a monsignor Giovanni Amigoni, sacerdote che per 15 anni ha svolto il ministero di parroco proprio nella comunità dei santi Fermo e Rustico, deceduto nei giorni scorsi all’età di 86 anni.

Insieme al vescovo emerito Lafranconi e alle rappresentanze delle autorità civili, tanti i confratelli del presbiterio diocesano che il vescovo Antonio Napolioni ha voluto salutare e ringraziare all’inizio della celebrazione esequiale dinanzi ad un’assemblea «composita», che ha idealmente riunito le comunità di Misano – parrocchia natale – Regona, Soresina, Fontanella e Caravaggio, dove don Giovanni ha prestato servizio: «Tanti legami, il più forte dei quali – permettetemi – credo sia quello con il presbiterio, con la famiglia presbiterale generata da questo altare. Non solo sfondo di colleghi ma compagnia sacramentale»

L’omelia di monsignor Napolioni ha preso avvio dalla lettura di un passaggio del testamento spirituale di don Giovanni, scritto dieci anni fa: un ringraziamento a Dio per la fede trasmessa dai suoi «meravigliosi genitori», per la vocazione sacerdotale, per le comunità che i suoi vescovi gli hanno affidato.

«Anche noi – ha commentato il Vescovo – dobbiamo cominciare sempre ogni giornata, ogni ragionamento, ogni discussione, ringraziando Dio. Con la Chiesa, per la Chiesa e nella Chiesa». Come insegnano le parole di don Giovanni. «Una figura che non spicca per niente di speciale, se non per la fedeltà nel Signore e nella sua gente», ha sottolineato ancora il celebrante, ricordando il sacerdote come «un prete dell’essenziale: coglieva che la vera identità di un uomo di Dio non è quella del paese, della zona, della lingua ma è quella del Vangelo…».

Di quel Vangelo – come significativamente espresso dal brano della liturgia del giorno – in cui Gesù annuncia il “comandamento dell’Amore”: «Il comandamento decisivo che non passa di moda: riconosciamo che Lui può riempire d’amore tutte le nostre esperienze».

Il comandamento su cui saremo giudicati, ha aggiunto monsignor Napolioni volgendo lo sguardo al ministero sacerdotale e alle fatiche che anche don Giovanni avrà incontrato: «Ciò su cui saremo giudicati dal Signore, non sarà soltanto sull’essere stati affezionati ai “nostri”. Non saremo giudicati su come siamo stati caravaggini o misanesi, bergamaschi o marchigiani… Ma su come saremo stati cristiani, uomini e donne, figli di Dio, fratelli di ogni uomo e ogni donna che Dio ci mette sulla strada».

Un compito gravoso che non mette al riparo dalle difficoltà e dai timori: «Timore non del giudizio umano, ma il timore di allontanarsi dalla strada del Vangelo, a servizio del Signore e del popolo. Per questo mi è piaciuto il testamento asciutto di una vita sacerdotale lunga e laboriosa come quella di don Giovanni. Lo custodiremo nella memoria – ha concluso – e guardiamo avanti perché ora tocca a noi. Non è una foglia in meno su una pianta che rischia di diventare spoglia, ma un passo in più verso il traguardo verso cui tutti siamo indirizzati: il regno di Dio».

Ascolta qui l’omelia di mons. Napolioni

Al termine della celebrazione un sincero e spontaneo applauso dell’assemblea ha accompagnato l’uscita del feretro, prima del tragitto verso il cimitero di Misano dove don Giovanni è stato sepolto.

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