05 – Ospitali e pellegrini
Sulle orme di san Facio

 

 

Inizia la vita

Inizia la vita del Beatissimo Facio confessore, il cui corpo giace nella Chiesa Maggiore di Cremona, che si dice Chiesa di Santa Maria.

Queste sono le prime parole della Vita, Morte e Miracoli del Beato Facio[1], scritta dal presbitero Giovanni, cappellano della Cattedrale di Cremona, subito dopo la morte di lui, avvenuta il 18 gennaio 1272, dunque proprio 750 anni fa.

L’anniversario invita a ricordare uno dei più antichi santi custoditi dalla Chiesa cremonese, cogliendo alcuni messaggi di grande attualità per noi. Queste pagine non lo fanno con il rigore dello studioso, ma nella semplicità di una riflessione personale e di un dialogo fraterno, che il Vescovo offre a credenti e non, a tutti i fratelli pellegrini nel tempo e nello spazio che ci son dati di attraversare.

La Chiesa, a vari livelli, ha intrapreso un “cammino sinodale” necessario per scorgere gli orizzonti di conversione cui il Signore la chiama, per essere credibile testimone del Vangelo nel presente e nel futuro, misurandosi onestamente con le gravi crisi, sfide e opportunità di questo passaggio epocale. Anche San Facio fa sinodo con noi, e ci aiuta, con la sua intercessione dal cielo di Dio, e con la ricchezza di provocazioni che la sua vicenda ha in serbo per noi, che in fondo non siamo poi così tanto diversi dai suoi contemporanei.

L’intreccio di narrazione e attualizzazione che mi accingo a osare spinga l’intelligenza e il cuore di ogni lettore a proseguire la ricerca, nel pellegrinaggio della vita e della fede. Sono certo che così ci scopriremo meno soli, partecipi di un medesimo destino e dei passi per compierlo, non senza sorprese.

L’inizio della vita di Facio ci è oscuro: nulla sappiamo della sua famiglia. Ma certo è che la sua vicenda cominciò nella calda ospitalità del grembo materno, sacramento creato dell’amorosa Paternità di Dio. Per venire alla luce, entrare nella vita del tempo, in un esodo che sempre deve rinnovarsi, fino al definitivo passaggio, al tuffo, nella pienezza della Vita. è così tracciata per tutti una singolare carta di identità, e mappa di viaggio: essere su questa terra “ospitali e pellegrini”.

Ospitale e pellegrina deve riscoprirsi anche la Chiesa, che isterilisce e muore quando è chiusa e arroccata su se stessa, mentre in essa germina vita nuova quando accoglie umile e fiduciosa il soffio dello Spirito, la venuta del Dio che si fa pellegrino nel mondo, per svelarne la segreta e struggente bellezza.

 

Nel mondo in subbuglio

Il beato Facio fu veronese di nascita, ma cremonese per la dimora costante e i rapporti sociali. Dopo aver sostenuto fino a circa trent’anni nella sua città di Verona molte persecuzioni e afflizioni da parte dei Signori (Della Scala) o di altri cittadini a causa delle fazioni finalmente per esempio del Salvatore che si allontanò da quelli che lo volevano lapidare… il servo di Dio per placare la loro ira col rimanere lontano venne a Cremona, a trent’anni appunto e ivi condusse una vita lodevole, virtuosa, ornata di santi costumi.

Al di là dei dettagli cronologici da chiarire, certamente i secoli XII-XIII furono segnati da sconvolgimenti politici, sociali e culturali, nonché da fermenti spirituali, ecclesiali e laicali ampi e profondi. Basti ricordare che siamo al tempo di Francesco d’Assisi e di Omobono da Cremona.

C’è un popolo che si agita e risveglia, sia a causa dei nuovi lavori, mercati e classi che sfidano la società dei privilegi nobiliari, sia per l’esigenza di un’esperienza religiosa più accessibile a tutti, e non ingessata dai canoni sacrali istituiti dal clero.

Religione, cultura e società bollono insieme nella medesima pentola della storia, in ogni tempo. Così, oggi tocca a noi misurarci con gli effetti del “secolo breve”, il più violento della storia umana, passando dal potere delle ideologie e dal gioco delle fazioni all’onnipotenza tecnocratica cui la stessa politica non sa come tenere testa. Migrazioni di poveri e fughe di cervelli attualizzano, in modi diversi ma dolorosamente convergenti, un travaglio sociale analogo a quello in cui Facio lasciò Verona per Cremona e, come vedremo, per il mondo, per il cielo. Diventando speciale patrono di quanti hanno imparato ad amare Cremona, avendola ricevuta in dono nelle circostanze della vita e non in sorte alla nascita.

A trent’anni, uscendo da un sostanziale silenzio sulla sua infanzia e giovinezza, egli iniziò una nuova vita. Vorrei dedicare queste pagine ai suoi coetanei di oggi, defraudati di futuro dall’ingordigia spensierata della mia generazione, ma sempre capaci di un nuovo inizio, perché insopprimibilmente animati dall’umano desiderio di vita, vera e buona. Buon viaggio, giovani amici. Anche attraverso le ostilità che sempre incontra chi – come il giovane Facio – opera il bene controcorrente, pur di essere fedele alla verità intuita nel cuore.

