Anche il vescovo Antonio Napolioni con un gruppo di cremonesi a Sotto il Monte alla Marcia della pace

Il 31 dicembre la 50esima edizione della Marcia ha fatto ritorno in terra Bergamasca, nei luoghi di quel grande profeta di pace che fu Giovanni XXIII

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“Un abbraccio di misericordia” è partito da Sotto il Monte nella notte dell’ultimo dell’anno per raggiungere ogni uomo e ogni donna d’Italia e del mondo. Un abbraccio come ha chiesto Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale per la pace – “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace –, rivolto anzitutto “a tutti coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame o che sono costretti a lasciare le loro terre a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale”. Nello stesso tempo un abbraccio che vuole circondare le coscienze di tutte le persone per interpellarle con serietà: “Davvero vogliamo la pace”? O piuttosto vorremmo “starcene in pace”?

Così il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, ha raccolto e rilanciato il messaggio di Papa Francesco al termine della 50ª Marcia della Pace, promossa la sera di S. Silvestro da Cei, Caritas Italiana, Pax Christi e Azione Cattolica. Una iniziativa – cui ha preso parte anche il vescovo Antonio Napolioni insieme a un gruppo di cremonesi – che quest’anno è tornata a Sotto il Monte, nei luoghi di quel grande profeta di pace che fu Giovanni XXIII e che hanno visto crescere, con timidezza e fiducia, negli anni, germogli e testimonianze di pace. Monsignor Beschi, in proposito, ha ricordato sia padre David Maria Turoldo, sia il cardinale Loris Francesco Capovilla, che nella sua lunga vita ha custodito e incessantemente riproposto il messaggio di Papa Roncalli.

E a Sotto il Monte, dopo un cammino nella tarda serata – inframmezzato da tappe di preghiera e testimonianze in particolare sul tema dei migranti – è approdata la Marcia, con la Messa conclusiva concelebrata da molti vescovi e sacerdoti, in una tensostruttura piena di donne e uomini ben consapevoli del compito gravoso e allo stesso tempo entusiasmante di farsi “operatori di pace”. “Perché la pace – ha detto ancora il vescovo Francesco, ricordando proprio le parole di Turoldo – non è americana, come non è russa, romana, cinese; la pace vera è Cristo”, quella novità che cambia il cuore di ogni persona.

Una pace che non è irenismo, né sola tensione spirituale. Piuttosto assunzione consapevole di responsabilità, frutto delle “coniugazione” – ha spiegato il vescovo Francesco – alla prima persona singolare (“io”) e plurale (“noi”) di quei 4 verbi – la “pietre miliari per l’azione” – indicati da Papa Francesco ancora nel Messaggio per la Giornata, rivolti in particolare al tema dei migranti: accogliere, proteggere, promuovere, integrare.

Il vescovo di Bergamo ha sottolineato l’impegno delle diocesi, delle comunità in questo anno appena concluso, ma non si è sottratto a un richiamo forte verso i pericoli di una stagione nella quale il tema della pace è ancora una volta assordato dalle voci di guerra, dalla corsa al riarmo, dalla “globalizzazione dell’indifferenza”.

Davvero – ha provocato il vescovo, interpellando ogni cuore – l’aspirazione di tutti è la pace? Quella pace – ha poi aggiunto rivolgendosi al “popolo della Marcia” – che come ricordava Papa Giovanni XXIII rimane “solo suono di parole”, se non è fondata su quell’ordine tracciato nella “Pacem in terris”, un ordine “fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà”.

Giustizia, carità, libertà: sono i nomi di Dio, come Pace è il nome di Dio. Dio che, una volta di più, nel Natale, assume il volto dei piccoli, dei poveri, dei migranti, dei rifugiati e di ogni persona che con consapevolezza e corresponsabilità si fa prossimo ai fratelli. Questo è il mandato che viene da Sotto il Monte e accompagna la Chiesa in un nuovo anno – ha concluso il vescovo Francesco – “di resistenza e di non rassegnazione, per tutta l’umanità”.

Libretto della Marcia

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