Mons. Francesco Follo: i beni culturali ecclesiastici non sono oggetti da museo

Il sacerdote cremonese, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Unesco, è intervenuto al primo Convegno nazionale “Conoscere, conservare, valorizzare. Il patrimonio religioso culturale”

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Un patrimonio immenso da valorizzare e rispettare quello dei beni culturali ecclesiastici, che non sono oggetti da museo. È questo un passaggio significativo dell’intervento in videoconferenza di mons. Francesco Follo, il sacerdote cremonese Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Unesco, nel corso del Convegno “Conoscere, conservare, valorizzare. Il patrimonio religioso culturale” che si è svolto in programma dal 10 all’11 marzo a Vicenza.

Sarebbe riduttivo intendere i “beni culturali” della Chiesa solo nel loro aspetto sociologico o socio-economico, dimenticandone il valore religioso e pastorale. Secondo mons. Follo, infatti, porre l’accento solo sull’aspetto “romantico-conservativo dell’opera d’arte in quanto portatrice di bellezza” rischia di privarla del suo “valore religioso”.

Citando San Giovanni Paolo II, l’Osservatore della Santa Sede all’Unesco ha rimarcato l’importanza del legame fede-cultura: “Una fede che non diventa cultura – diceva Papa Wojtyla – è una fede non pienamente accolta”, ma occorre evitare una “culturalizzazione” della fede che la svuoti di significato.

Particolarmente rilevante è considerare i beni culturali ecclesiastici nella loro “vitalità”: “non solo perché la teoria del restauro dice che il primo modo per conservarli è quello di usarli, ma in quanto questo uso è finalizzato allo sviluppo della esperienza religiosa”.

Mons. Follo ha quindi evidenziato l’inscindibile nesso tra arte e liturgia: “La liturgia – osserva – non desume le sue forme dall’arte”, ma “l’arte costruisce le sue forme traendo origine dal culto”; solo così l’opera artistica religiosa diventa significativa. Ecco perché secondo l’Osservatore permanente, “valorizzare significa riprendere contatto con la ‘scintilla originaria’ in cui l’esperienza religiosa si è fatta forma”.

Lungo la storia, la Chiesa – ha affermato mons. Follo – ha sempre accolto e valorizzato le molteplici espressioni prodotte dalle singole culture per dare forma e bellezza alla liturgia: tutto “ciò costituisce un insieme di beni culturali di insigne valore per il mondo intero”.

In tal senso i beni culturali ecclesiali, espressione della presenza dei cristiani nelle varie società e nel mondo, non sono solo le Chiese o quei luoghi di culto comprendenti statue e dipinti, ma anche biblioteche, archivi, musei, musica sacra, devozioni popolari, coreografie, editoria cattolica.

All’interno dello Stato della Città del Vaticano ad esempio vanno considerati come beni culturali, oltre a quelli universalmente riconosciuti tali, come la Basilica di San Pietro o la Cappella Sistina, anche i luoghi di lavoro e servizio all’attività pastorale del Papa e dei suoi collaboratori. Tra gli altri mons. Follo cita esplicitamente la Biblioteca, l’Archivio Segreto, i Musei, i Palazzi, i Giardini, la Casa Editrice, la Specola, la Radio e il Centro Televisivo.

Infine, guardando all’Italia l’Osservatore Permanente della Santa Sede ha rimarcato come al suo interno, stando alle stime Unesco, sia presente il 50% dei beni culturali mondiali, di cui quelli ecclesiastici sono il 70-80 per cento con circa 95mila chiese, 3mila biblioteche e 28mila archivi parrocchiali.

L’intervento integrale di mons. Follo

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