Quando il procedere degli uomini sembra un doloroso andare in esilio, in cui ci si sente estraniati ed espropriati delle sicurezze e delle identità, è proprio l’occasione per sperimentare la dinamica (sì, come una dinamo!) del pellegrinare che bussa e dell’ospitalità che apre: due modi di fidarsi e di ricevere, nello stupore di un incontro, senza il quale non si accendono di speranza le nostre giornate.

La pandemia, causata anche dall’insipienza nei confronti dell’ambiente naturale che ci rifornisce di vita, denuncia senza appello l’urgenza di un sussulto di intelligenza e giustizia, di cui sembrano capaci i ragazzi più che i potenti. Mi auguro che la Chiesa sappia ospitare e promuovere i sogni e le speranze, le indignazioni e le esigenze di chi, anche in questo mondo così confuso e accelerato, vuole ben camminare incontro al domani. Con una benedizione speciale per le coppie che si aprono al dono della vita e ai figli che Dio vorrà donare a loro e, così, anche a tutti noi.

 

Prigionia e liberazione

Diffondendosi ampiamente la fama della sua santità ed essendo tenuto in grande considerazione, soprattutto dai cremonesi, egli si propose di ritornare a Verona per riconciliarsi e placare i suoi avversari… venne a Verona per conciliarsi dunque coi suoi avversari e indi darsi completamente alla contemplazione di Dio con animo sereno e con maggiore devozione. Ma quando vi giunse, fu implicato in maligne e menzognere accuse e insinuazioni dai suoi antichi avversari… Facio senza neppure essere ascoltato in giudizio, fu messo in carcere, dove però non mancarono i segni (della santità)…

Essendo poi rimproverato da alcuni, perché risanava le altrui infermità e non poteva liberare se stesso dal carcere disse: “Non uscirò da questa prigione fino a che il popolo o Comune di Cremona verrà e mi toglierà di qui”; e per questa parola fu deriso quasi da tutti. Ma per disposizione di Dio, che dà ai suoi servi lo spirito di profezia come vuole tutte queste cose si verificarono esattamente.

Infatti, quando i veronesi furono costretti a chiedere aiuto ai più forti cremonesi per affrontare comuni nemici, per ricompensarli volevano far loro accettare una grande somma di denaro. Ma i cremonesi piuttosto chiesero la libertà per il fratello Facio, che fu scarcerato insieme a tutti gli altri prigionieri.

Erano bastati pochissimi anni perché a Cremona Facio rivelasse la buona pasta del suo animo, egli che spendeva i frutti del lavoro in elemosine e atti di solidarietà verso i più poveri. Ma un’inquietudine gli affliggeva ancora il cuore, si sentiva come fuggiasco, bisognoso di riconciliazione nella verità dei rapporti con le pagine mal girate della sua giovane storia.

Il bene spesso dà fastidio, la luce disturba chi cova nel torbido. E le passioni accecavano chi si imbatteva nella novità di vita di quel giovane. D’altronde, egli stesso non tollerava di avere pesi sulla coscienza, e se anche non ne era colpevole, sentiva la possibilità e l’urgenza di fare pace con qualcuno, con tutti, con se stesso, davanti a Dio.

è questa la vera prigionia da cui ognuno ha da essere liberato, quella di un cuore tentato di indurirsi, mal cicatrizzando ferite, colpe e torti, fatti e subiti. Il frenetico consumismo delle nostre relazioni oggi aggrava questo processo di “sclerocardia”, come la chiamava lo stesso Gesù. Spesso ci rendiamo schiavi di una mania di controllo, come se la vita stesse sempre per tradirci o sfuggirci di mano, estenuandoci nel non darci pace. Chi ci libererà? Anche dalla tentazione di rassegnarci, di cedere al virus dell’indifferenza, un po’ per accidia un po’ per cinismo?

La Chiesa del terzo millennio ha un compito storico assai delicato: dopo esser stata madre della scoperta sociale della dignità di ogni persona libera e del rinascimento umano e culturale, sembra ora aver paura dei suoi figli diventati adulti (anche perché adulti spesso lo sono solo apparentemente, per quanto oggi ci si contagia di stolto giovanilismo). Col rischio di apparire essa stessa, a tutti, come una prigione, fatta di moralismi e ritualismi, deformi caricature della verità che libera e del mistero che salva.

Che bello, invece, pensare e far sì che il popolo di Cremona, specie quello che legge e ama il Vangelo di Gesù, abbia sempre quella antica capacità di liberare i giusti perseguitati, i piccoli emarginati, i santi ancora non riconosciuti. Facciamo sinodo anche per questo. Per iniziare alla liberazione interiore e integrale chi ne ha, magari senza saperlo, una disperata voglia.

 

Avvinti dallo Spirito

La luce delle sue buone opere non potè rimanere nascosta e così fu eletto Massaro per la distribuzione delle elemosine ai poveri e agli infermi da coloro che costituivano il Consorzio dello Spirito Santo, del quale Consorzio facevano parte esclusivamente nobili cremonesi, mercanti e persone che si ritenevano di qualche importanza. Le loro riunioni avvenivano sotto la confessione della Chiesa Maggiore soprattutto all’altare di S. Giovanni…

Ritornato a Cremona… stabilì con l’aiuto del Signore di istituire l’Ordine dello Spirito Santo, che si dice dei fratelli del Consorzio, prendendo da lui la cappa, che ora portano e la barba, volendo con ciò accennare che i fratelli di questo Ordine non temevano, come le donne, le fatiche pesanti, ma da uomini forti le sostenevano con infaticabile vigore.

