La sfida di educare: scegliere di essere l’ape che si posa sul fiore

A Fornovo San Giovanni l'appassionato intervento di don Marco Pozza, cappellano del carcere di massima sicurezza di Padova

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«Quando ero piccolo mio papà mi diceva sempre: “Quando qualcuno prende in mano un microfono, prima che lui cominci a parlare chiedigli: da quale posizione guardi il mondo la mattina?”». Con questa frase e con il racconto della sua famiglia apre il suo discorso don Marco Pozza, cappellano del carcere di massima sicurezza di Padova, ospite a Fornovo San Giovanni lo scorso 10 ottobre in occasione dell’inizio dell’anno pastorale.

E lui, il mondo, lo guarda da sotto terra. Dalla finestra della cella di una galera. In compagnia di persone che nella vita hanno sbagliato. Durante tutta la serata non ha mai usato la parola detenuti. Sono persone. Persone che hanno sbagliato, che si sono macchiati dei crimini più efferati, ma che rimangono persone. Perché – dice sempre don Marco – «se si mette una perla in un letamaio e poi si ha il coraggio di andare a riprenderla, si scopre che la perla si è sporcata, ma non si è sciolta».

Con la sua grinta e la sua passione don Marco ha parlato più di un’ora e mezza, senza mai raccontare direttamente dei suoi carcerati o della sua vita al penitenziario, ma ha scelto di parlare di educazione (il tema della serata) raccontando il brano di Vangelo del giovane ricco (Mt 19,16-22) e invitando chi gli era di fronte ad ascoltarlo come se fosse la prima volta. Perché anche se la Scrittura non cambia, chi ascolta, invece, cambia ogni volta e può sentire cosa il Signore gli vuole dire in quell’istante preciso della sua vita.

«Non facciamoci intimorire dai paroloni che usa il giovane. Questo ragazzo chiede a Gesù come poter essere felice». E questa, spiega don Marco, è la domanda che ogni ragazzo che passa in parrocchia pone ai suoi educatori. I catechisti in particolare e ogni cristiano in generale devono saper rispondere.

Ascolta qui l’audio integrale dell’intervento

E l’unica via possibile la mostra, come sempre, Gesù Cristo che «fissatolo lo amò». Don Marco mostra come lo sguardo sia l’unico vero canale dell’amore e come debba precedere ogni gesto e ogni parola.

Al cristiano non resta che scegliere se essere un’ape o una mosca nei confronti della vita, come dice don Marco. Quest’ultima, davanti a un campo di tulipani bellissimi, si posa sopra l’unico escremento che incontra. Ma l’ape davanti a un letamaio sceglie sempre di posarsi sull’unico fiore, anche se avvizzito e appassito.

Più di un’ora e mezza di passione, di Parola e di vita hanno tenuto attenti e con il respiro sospeso la piccola chiesa di Fornovo gremita di gente. Don Marco ha dichiarato il suo amore per la Chiesa, parlando con le parole di don Primo Mazzolari («sono sempre le solite cose – riferite al Vangelo ndr – ma voi non siete sempre le solite persone»), di don Pino Puglisi, di don Lorenzo Milani e di San Francesco di Sales («non parlare mai di Dio a nessuno, ma vivi in modo che la gente ti chieda di Lui», a proposito di quando si è innamorato di Gesù guardando suo nonno tornare felice dalla Messa). Non ha poi mancato di citare altri autori, come il poeta Luzi, Calvino, Dante, D’Annunzio ed Erri De Luca. La creatività di Dio si nasconde ovunque, anche tra le parole di un ateo convinto.

Ma sono i versi della poetessa bulgara Blaga Dimitrova con cui conclude a mostrarci ciò che muove ogni suo gesto: «Nessuna paura che mi calpestino. Calpestata, l’erba diventa un sentiero».

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