Preparati alla missione, da fare con linguaggi adatti

Don Ghilardi (Cmd): «Forse abbiamo bisogno di ricomprendere meglio il senso della missione, sia quella che si esplica sul nostro territorio diocesano sia quella fuori dall’Italia e dall’Europa»

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Il compito di annunciare il Vangelo spesso lo si fa coincidere con la pretesa di un adeguamento dei non cristiani alle leggi e alle abitudini della nostra cultura europea. La sostanza dell’annuncio evangelico però è altro. È dire, con la vita e con le opere, con la preghiera personale e con la liturgia comunitaria, che Cristo è colui che salva e che dall’adesione a Cristo e alla Chiesa dovrebbe scaturire un umanesimo sempre nuovo, alimentato dai sacramenti e attuato nel servizio reciproco. Non sempre la nostra cultura e le nostre leggi portano in se stesse questo umanesimo. È vero, il territorio europeo è intriso di cristianità, ma è anche tentato di escluderla da ogni ambito della vita per relegarla alla stretta sfera privata. E il dibattito in tal senso è sempre più acceso e aperto.

Oltretutto, il compito dell’annuncio non è nemmeno delegabile alla sola fascia ecclesiale, formata dai presbiteri e dai consacrati, ma deve essere per se stesso, in forza della vocazione battesimale, impegno comune di tutti i membri della Chiesa. Ma qualcuno sa come si annuncia? Che cosa si deve annunciare? Con quali forme? In quali momenti? E soprattutto, è poi vero che l’urgenza di annunciare Gesù Cristo morto e risorto è davvero sentita e fortemente desiderata dalla comunità cristiana?

Noi non siamo i cristiani delle prime comunità che hanno affrontato senza strumenti e senza grandi mezzi il primo annuncio. Noi abbiamo strumenti e mezzi. Ci manca quel senso pionieristico della fede che essi avevano. Noi siamo immersi nella globalizzazione dell’indifferenza, soprattutto da parte dei cristiani di “vecchia data”, siamo altrettanto immersi nel fenomeno dell’immigrazione e viviamo il problema dell’integrazione, fenomeni che richiedono conoscenza e rispetto reciproci. In questo clima i più avvantaggiati sono i bambini e i giovani. Vivono la scuola multietnica e multi-religiosa, sono aperti alla novità, meno frenati da pregiudizi quando non sono politicamente manovrati, il loro svantaggio però è l’avere una religiosità piuttosto autoreferenziale, meno legata alla comunità e all’istituzione.

Anche il mondo sacerdotale e religioso soffre della diminuzione di quanti sono impegnati in missione. La nostra diocesi conta nove sacerdoti “fidei donum” e i religiosi originari della nostra diocesi operanti in territori, da noi definiti di missione, sono drasticamente diminuiti. Dieci anni fa le religiose cremonesi missionarie erano ducecento, oggi sono quaranta, i religiosi missionari erano poco più di cento e oggi sono poco meno di trenta.

Nelle parrocchie i Gruppi Missionari si sono ridotti numericamente e sono prevalentemente presenti nella zona “alta” della diocesi. Quelli sopravvissuti mantengono rapporti piuttosto esclusivi con sacerdoti o religiosi originari della propria parrocchia che sono in missione, oppure con sacerdoti stranieri che hanno operato in passato nella nostra diocesi. Il loro operato, nobile e degno di plauso, ha preso sempre più la forma, però, dell’aiuto caritativo più che dell’animazione missionaria.

È numericamente importante il numero dei giovani laici che chiedono di fare esperienze di servizio in territorio di missione presso istituti religiosi missionari oppure istituti religiosi aventi missioni. Anche le ONG si sono viste aumentare il numero dei volontari. Non sempre però il desiderio corrisponde con l’essere adatti all’esperienza, oppure si confondono i fini!

Eppure la missione, in casa nostra, si presenta vasta e bisognosa di persone che vi si dedicano. Si deve rivolgere ai nostri connazionali ormai del tutto laicizzati così come agli stranieri, non solo quelli di prima generazione.

Forse abbiamo bisogno di ricomprendere meglio il senso della missione, sia quella che si esplica sul nostro territorio diocesano sia quella fuori dall’Italia e dall’Europa; dovremo educarci a saper focalizzare i contenuti, cercare i momenti e i linguaggi adatti, individuare i destinatari, conoscere le situazioni. Appare questo come un compito gravoso, che si aggiunge ai tanti impegni che le parrocchie si trovano già ad affrontare, in realtà il metodo di lavoro pensato per una Chiesa in uscita (missionaria) giova anche alla Chiesa locale perché la rende capace di sguardi ampi, le da un modo di lavorare e di pensare in grado di travalicare i muri della parrocchia senza per questo dover partire.

don Maurizio Ghilardi
responsabile Centro missionario diocesano

 

Proposte formative

A tal proposito il Centro missionario diocesano (CMD) ha pensato ad alcuni momenti di formazione. In cantiere ve ne sono altri, organizzati in collaborazione con altri enti e diocesi:

  • martedì 25 ottobre, a Caravaggio, presso il Santuario, il CMD di Cremona in collaborazione con il CMD di Crema e l’Associazione “Amici del Brasile”: “I movimenti popolari in atto in America Latina e in Brasile in particolare”, interviene Paolo Cugini, direttore CMD  di Reggio Emilia
  • martedì 8 novembre, a Caravaggio, presso il Santuario: “L’Africa e la Rep. De. del Congo”, interviene Raffaele Masto, giornalista e conduttore radiofonico di Radio Popolare.
  • martedì 15 novembre, a Crema, presso la Caritas di Crema: “Le dinamiche sociopolitiche nella globalizzazione in questa epoca di migrazioni di massa” interviene Giulio Albanese, comboniano, direttore di Popoli e Missione.
  • martedì 22 novembre, a Crema, presso la Caritas di Crema:  “Noi all’interno di tutte le dinamiche della globalizzazione: attori, vittime o spettatori?”, interviene Maria Soave Buscemi, del CUM di Verona.

Il CMD è in attesa di conoscere la disponibilità di altri autorevoli esperti che conoscono il fenomeno della chiesa patriottica cinese, dell’economia cinese e dei cattolici in Cina e in Italia.

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