Volle che il loro ufficio fosse quello di applicarsi alle opere di pietà, pascere il corpo con alimento temporale, vestire gli ignudi, visitare gli infermi… contraddistinse il suo ordine col titolo dello Spirito Santo, dal quale vengono fatti i figli di Dio, così che Colui che aveva ispirato fosse anche quello che conducesse a termine l’opera. 

Tra il grembo della cattedrale e i vicoli delle tante povertà, fiorisce una comunanza di appassionato impegno per il servizio e la promozione umana, un “consorzio” appunto, a dire la sorte condivisa da chi ha ricevuto tanto bene che deve farlo diventare bene donato, pena il marcire nell’egoismo e nella viltà. Facio intuisce che questo movimento non può limitarsi ad ispirare gesti di buona socialità, quando lo Spirito di Dio che lo ha suscitato ha la forza di rinnovare intere esistenze, virili, laicali, secondo quell’apostolica vivendi forma che tanto entusiasma gli spiriti umili e arditi del suo tempo.

Una radice lontana e potente si trova nelle lettere di Paolo, la cui missione riparte sempre dal sapersi conquistato, avvinto, sospinto dallo Spirito Santo, lo Spirito del Padre e di Cristo Risorto per il quale egli vive e si spende fino al martirio.

Anche il nostro tempo, tempo di non facile riforma della Chiesa inaugurato dal Concilio Vaticano II, è altrettanto tempo dello Spirito, protagonista nascosto e riscoperto non solo da chi lo canta e prega con entusiasmo originale, ma dall’intera Chiesa mendicante di luce e di grazia dal Dio uno e trino. La fede cammina con noi, nel tempo, come attesta anche lo sviluppo del dogma, ed è stupendo contemplare il fondamento trinitario della Chiesa comunione, della natura relazionale della persona umana, della vocazione del cosmo e della storia all’unità e all’armonia.

è sempre tempo di nuova Pentecoste, dove lo Spirito apre alla comunicazione con le lingue degli altri, il dialogo che pratica l’alfabeto della carità e la grammatica della misericordia, che tutti capiscono, specie quando sono nel bisogno. Colui che viene invocato come “ospite dolce dell’anima” viene e insegna da dentro la gioia dell’ospitalità, dell’amore, a Dio e al prossimo.

“Non dimenticatevi di pregare per me”, ripete papa Francesco. Perché lo Spirito Santo lo guidi e lo custodisca, a garanzia del consorzio e dell’ordine ecclesiale, minacciato come sempre dal seminatore di tentazioni e di menzogna, che vuol dividere i discepoli di Gesù. Per tutti, dimenticare la preghiera significherebbe dimenticare di essere persone radicalmente spirituali, bisognose di respirare, nutrirsi, far battere il proprio cuore, che è appunto dimora del Padre, del Figlio e dello Spirito.

 

Facitore di carità

Cominciò dunque il beato Facio a compiere per primo le opere di pietà; e così i suoi fratelli lo seguivano nelle medesime sull’esempio del Signore, come vien detto negli Atti degli Apostoli “Gesù cominciò a fare e a insegnare”. Perciò cominciò a fare per prima cosa ciò che comandava di fare agli altri; come un buon maestro insinua la sua dottrina non tanto con le parole quanto la compie coi fatti, così il Beato Facio era chiamato da “facio, facis” perché diventò infaticabile del tutto, il qual nome si pensa gli fu dato dalla divina disposizione…

E così il benedetto servo di Dio Facio cominciò a sobbarcarsi le opere di misericordia, come se fosse ferito dalle piaghe della carità, esercitarle con cuore mondo, servire e aiutare gli infermi, esortarli alla pazienza; visitare i carcerati e per addolcire quelli nelle loro tribolazioni e nelle diverse afflizioni del cuore, con molta frequenza passava la notte e mendicava porta a porta il denaro per la loro redenzione; cominciò inoltre a maritare le fanciulle povere, sostenere le vedove e gli orfani, raccogliere e dar da mangiare ai poveri pellegrini ed ospitarli.

Omobono fa altrettanto, e la città sente il profumo di entrambi, che giunge fino ad oggi e diventa rete di solidarietà, fantasia della carità, capacità di accoglienza e attenzione alle membra più fragili della comunità, anche “dopo di noi”. Certi nomi impegnano, lasciano il segno e diventano storia. Mi piace mettere sotto lo sguardo di San Facio la vasta e multiforme operosità della gente di Lombardia, che è fruttuoso dono di Dio e che ogni giorno mi colpisce. Chiedendo che il troppo fare non estenui lo slancio interiore, la capacità di fermarsi per ringraziare e lodare Iddio, e non autorizzi a giudizi poco ospitali nei confronti di altri stili di vita.

Non esiste, infatti, solo la carità che risponde ai tanti bisogni materiali dei poveri; esistono anche il dono della compagnia a chi è in una cattiva solitudine, il servizio dell’ascolto e dell’accompagnamento nei confronti di disagi psicologici e spirituali, il carisma della contemplazione e quello della creazione artistica, che danno ali ad un’esistenza a rischio di appiattirsi e svilirsi.

