Tra vita ed esperienza, quali parole per raccontarle?

Il tema della narrazione al centro dell'intervento del professor Petrosino nella prima serata di Traiettorie di Sguardi

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Il primo incontro di TDS è stato inaugurato dall’ospite Silvano Petrosino, professore di Antropologia Religiosa e Media e Teorie della Comunicazione presso l’università Cattolica di Milano.

A lui abbiamo chiesto di aiutarci a introdurci al tema della narrazione, che sarà il leitmotiv di questa edizione di Traiettorie di Sguardi. In particolare di approfondire il legame tra esperienza e narrazione. Il polo problematico di questo legame, a detta del professore, non è tanto la narrazione, quanto l’esperienza.

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Come la definisce Cassirer, infatti, l’esperienza dell’uomo è sempre una trama aggrovigliata. Pensiamo al rapporto tra uomo e cibo. Per l’uomo mangiare un piatto di pasta non è mai solo mangiare un piatto di pasta, perché legato ad esso ci sono ricordi, sapori, emozioni, passioni, ma anche sofferenze e traumi, sensi di colpa. Quel piatto di pasta è abitato.

L’uomo, rispetto a tutti gli altri esseri viventi, è elemento di complicazione: l’animale non digiuna, non soffre di anoressia, né di bulimia, non discrimina tra cose pure e cose impure.

La narrazione diventa importante proprio perché non banalizza l’umano ma lo riesce a dire, è alla sua altezza. Il vantaggio della parola rispetto al numero è che riesce a descrivere l’esperienza, riesce a cogliere l’intreccio e la complessità dell’uomo.

È anche per questo che Dio ha scelto la parola per creare, non ha paura di chiamare le cose con il loro nome, ha scelto la narrazione per rivelarsi.

La parola però permette anche l’introduzione della menzogna e dell’imbroglio. Questo è un ulteriore elemento di complessità introdotto dall’uomo e che fa parte della sua esperienza.

La drammaticità dell’esperienza umana raggiunge così il suo culmine, e nonostante questo Dio ha scelto di incarnarsi e di condividere con l’uomo tutte le cose, sia quelle belle che quelle spregevoli.

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