A 90 anni dalla firma dei Patti Lateranensi

Mons. Ardura: “Collaborazione e laicità sono le due parole d’ordine”

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A 90 anni dalla firma, i Patti Lateranensi sono ancora oggi un esempio di “fattiva collaborazione” tra Stato e Chiesa, che “consentono sia alla Santa Sede, sia alla Chiesa italiana di intervenire sul piano economico, sociale, culturale e caritativo per far pronte a tutte quelle forme di povertà che purtroppo oggi ancora affliggono il mondo”, come la crisi dei migranti. Ne è convinto mons. Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, che per il Sir analizza anche l’evoluzione del termine “laicità” e del rapporto tra cattolici e politica.

“Novant’anni dopo, la cooperazione fattiva tra la Santa Sede e lo Stato italiano ancora oggi, soprattutto in questi anni di precarietà economica e sociale e più recentemente di crisi umanitaria, dimostra la bontà dei Patti Lateranensi”. Parola di mons. Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, secondo il quale i Patti Lateranensi sono ancora oggi un esempio di “fattiva collaborazione” tra Stato e Chiesa, che “consentono sia alla Santa Sede, sia  alla Chiesa italiana di intervenire sul piano economico, sociale, culturale e caritativo per far pronte a tutte quelle forme di povertà che purtroppo oggi ancora affliggono il  nostro mondo”, come la crisi dei migranti. Il presidente del citato Comitato Pontificio – che il 12 febbraio, presso il Pontificio Collegio Teutonico, organizza una tavola rotonda sul 90° dei Patti Lateranensi – spiega al Sir le ragioni e le prospettive di tale collaborazione Tra Stato e Chiesa, anche in vista di un rinnovato impegno dei cattolici in politica.

Come si arriva alla firma del 1929, e quali erano le esigenze più urgenti per i due contraenti?

Con la stipula dei Patti Lateranensi, si pose fine giuridicamente a cinquantanove anni di relazioni tese, fin dalla “presa di Roma”, con la conseguente perdita della sovranità temporale del Pontefice. Da San Pio X, i Papi non avevano più rivendicato il ripristino dello Stato pontificio, e si può ben comprendere che Pio XI desiderasse avere una garanzia dell’indipendenza della Santa Sede dall’Italia. I Patti Lateranensi intervennero dopo dieci anni dall’ultimo “smacco” istituzionale subito dalla Santa Sede, vale a dire l’opposizione dell’Italia alla partecipazione della Santa Sede ai negoziati di pace del 1919, per concludere la prima guerra mondiale. La Santa Sede aveva protestato tante volte senza ottenere il minimo risultato: come diceva il futuro cardinale Tardini, “dopo aver perso il Regno, si rischia di perdere anche il prestigio”. L’Italia, da parte sua, intese sbarazzarsi dell’immagine di “persecutore” del Papa. Nel corso degli anni, sotto Pio XI, si instaurò una conciliazione de facto mentre i Patti Lateranensi segnarono la conciliazione de iure. La firma dei Patti è dunque la sanzione giuridica di una conciliazione già avvenuta, è un punto di partenza giuridico.

Il percorso per arrivare a raggiungere l’obiettivo non fu però così lineare…

Se ci fu una quasi unanimità sulla necessità di risolvere la cosiddetta “questione romana” e dunque questo status conflittuale, si registrò, al contrario, grande diversità di opinioni sul modo di realizzarla.

Creare uno Stato indipendente sembrava, infatti, necessario, ma si pose la questione di Roma: il nuovo Stato, per alcuni, avrebbe dovuto inglobare almeno una parte della città

Il cardinale Pompili, ad esempio, vicario del Papa per la diocesi di Roma, disse dopo la firma dei Patti: “Hanno dato via Roma e non ne hanno parlato al cardinale di Roma”. Anche un uomo molto critico sulla realizzazione concreta dello Stato della Città del Vaticano, come il cardinale Tardini, ha però cambiato opinione durante la seconda guerra mondiale, perché la possibilità di avere non solo uno Stato, ma anche una zona extraterritoriale è stata una benedizione per la protezione, ad esempio, di tanti ebrei. La possibilità di assicurare una sussistenza per le persone protette in questa zona extraterritoriale ha tatto capire quale fosse l’ importanza e la bontà del fatto di avere questo “staterello”, che dal punto vista territoriale era il minimo che si potesse pensare, ma consentiva di avere un’attività a livello internazionale.

Come vennero salutati i Patti Lateranensi dallo scacchiere  di allora?

La situazione anteriore appariva agli osservatori esteri come una garanzia di indipendenza del Papa dall’Italia, in quanto soggetti in conflitto. Il Trattato, accompagnato da un Concordato con il regime fascista, non poteva, d’altronde, suscitare qualche perplessità presso gli stessi cattolici e qualche governo estero. È bene ricordare che i trattati vengono firmati con uno Stato e non con un regime politico particolare. Ciò che è fondamentale è la continuità dello Stato attraverso la variabilità dei regimi politici. Così, i Patti Lateranensi furono firmati tra la Santa Sede e lo Stato italiano e furono inseriti nella Costituzione italiana del 1948, quando l’Italia scelse di passare dalla monarchia alla Repubblica.

Come bilancio storiografico, si deve lodare la saggezza di Pio XI, che optò per una soluzione che si potrebbe definire “minimalista” quanto al territorio dello Stato, coadiuvato dalla visione realistica del cardinale Gasparri.

I Patti Lateranensi, in questi 90 anni, hanno inaugurato un dibattito che dura ancora oggi sul concetto di “laicità”. Come si è evoluta la questione del rapporto tra cattolici e politica?

Dal 1929 ad oggi c’è stato il Concilio Vaticano II: gli atteggiamenti, i modi di pensare si sono profondamente modificati. Si è passati, ad esempio, dal concetto di religione di Stato a quello di religione maggioritaria all’interno di uno Stato. È un cammino che si è fatto anche in altri Paesi, perfino ad esempio nei Paesi scandinavi, dove c’era sempre stata una religione di Stato.

In questi 90 anni, soprattutto grazie all’impulso del Concilio, c’è stato un movimento di amplificazione del concetto di laicità.

Abbiamo bisogno di credenti che si impegnino nel servizio del bene comune: è questo il senso dell’impegno dei cristiani in politica.

Non abbiamo bisogno di politici cristiani, ma di cristiani impegnati in politica.

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