Il centenario del nostro Facio coincide col 50° della costituzione della Caritas cremonese, per la quale dobbiamo esser grati ai Pastori e i responsabili, gli operatori e i volontari che fin qui hanno dato vita a opere eccellenti per quantità e qualità. Se l’amore è diffusivo, non possiamo mai dirci arrivati, tanto meno quando nuove drammatiche fragilità e complessità impongono più articolata sollecitudine, accoglienza e presa in carico. La delega agli specialisti non è l’unica o la migliore risposta, quando la vita cristiana abilita tutti ad avere gli stessi gesti e sentimenti di Gesù, compassionevole e misericordioso. Per questo, la Caritas intensificherà la sua capacità formativa, a sostegno delle Caritas parrocchiali e della maturazione delle più diverse vocazioni al servizio. Chissà quanti Facio in questo momento stanno offrendo con discrezione il proprio tempo, la propria mano in aiuto a chi non ce la fa? Chissà quali saranno le nuove frontiere della solidarietà, su cui provocare senza paura il generoso impegno delle nuove generazioni?

Un particolare interessante: l’Ospedale maggiore di Cremona è stato fondato nel XV sec., raccogliendo risorse ed esperienze delle diverse Istituzioni di assistenza già attive in città, tra cui la casa nella vicinia di S. Prospero curata dal “Consorzio dello Spirito Santo detto anche del Beato Facio”. Ne fa memoria la chiesa “del Foppone”, ove la memoria di San Facio ha proiettato la luce della speranza cristiana sull’ultima frontiera della lotta per la salute e per la vita. Motivi sempre attuali per evangelizzare e umanizzare la malattia e la morte.

 

Con le mani d’oro

Essendo un valentissimo orafo, preferì esercitare tutto quanto l’ingegno della propria arte per i vasi destinati al culto forgiando calici, turiboli, croci e altre cose di questo genere e distribuiva ai poveri il prezzo percepito e talvolta senza ricevere il prezzo lo condonava gratuitamente alle chiese povere.

Nonostante abbia dato vita ad un Ordine di penitenti dediti alle diverse forme di carità, Facio resta sempre un laico, lavoratore competente e apprezzato artigiano, fedele alla sua etica pur maneggiando beni preziosi e allettanti. Lo immaginiamo attivissimo, perché consapevole del vero scopo della sua attività: esprimere le proprie capacità a lode di Dio e per la gioia della comunità. Un orizzonte di senso sempre attuale, da richiamare drammaticamente oggi nei tanti contesti in cui il lavoro rischia di non essere dignitoso, giusto, umanizzante, quando addirittura non è negato o strumentalizzato.

L’avvento del digitale, della robotica e di nuove forme di industrializzazione ad automazione assai spinta minacciano la centralità del lavoro umano nei processi produttivi, e sollecitano l’invenzione di nuove professionalità, spesso a servizio di valori effimeri e bisogni indotti. Resta però la chiamata di ciascuno ad essere artista, artefice o almeno artigiano della propria realizzazione esistenziale, non in chiave narcisistica ma nel “noi” dell’impresa collettiva cui ognuno ha il diritto-dovere di contribuire, scoprendone la possibilità e il valore.

La complessa transizione economica e ambientale che abbiamo da compiere ha bisogno di uomini e donne che vi si applichino con tutte le proprie capacità, secondo scelte di senso e di valore. Il Concilio ha rammentato ai laici la loro missione di orientare le cose temporali all’orizzonte del Regno, che è giustizia, pace e gioia per ogni uomo. La nostra Chiesa deve aumentare gli sforzi e le iniziative per preparare i giovani a questo compito entusiasmante, offrendo “lab-oratori” di vita e di lavoro, oltre che di gioco e di preghiera.

Mentre pensiamo a Facio che forgiava con le sue mani capolavori di oreficeria per la liturgia, che ancora stupiscono per la loro bellezza, contiamo di veder luccicare gli occhi di chi riceverà il frutto della rigenerazione umana e sociale che i cristiani del terzo millennio sapranno concretizzare, insieme agli altri.

 

In contatto con Dio

Fu anche devoto servo di Dio, opportunamente dedito ai digiuni e alle astinenze; fermo nella fede era disposto a combattere contro tutti per la fede; era assiduo nella preghiera ed era un visitatore frequente delle chiese di Dio.

… una volta il Po era uscito dall’alveo nel mese d’aprile o di maggio, rompendo gli argini, devastando i poderi e tutte quante le biade e i vigneti. Fu pregato umilmente il Beato Facio a pregare per i cremonesi. Allora subito egli entrò in chiesa, in quel luogo dove era solito pregare più spesso; pregò e subito fu visto il Po seccarsi da molti e molti cittadini, mentre lui ancora stava in orazione, così che quasi nessun danno il fiume arrecò in quella occasione.

… perciò il Beato Facio per aver acquistato la beatitudine, che è la stessa virtù divina, può e deve essere chiamato “dio” per partecipazione della sua natura. E Dio è santo, dato che ci dice “Siate santi poi che io sono santo”. 

Potrebbero essere le solite descrizioni devozionali, che provocano reazioni allergiche in chi fosse impregnato di materialismo, relativismo, scetticismo. Al di là del linguaggio, si intravede un tesoro da scoprire: la fede, la preghiera, il rapporto con Dio, che non si limita a volerci salvi, ci rende santi. Dalla creazione, uomini e donne portano in sé l’immagine stessa di Dio, rigenerata nel Battesimo, offerta come progetto di vita, da assumere liberamente, riconoscendovi il compimento infinito dei più profondi desideri umani. La vita divina è davanti a noi, anzi è già cominciata, come un umile e grande popolo di santi e di sante ci attesta, in ogni epoca e latitudine.

Non a caso la narrazione della vita di Facio è come una musica composta sul pentagramma del Vangelo, per gioire di quanto sia conformata alla vita stessa di Gesù. Essere suoi discepoli, imitarlo in tutto, è la grande chance di ogni creatura umana, destinataria di un amore intimo e personale quanto dei benefici dell’intera storia salvifica.

Quando ci sentiamo minacciati nella nostra fragilità, torniamo a pregare come bambini. Ce ne siamo accorti in tanti, ultimamente. E non c’è niente di male. La sfida lanciata dalla tecnica alla natura sembra autorizzare quest’ultima a drastiche vendette. Ma non c’è una volontà cattiva all’opera, c’è un’armonia da rispettare e custodire, perché il Creatore vi si è specchiato. Soprattutto nel cuore umano, fatto per essere tempio di Dio, collaboratore della sua opera, instancabile nella lode, coinvolto in un’amicizia che crescerà sempre, senza limiti, anche al di là della morte.

Dio ci ha fatto spazio, creandoci in modo del tutto gratuito e disinteressato. Perché scoprissimo la grazia di poterlo ospitare in noi, si è fatto pellegrino nella storia, bussando alla porta della nostra libertà per condividere tutto come in un inesauribile banchetto di comunione. Lo scopriamo nella preghiera ogni giorno, purché sia fatta di un po’ di silenzio, e della risonanza della Parola stessa del Signore. I Salmi, in particolare, mettono sulle labbra e nel cuore un’eccedenza di amore, in una gamma di sentimenti che si incarnano nelle più diverse e impegnative circostanze della vita. Sono i Salmi del pellegrinaggio, che ci conducono davvero, giorno dopo giorno, alla città di Dio.

I nostri fratelli cristiani di Oriente hanno conservato meglio di noi questa indole contemplativa, fiduciosi che la divinizzazione dell’umano è sempre possibile a Dio e a chi lo accoglie con cuore docile: l’uomo diventa per grazia ciò che Dio è per natura, trascendente e divino appunto, anche se ci sembrano cose così lontane da noi. Nell’infinita varietà delle storie e delle situazioni, divenute galassia di piccole e grandi luci che non si spegneranno mai più.

 

Sempre in pellegrinaggio

E non solo visitava le chiese nella città di Cremona e cercava avidamente le indulgenze, ma (ugualmente) si trasferiva in lontane regioni: per diciotto volte visitò la basilica dei Ss. Pietro e Paolo e degli altri santi a Roma; inoltre altrettante volte visitò il corpo del Beato Giacomo in Galizia e la chiesa di S. Maria di Finisterre e di S. Salvatore nelle Asturie, viaggiando in mezzo a pericoli e a ladroni.

Andavano allora di moda i pellegrinaggi, come oggi i tour e le crociere? Fosse anche vero, colpisce che Facio non abbia fatto il turista quanto il pellegrino, tornando più e più volte sulle medesime durissime strade, con una santa ostinazione, che doveva certo avere un profondo e valido movente. Se “cercava avidamente le indulgenze”, non credo fosse per una meschina contabilità della grazia, ma per un bisogno struggente dell’anima, anche educato dalla spiritualità del tempo.

Ho avuto la fortuna di crescere camminando tanto coi giovani, con zaino e scarponi, alla ricerca dell’essenziale, in ascolto del silenzio e del cuore che batte, timoroso e curioso nei confronti degli imprevisti del percorso, sempre ricco di doni, di incontri, di mistero. Posso dire che davvero esiste una “spiritualità della strada”, meravigliosamente cristiana per chi scopre Colui che è “la via” oltre che la verità e la vita.

Homo viator, non accontentarti oggi di percorrere le autostrade digitali: anche dal divano di casa potresti incontrare briganti virtuali e personaggi per nulla virtuosi che insidiano la tua libertà. Fatti davvero viandante e pellegrino, a contatto con la terra e sotto la volta del cielo, che ti rammenta da dove vieni e dove vai, sconfiggendo la cattiva solitudine che ti agghiaccia il cuore. Cammina con una meta, che valga la pena di faticare, meglio se insieme, come piccolo popolo che si riconosce sulle tracce del suo Signore e guida. Il cammino sarà la cifra del tuo crescere e diventare te stesso in verità e libertà, parabola umana e cristiana in cui il Vangelo “entra dai piedi” e lascia benedette orme di pace.

Abbi una geografia del cuore: luoghi santi, perché abitati da cercatori di Dio, coi quali unire cuori e voci nel medesimo canto, di speranza e fiducia nella vita. La Chiesa, sparsa nel mondo, accende i suoi piccoli falò per tracciare il cammino, da cui possa decollare la tua stessa vocazione alla santità. E quando calerà la sera sulle membra invecchiate e sull’intera vita, goditi il tramonto come un pellegrino stanco ma felice, perché il traguardo l’ha sempre aspettato. Come una casa ospitale.

Possiamo essere cristiani ospiti e pellegrini anche tra noi, senza andare troppo lontano: facendo concreto esercizio di accoglienza reciproca anche tra le comunità parrocchiali coinvolte sempre più nell’avventura delle “unità pastorali”. Riusciranno con soddisfazione di tutti se faremo a gara a chi si muove, a chi spalanca le porte, a chi crede nella “cultura dell’incontro”.

 

La guarigione dell’amico

Arrivati a S. Salvatore delle Asturie il fratello Matteo di nuovo cadde in una infermità gravissima; disperando della sua salvezza i compagni, dopo il consiglio dei medici dissero al Beato Facio: “Dato che non vi è nessuna speranza della ripresa di fratello Matteo, vogliamo lasciarlo e proseguire il nostro cammino”. E così di primo mattino chiesero congedo dal Beato Facio che rispose loro: “Andate pure dovunque vi piaccia, poi che io non lo abbandonerò fino a che lo avrò portato a San Giacomo e a S. Maria di Finisterre e sarò ritornato a Cremona e lo avrò consegnato sano e salvo nelle mani di suo padre, come fece l’Angelo Raffaele col figlio di Tobia”.

Allontanatisi i compagni, il Beato Facio andò presso l’infermo fratello Matteo e lo inalzò dal letto sulle sue braccia come una mamma alzerebbe un suo figlio e lo confortava e pose i piedi dell’infermo sopra i suoi piedi, consolandolo sempre; indi lo depose nel letto dicendo: “Non turbarti se tarderò un poco a causa delle mie preghiere”.

Entrò quindi nella Chiesa di S. Salvatore e ivi pregò con grande pianto dall’ora prima, nella quale i compagni se n’erano andati, lasciandolo semivivo, fino all’ora terza, e scoccata l’ora terza ritornò presso l’infermo e lo trovò perfettamente risanato così che il giorno dopo seguirono i compagni e nel medesimo giorno li raggiunsero, del quale miracolo i compagni di viaggio rimasero assai stupefatti: ritornati a Cremona riferirono a tutti ordinatamente questo fatto in lode di Dio e del Beato Facio.

Reale esempio di fedeltà nell’amicizia, di tenerezza nel prendersi cura di chi sta male, di fiducia in Dio e nella potenza della preghiera. Il tutto, condito con un pizzico di umorismo e di sapienza delle cose umane: il cinismo dei compagni, e poi il loro stupore nel vedersi raggiunti dai ritardatari. La disponibilità a veder scombinati i propri piani e la tenacia per portarli a compimento. Al cuore: il mistero della relazione di Facio con il Signore, il cui Vangelo sembra riscriversi, tanto il pellegrino lo porta nel cuore e nei gesti. Basti pensare al pianto di Gesù per l’amico Lazzaro.

Di quanta guarigione e di quanta amicizia abbiamo tutti gran bisogno oggi, nel clima di superficialità e diffidenza che ci insidia! Quante amicizie, idealizzate perfezionisticamente e infrante anche solo con un sms, hanno bisogno di essere rivisitate e guarite! Imparando da capo l’abc della comunicazione tra umani fragili e fallibili quali tutti siamo.

L’episodio ci insegna che i cristiani camminano dunque al passo del più debole, le cui esigenze interpellano le risorse nascoste del cuore e rendono capaci di accelerare il ritmo della carità. Il bene, alla fine, sorpassa sempre il male. Non lo schiva, anzi lo assume e lo attraversa, svelenendo chi lo compie e sollevando chi lo subisce. è il metodo di Gesù, è la sua Pasqua (di morte, discesa agli inferi e risurrezione), che ha voluto preparare e condividere con coloro che “ha chiamato amici”, nonostante avessero ancora tanto da farsi perdonare e guarire. Ma Lui è venuto per gli infermi e i peccatori, non per quelli che non hanno bisogno di nulla, tanto meno di Dio, e di un Dio così!

Anche nella Chiesa c’è bisogno di amicizia e prossimità, di vera fraternità, prima che di ruoli da conquistare e difendere, rendendoli spesso rigidi e freddi. Di affetto più che di galateo, di familiarità appresa da come davvero si impegnano tante umili famiglie, maestre di pazienza e di servizio, di tolleranza e di coraggio.

Il Concilio affida al Vescovo un servizio che definirei di “paternità nella fraternità” specie nei confronti dei sacerdoti della sua Chiesa locale. Quanto ho da imparare, da farmi perdonare, da osare ancora, ma so che lungo il cammino la Provvidenza prepara occasioni di conversione anche per me.

 

La tempesta sul mare

… entrarono in una barca che si conduceva dai naviganti verso la città di Genova ed entrarono in un gorgo lontano da Genova 10 miglia e il mare era talmente turbato in quel gorgo che la barca si sommergeva nell’abisso. I naviganti e tutti quelli che si trovavano sulla barca avevano disperato della vita corporale e pregavano il Signore che avesse misericordia delle loro anime. Il Beato Facio dormiva a prua perché era infermo e fratello Matteo lo chiamò svegliandolo e dicendo: “Sorgete, Signore, perché tutti periamo”…

Così sull’esempio di nostro Signore il Beato Facio sorse e guardò il mare all’intorno e levando gli occhi al cielo disse al mare e ai venti di cessare, tracciando il segno della Santa Croce e subito avvenne la più grande tranquillità nel mare per la parola che aveva detto, che gli fu suggerita dal Signore Gesù Cristo.

Sembra il solito copione, dal Gesù dei Vangeli alle vite dei Santi… fino a papa Francesco in piazza San Pietro il 27 marzo 2020, solo sotto la pioggia, davanti al mondo impaurito per il dilagare della pandemia. Cremona sa che è tutto vero: vengono giorni in cui il male, la paura, la morte ci sovrastano, e non ci resta che gridare, invocare, supplicare. Un atto di estrema onestà umana, di libertà e fiducia, di maturità infantile, come quella che Gesù propone nel Vangelo.

Può accadere il grande miracolo, mentre certamente ne accadono tanti di quelli piccoli: i miracoli della consolazione interiore, dell’attenzione all’altro, della cura e della guarigione, della tenerezza e della misericordia. Sono indimenticabili i gesti attenti e decisivi di medici ed infermieri sul corpo di tanti di noi: grazie a chi vive queste professioni come vocazione e missione!

Dentro quei corpi provati ci sono anime che, in quel momento, possono cedere alla disperazione e alla rabbia o, per grazia, essere trafitti dal desiderio di bene, dall’affetto per chi amiamo, dalla nostalgia di Dio, da un sussulto di perdono, dalla pace.

La Chiesa, sacramento di unità e salvezza per tutto il genere umano, sta nel mondo ad accompagnarne la rischiosa traversata, con sapienza e non saccenza, come riflesso lunare del Sole che sempre dona un nuovo mattino, e alfine un giorno senza tramonto. Ci riuscirà, se ascolterà non il chiasso dei naviganti confusi, sballottati e litigiosi, ma la voce ferma dello Spirito che, in ogni situazione, è Signore e dà la vita.

Perciò, senza rinunciare alle analisi acute del mondo in divenire e della Chiesa in apparente declino, non possiamo dar loro l’ultima parola. Nella barca c’è sempre anche Lui, il Risorto e Vivente, che sa trarre figli di Dio anche dalle pietre, e santi come Facio da ogni crocevia della storia, specie il più travagliato.

E se la tempesta è nascosta, tutta dentro il tuo cuore, fanne luogo ospitale per il Pellegrino sconosciuto che ti si mette a fianco in silenzio, ti ascolta e purifica la tua mente, ti rincuora con la Verità incarnata nei segni della sua Passione. Ti accorgerai di non essere solo, sulla croce, ma di far parte di un’avventura umana che ha la sua rotta ben tracciata, al di là dei giorni in cui minaccia tempesta.

 

Un laico autorevole

Mentre avvenivano questi fatti, la fama di santità del Beato Facio cresceva. Il Signor Vescovo di Cremona mandò a chiamarlo e per la buona fama che aveva costituì lui, benché contro la sua volontà, visitatore delle monache di tutti i monasteri della città e diocesi.

… mentre avvenivano queste cose piacque all’Onnipotente farlo riposare dalle sue fatiche come si dice nel Vangelo “Venite tutti a me che siete stanchi ed affaticati e io vi ristorerò”. E gli capitò una febbre divorante e subito comprese che da quella febbre sarebbe ritornato a Dio… predisse loro la sua morte e fece chiamare il Sacerdote mansionario di questa Chiesa Maggiore e fece la confessione generale… Indi ricevette il corpo del Signore; indi l’Olio Santo sempre con attenzione devota e diede ordine che vi fossero continuamente dei sacerdoti a leggere la passione, il salterio e altre orazioni. In queste pie pratiche la sua anima benedetta fu assunta fra le mani dei Santi Angeli e fu introdotta nel regno dei cieli.

Morì quel fedele servo del Signore l’anno 1272, in lunedì, il 18 del mese di gennaio all’aurora e subito si sparse la notizia della sua morte per tutta la città di Cremona…

Quello stesso giorno il Signor Vescovo di Cremona conferì con tutti i prelati e con tutto il clero con tutti i nobili di Cremona maggiori e minori per deliberare sulla sua sepoltura e fu stabilito da tutti concordemente che fosse sepolto in quel luogo nel quale dedito all’orazione indugiava più frequentemente e cioè nella Chiesa Maggiore.

Quando sono santi così, cioè umanissimi e generosi nel dono di sé, è sempre l’ora dei laici! Quell’ora che sembrava scoccata col Vaticano II, mentre oggi il Papa teme che “l’orologio si sia fermato”. Anche nel più clericale dei contesti, la santità della gente qualsiasi prima o poi si manifesta, attrae, convince e converte. Anche se non fa notizia. Non per magia, ma per l’incontro tra grazia e libertà che ogni coscienza può assaporare.

La storia delle Chiese di Lombardia è stupefacente per la fioritura di bene, in forma personale e spesso organizzata, di cui tanti laici e laiche sono stati protagonisti decisivi. Favoriti dalla saggia guida spirituale dei sacerdoti che li hanno educati e accompagnati nel tempo.

Colpisce di San Facio il legame con la cattedrale (la Chiesa Maggiore) e coi suoi preti, col Vescovo stesso. è un messaggio anche per noi, chiamati a non clericalizzare ulteriormente la comunità cristiana, e a riconoscere le meraviglie che il Signore compie in tante case, nei genitori come nei figli, nei più diversi campi dell’impegno umano, tra i poveri, specie laddove più urge la testimonianza dell’amore fattivo e silenzioso.

I campi sono distinti ma non divisi, se a Facio viene affidato persino il delicato compito di seguire i monasteri femminili. Ben venga una rinnovata alleanza tra preti e sposi, tra religiose e famiglie, tra generazioni e vocazioni diverse, per dar vita a quella comunità fraterna che sola può generare alla vita nuova in Cristo. Ci guadagnerà l’autorevolezza autentica di ciascuno. La formazione stessa dei sacerdoti e dei consacrati/e ha bisogno della partecipazione originale e cordiale dei cristiani sposati e delle loro famiglie.

Lo scambio di tale ospitalità vocazionale ci farà riconoscere tutti pellegrini verso lo stesso Dio, che ha già fatto il grosso della strada per raggiungerci e sollevarci fino a Lui. La chiave di lettura di tutta la realtà è nella Parola stessa di Dio che, per Facio, è stata fonte rigeneratrice dei suoi pensieri e sentimenti, fino all’ultimo istante. Sia dato anche a noi di perseverare nell’ascolto attento, quotidiano, personale e comunitario, della Parola vera che ci rimette sempre in piedi e in cammino, anche grazie alle risonanze e alle intuizioni dei piccoli cui Dio predilige rivelarsi. Credo che questo sia decisivo per il rinnovamento missionario delle parrocchie e dell’intera Chiesa.

 

Il sinodo del popolo santo di Dio

In quel medesimo luogo egli giace oggi.

 Non si tratta solo di segnalare una tomba, ancorché di un Santo, nella cripta di una cattedrale. Si tratta di riconoscere le fondamenta vitali dell’edificio ecclesiale, i maestri da cui apprendere la lezione della fede, gli intercessori che ci additano la potenza dello Spirito. è questo il luogo in cui egli giace: la Chiesa viva. è questo il vero punto di partenza del nostro camminare insieme, pellegrini obbedienti al Signore: le meraviglie che Egli ha già compiuto tra noi.

Pellegrinante nel tempo, la Chiesa va incontro al suo Sposo adunando volti e fatti della storia umana, con somma pazienza e carità. In questo incessante e faticoso cammino, spesso inciampa e cade, si insozza ed ammala, ma il Samaritano continua a fermarsi e a raccoglierla con le sue ferite da curare. La storia di salvezza continua ad attualizzarsi, anche nelle singole biografie di tutti i figli di Dio, Lui che tutti porta scritti nel palmo della mano, uno per uno.

Perciò siamo in sinodo, o in un “cammino sinodale”, prima ancora che il Papa o il Vescovo ne convochi l’assemblea. Siamo costitutivamente chiamati ad incontrarci ed ascoltarci, tutti, cominciando dai più piccoli e lontani, dagli ultimi arrivati, da chi urla e protesta. Perché siamo già, nello sguardo benedicente del Padre, la sua unica famiglia, il popolo santo che il Figlio si è acquistato sulla croce, il suo stesso corpo. Ma se una famiglia ogni tanto non si ferma a parlare, con calma, spegnendo i rumori che la distraggono, sappiamo come va a finire…

La memoria dei nostri Santi, antichi e recenti, ci spinge ad osare sempre l’avventura della fede e i gesti della carità, per testimoniare plausibili ragioni di speranza anche agli scettici di oggi, e agli increduli di domani. Ne siamo grati a Dio e alla Chiesa, fieri di una figliolanza senza merito, dono e compito da spartire con tutti, nella missione che ci preme di vivere.

Siamo entrati in sinodo senza pretese, senza schemi preconfezionati, forse con un po’ di timore e stanchezza nell’immaginare che si riduca alle solite troppe parole. San Facio ci aiuta a non essere sedentari o vagabondi, ma ospitali e pellegrini, muovendo i passi che rendono possibile un vero incontro, una scintilla di comunione, magari proprio là dove non ci speravamo più.

 

È una sfida che raccogliamo, pregando così:

Ti lodiamo, o Dio, Padre di ogni uomo,
tu che ispiri silenziosamente la vita
e la porti a compimento. 

Nel nostro fratello San Facio
ci hai dato un compagno di viaggio,
un amico e un modello da seguire. 

Sulla via di Gesù,
del suo Vangelo d’amore
per i poveri e i malati.

Manda il tuo Santo Spirito
alla Chiesa di Cremona e del mondo intero
perché si converta e si rinnovi.

Rendici ospitali e pellegrini
gli uni verso gli altri,
come Tu lo sei con noi.

E giungeremo insieme
nella tua casa, nel tuo Regno,
nel tuo abbraccio d’amore.

Dove vivremo nella gioia,
con Maria e tutti i Santi,
per i secoli eterni. Amen. 

 

 

Cremona, 28 novembre 2021,

Prima Domenica di Avvento

      

+ Antonio, vescovo

 

 

 

[1] In tutte le citazioni in corsivo mi rifaccio al testo pubblicato da C. Bellò in La vita cattolica LVII (1972) 16, traduzione del manoscritto di fine XIII sec. denominato Ms. Riand 22 e conservato nell’Harvard College Library

 

Apri il testo in formato pdf